Dopo aver indossato il mio impermeabile abbinato alle calosce uscii dalla libreria, vedendo davanti ai miei occhi una Porsche grigio scuro.
Era davvero la macchina nel mio professore?
Il professor Downey aprì la portiera dall'interno, guardandomi. <<Ti decidi a salire?>>
Mi ripresi dai miei pensieri e salii in macchina, sistemandomi sul sedile in pelle. <<Le sto inzuppando il sedile.>> mormorai abbassandomi il cappuccio.
<<Non importa. Carine le calosce, non ti facevo così stravagante.>> rise.
Mise in moto infilandosi nel traffico di New York. L'intera macchina era invasa dal suo profumo dolce, mandandomi il cervello in pappa.
<<Devo prendere delle precauzioni per la pioggia.>>
<<Non ce l'hai la macchina?>>
<<Non ho neanche la patente.>>
Lui si voltò a guardarmi per un secondo, sconvolto dalle mie parole. <<Sul serio? Quanti anni hai, si può sapere?>>
<<Ne compio ventuno fra alcune settimane. In realtà è una storia bizzarra, mi hanno bocciato all'esame di guida un bel po' di volte. A quanto pare ho distrutto la macchina di prova.>> ridacchiai seguita da lui.
Amavo sentirlo ridere.
<<Allora mi tocca scarrozzarti al dormitorio ogni sera.>>
<<Non deve farlo, professore. È stato molto gentile da parte sua decidere di accompagnarmi, non so come ringraziarla.>> gli sorrisi per poi tornare a guardare la strada davanti a me.
<<Stavo scherzando. Per me non è un problema, signorina Evans. Ti ho dato il mio numero, quando avrai bisogno di un passaggio fammelo sapere.>> accese il riscaldamento, spostando la ventola verso di me.
Non lo facevo così premuroso. Forse non ero mai uscita con un vero gentiluomo, ma vederlo così disponibile con i suoi studenti era una bella soddisfazione.
<<Abita qui vicino?>>
<<In realtà possiedo una casa in riva a un lago. Sