Take me home

3.1K 159 17
                                    

Due giorni dopo.

America's pov

Il sole splendeva, quel giorno. I raggi del sole che flettevano sul lago erano una cosa meravigliosa. Potevo vivere lì, lontana da tutto e da tutti. Da sola, e rimanere per ore a guardare quel panorama mozzafiato che si ergeva davanti a me.
Il lago era circondato da colline. A valle, si ergevano delle piccole casette, con un piccolo campanile bianco, illuminato dai raggi solari.
Il rifugio si ergeva sulla collina a sud, infatti il sole a mezzogiorno picchiava sulla mia testa, ma non mi infastidiva.
Non sapevo esattamente che giorno fosse, ma ero abbastanza sicura che fosse ottobre, e l'aria fresca dell'autunno cominciava ad essere fastidiosa, ma tutto sommato era ancora piacevole.
Scendendo dalla collina, avevo rischiato parecchie volte di cadere, sporcandomi i pantaloni e i palmi delle mani di terra, ma ero arrivata sulla riva sassosa del lago indenne.
Mi ero seduta su un masso enorme e avevo cominciato a pensare al senso della vita.
Ieri, è stata una delle giornate migliori che avessi passato nelle ultime tre settimane.
L'atmosfera era piacevole e Justin aveva fatto qualche battuta.
Mi piaceva questo suo lato; aveva sorriso, era riposato, e non aveva il solito peso che gli incombeva nelle spalle. Io e Harry sapevamo che era triste, lo si vedeva dagli occhi. Le parole di Jason lo avevano turbato più di quanto pensassimo, infatti appena verso le dieci, si era assentato e non era più uscito dalla camera.
Alle undici, quando decisi di andare a dormire -Justin aveva dato ordini ben precisi; dovevo dormire nella sua camera così avrebbe potuto controllarmi- avevo aperto la porta della sua camera facendo attenzione a non fare troppo rumore, ma questa aveva cigolato. Justin si era mosso, ma non sembrava essersi svegliato. Così mi ero infilata il pigiama -comprato la mattina stessa- e mi ero messa a letto, addormentandomi subito dopo con la costante sensazione immaginaria di Justin che cingeva i miei fianchi.
Mi ero svegliata a mezzogiorno con Justin che ancora dormiva, e avevo deciso di fare una passeggiata, e quindi eccomi.
Mi guardai intorno, sorridendo al ricordo di Harry che mi raccontava la storia della sua vita, e Daemon che si era arrabbiato perché avevo udito la sua conversazione con Harry, riguardo Beth.
Mi ricordai dello sguardo di odio puro che mi aveva lanciato, e di tutte le  volte che mi aveva minacciato di uccidermi.
Ma nonostante questo, la sua vicinanza mi provocava un effetto strano, ma piacevole. Erano due settimane quasi che non lo baciavo, e già ne sentivo la mancanza. Era una cosa sbagliata? Senz'altro, ma non potevo farci niente.
D'altro canto il Justin che mi aveva salvato la vita, abbracciata, baciata, era lo stesso che per dispetto mi aveva sfilato l'asciugamano, umiliandomi. Lo stesso che mi aveva spudoratamente chiamato "animale da compagnia", lo stesso che mi aveva rapito. Eppure non riuscivo a far si che questi fattori negativi -che superavano di gran lunga quelli positivi- occupassero tutta la mia mente, convincendomi ad avere un'idea negativa di lui.
Ero certa che non gli importasse di me, ma a me importava di lui, e lo capii quando per ben due volte aveva guardato la morte negli occhi.
A ridestarmi dai miei pensieri fu proprio l'oggetto in questione. Non l'avevo sentito arrivare, né parlare, infatti quando mi chiese se avevo sentito quello che mi aveva detto, scossi la testa.
"Sai dov'è Harry?" ripeté, guardandomi.
Io, che avevo una mano tesa sopra gli occhi per proteggerli dal sole, rimasi un po' delusa dalla sua domanda, senza sapere perché. Scossi la testa.
Annuì leggermente, tirandosi su il cappuccio della felpa e infilando le mani nelle tasche della tuta.
Calciò qualche sassolino e si sedette a un metro da me.

"Quando mi sono svegliato e non c'era nessuno, ho pensato che fossi scappata." ammise.
Risi, una piccola risata, amara e ironica. "Mi avresti presa" dissi.
Lo guardai, e lui mi guardò. Le iridi nocciola splendenti sotto al sole. Non le avevo mai viste splendere così. Era mozzafiato, più del panorama davanti a noi.
Si morse l'interno della guancia e il suo sguardo vagò dai miei occhi alle mie labbra.
"Forse si" disse, guardando le mie labbra.
Le pressai insieme e guardai davanti a me, stringendomi le ginocchia al petto.
Sentivo il suo sguardo su di me, e mi chiesi se la sensazione di calore provenisse dal suo sguardo o dai raggi del sole di mezzogiorno.
"Non so niente di te" disse all'improvviso.
Questa sua affermazione mi colse alla sprovvista, tanto che lo guardai con gli occhi leggermente sgranati e, dovevo ammetterlo, leggermente imbarazzata. Non ero abituata a parlare di me ad altri.
Lo guardai, e le ultime settimane mi passarono davanti come treni in corsa. L'oblio, il college, quella dannata lezione di storia, mia cugina Kim e Andrew Benson, Jason, Harry, Cole, Montréal, quel dannato rifugio, l'orso. Davvero tante, troppe cose.
E adesso, voleva conoscere la mia vita privata?
Alzai un sopracciglio, cercando di scorgere uno scintillio di ironia in quegli occhi così spenti. Invece, era serio.
«Dovresti saperlo, di solito quando si rapisce una persona si sa tutto di lei» osservai, acida.
Tornai a guardare davanti a me. Non sapevo bene il motivo di questo mio scatto (anzi, i motivi erano più che evidenti) ma ero una persona abbastanza lunatica.
Ce l'avevo con lui, per tutto.
E allo stesso tempo mi importava troppo.
Seguì un momento di silenzio.
«È vero.» ammise con noncuranza.
Mi girai verso di lui, consapevole di avere assunto un'espressione truce.
«E lo dici così? Con tranquillità?!»
«Dovrei forse mentirti?» replicò Justin. Si era abbassato il cappuccio e si era voltato  completamente verso di me.
La sua risposta mi ammutolì.
«Odio chi mente» dissi poi a bassa voce.
Lui sorrise: «Lo so»
Nonostante fossi arrabbiata, lasciai sfuggire un piccolo sorrisetto e abbassai velocemente la testa.
Non capivo tutta questa situazione. Era possibile un cambiamento del genere in una persona come Justin?
«So anche che sei nata il 22 febbraio, che ti piace il cibo cinese, che sei originaria di Chicago, che hai un fratello maggiore e che tuo padre da piccola ti picchiava...»
Lo zittii e lo guardai sconvolta, sentendo le lacrime agli occhi. Perché aveva scavato così infondo su un passato che non conosceva nessuno al di fuori della mia famiglia?
La prima lacrima scese prima ancora che me ne rendessi conto: -Perché mi fai questo? Come fai a sapere tutte quese cose?- la mia voce tremava e temevo che le lacrime non sarebbero più cessate di scorrere.
Mi sentivo messa a nudo più di quella volta nel bagno , e odiavo quella sensazione.
Uno scintillio negli occhi di Justin mi fece capire che non si aspettava di vedermi piangere, ma non riuscii a capire se gli dispiacesse o meno.
Rimase a guardarmi in silenzio, mentre continuavo a piangere.
Non sapevo neanche bene il perché, forse per aver riportato a galla tutti episodi con i quali avevo imparato a convivere e che ero riuscita a dimenticare parzialmente; certe cose non si dimenticano.
E mi dava fastidio che Justin li avesse riportati a galla come fossero i suoi, di ricordi!
Poi alzò la mano, e me la appoggiò sulla guancia, asciugandola dalle lacrime.
Sussultai per quel contatto che non avevo mai avuto con lui.
Non in maniera così... Dolce.
Continuavo a non capire, e questo stato di confusione mi riportò a piangere di nuovo.
In meno di un secondo mi ritrovai con il viso schiacciato dal suo petto, le sue braccia che mi stringevano forte e le sue dita che mi stiravano i capelli con movimenti dolci, ritmici, che mi lasciarono stupita ancora di più, ma questa sensazione venne presto sostituita da un senso di pace che non avevo mai provato, e presto smisi di singhiozzare, il mio respiro si stabilizzò insieme al battito del mio cuore, che batteva a ritmo con quello di Justin.
Non sapevo quando una cosa del genere sarebbe ricapitata, quindi cercai di godermela perché, cazzo, le sue braccia erano l'unico luogo in cui tutti i miei problemi svanivano. Anche se lui era la causa della maggior parte dei miei problemi.
«Scusa» sussurrò dopo qualche minuto, con le labbra appoggiate sulla mia testa.
Con lentezza alzai il viso fino a guardarlo. Teneva il labbro inferiore tra i denti e mi guardava prima gli occhi, poi le labbra, spostandomi una ciocca umida dal viso.
«Non...avrei dovuto...inveire così sui tuoi fatti personali, io...merda-» si interruppe stringendo le labbra in una linea dritta e dura, guardando per qualche secondo la superficie del lago, per poi tornare a guardarmi «Volevo solamente farti capire che quando ho cercato e scoperto tutto quello che so su di te, non l'ho fatto perché Jason mi aveva detto di farlo...» prese un gran respiro e si fermò, ora distogliendo lo sguardo da me del tutto.
Mi staccai da lui e mi risistemai, passandomI le mani tra i capelli, poi lo guardai di nuovo.
«Cosa stai cercando di dirmi, Justin?» sentivo il cuore fare le capriole nel petto, sospesa senza sapere a cosa ci avrebbe portato questo discorso.
Lo guardai aspettando, finché riprese a parlare:«Non lo so, merda. Non sono bravo, io...» abbassò lo sguardo trovando un sassolino che raccolse e buttò in acqua.
Tornò a guardarmi, in panico. Allora capii: non era bravo ad esprimere le proprie emozioni e mi stava pregando affinché capissi. Ma non capivo, o almeno, credevo di si ma non volevo concludere in fretta.
Eravamo ancora vicini, abbastanza da poterci toccare allungando un braccio.
Era una situazione difficile, e quello che capii in quel momento è che stavo pian piano conoscendo Justin Bieber sempre di più, nel bene e nel male.
Non capivo i suoi continui sbalzi d'umore, e il suo modo di trattarmi di conseguenza.
Non riuscivo a capire chi fosse davvero lui, e dall'inizio ho sempre provato questa voglia di conoscerlo a fondo.

Senza che nemmeno ce ne rendessimo conto eravamo sempre più vicini. Ero consapevole di stargli guardando le labbra, e di dimostrare che la mia voglia di baciarlo era alle stelle, ma anche lui spostava lo sguardo dalle mie labbra ai miei occhi, poi di nuovo alle mie labbra e così via.
Ad un certo punto entrambi smettemmo di avvicinarci e  ci guardammo, a un palmo di naso l'uno dall'altro.
Mi sentivo un po' incerta, la parte razionale diceva che ora che era distratto sarei potuta scappare, mentre la parte che invece era stata annebbiata mi imponeva di baciarlo, sentire di nuovo le sue labbra perché mi erano mancate.
Ma il tempo che impiegai a formulare questi pensieri, fu utilizzato da Justin per posizionarmi una mano sulla base del mio collo e avvicinarmi a lui, per far unire le nostre labbra dopo una settimana e mezza.
Respirai come se fossi rimasta in apnea tutto questo tempo e finalmente ero salita in superficie, respirando a pieni polmoni.
Justin gemette e tornò aggressivo e passionevole a mordere, succhiare le mie labbra come se gli fossero mancate talmente tanto da essere tornato in vita.
Cinsi il suo collo con le braccia e lui mi fece salire su di lui a cavalcioni, posizionando le sue mani sui miei fianchi.
Mi abbracciò, letteralmente, mentre le sue labbra si schiudevano e la sua lingua entrava dolce a contatto con la mia.
Gemetti e senza che potessi rendermene conto ero sotto di lui e lui sopra di me, distesi nell'erba e sotto il sole.
Mi guardò per qualche secondo negli occhi: due pozze senza fondo, oscure e colme di desiderio e lussuria.
Ero eccitata, stordita, e desideravo solo sentirlo di più, e alzai leggermente la testa per farf riavvicinare le nostre labbra.
Rispose al mio bacio in maniera dolce, niente a che vedere con prima, ma questo bacio più tranquillo mi infondeva gli stessi brividi che i suoi baci passionevoli mi provocavano, se non di più.
Si staccò di nuovo con uno schiocco e tornò a guardarmi, reggendosi sui gomiti per non pesarmi. Avevo il respiro pesante e il cuore che batteva a mille. Deglutii, totalmente schiacciata al suolo e completamente inerte, sotto il suo sguardo capace di spogliarmi al solo contatto con il mio corpo.
Si chinò chiudendo gli occhi e mi baciò il collo, nel punto in cui il sangue pulsava.
Sospirai, e lui continuò, facendo salire la mano sotto la maglietta, a contatto con la mia pelle nuda, con i miei brividi, le mie paure e le mie paranoie.

Stava entrando dentro, sotto pelle.

Tracciò una scia di baci che partiva all'incavo del mio collo fino allo spazio tra i due seni, lasciato scoperto dalla scollatura della maglia. Strinsi dei fili d'erba tra le mani, staccandoli da terra per poi gettarli e ricominciare, assuefatta dal piacere.

Chiusi gli occhi per concentrarmi solamente sul suo tocco, mentre mi stringeva il seno da sotto il reggiseno, facendomi d'istinto alzare il petto verso la sua mano.
Gemette e mi morse un labbro, mentre si posizionava meglio su di me e faceva aderire completamente i nostri corpi.
Sospirai e lui emise un verso gutturale, come un'animale, e iniziò a muovere i suoi fianchi sui miei.
Perché c'erano quei tessuti a dividerci?
Strinsi i suoi capelli tra le mie mani, completamente invasa dal piacere, mentre lui si fiondava di nuovo sulle mie labbra fino a farle diventare gonfie.

Pensavo che quel bacio potesse essere una svolta, che potesse cambiare totalmente il rapporto tra noi due, e ne ero felice, anzi ero estasiata. Tutto quello che volevo era che Justin mi toccasse anche dopo 70 anni, che fossimo ancora noi due, perché in quel momento non potevo pensare a nessun'altro che mi toccasse come mi toccava a lui.
E mi andava bene così, finché non mi guardò di nuovo negli occhi e si alzò di scatto da me.
Mi ritornò in mente settimane prima dal rifugio, quando mi guardò con disgusto.
Guardai il cielo, sentendo improvvisamente freddo, senza la sua presenza.
Sentivo le lacrime iniziare a bagnare i miei occhi, ma le ricacciai in fretta. Non mi sarebbe importato, non più, non in quel momento.
Voltai la testa, vedendolo con la testa tra le mani che sussurrava parole incomprensibili.
Mi sedetti, cercando di mantenere più autocontrollo possibile, anche se la rabbia dentro me era un vortice che girava e girava in attesa di qualcosa che la sprigionasse e scatenasse il putiferio.
«Perché?»cercai di mantenere la voce ferma e immobile, con alcune difficoltà.
Si voltò, le guance rosse. Sembrava leggermente febbricitante.
«Perché, cosa?» non era lui in quel momento. Non poteva essere lui. I suoi occhi non erano gli stessi che mi avevano guardata colmi di desiderio fino a qualche minuto prima, erano occhi spiritati, e la voce... Dio, la voce, sembrava quella di un demone, non la sua.
Sussultai per quel tono, ma presi un bel respiro e mi sistemai meglio, in modo da essere totalmente voltata verso di lui: «Perché continui a trattarmi così? E' la seconda fottuta volta che mi rifiuti e che mi fai sentire una merda! Se deve sempre finire così allora io ti prego con tutto il cuore di non baciarmi più.» rilasciai l'aria che avevo trattenuto nei polmoni, con un unico gesto, soddisfatta di aver finalmente detto la mia.
Guardava davanti a sé, e lo vidi sussultare di fronte alle mie parole, ma non si scompose.
Voltò la testa dalla mia parte, senza tuttavia guardarmi in viso: «Io... okay. Non ti bacerò più»
Cosa speravo che dicesse? Che mi spiegasse il motivo per cui mi trattava come una merda ventiquattro ore su ventiquattro? Che mi chiedesse scusa? Che mi dicesse qualcosa di dolce? Non sarebbe Justin, e io mi ero quasi stancata. Quasi.
Non avrei permesso che mi trattasse un'altra volta come se fossi una puttana da buttare via come spazzatura.
In quel momento ero così incazzata, che non mi interessava il "grado di superiorità" che c'era tra me e lui, ma continuare a vivere con una persona come lui, che continuava a prendere decisioni per poi tirarsi indietro, mi dava il voltastomaco; mi faceva venire voglia di spaccargli la testa sulle rocce del lago.
Pensavo di aver notato un cambiamento in lui, invece era come sempre. Sempre.
«Portami a casa» dissi. Era da un po' che non facevo richieste del genere, e mi erano mancate. Ora basta dare spazio alla dolce America. Ora basta.
Ora mi guardò, e mi vide sul serio. Rimase a guardarmi, e mi parve di intavedere un lampo di delusione nel suo sguardo, ma sicuramente fu tutto nella mia testa. Continuai a sostenere il mio sguardo fermo.
Rmase in silenzio, ma poi annuì, voltandosi verso il pendio erboso della collina. «Sali in macchina»
Si alzò, si strofino le mani sui pantaloni e se le infilò in tasca. Mi guardò dall'alto,  inarcando un sopracciglio.
«Ti muovi?» disse di nuovo, utilizzando nuovamente il suo tono arrogante.
Si voltò e cominciò a salire il pendio. Solo dopo un po' mi alzai e lo imitai.
Mi aveva davvero permesso di tornare a casa?

E io? Cosa avrei fatto una volta a casa?


Daemon | j.b |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora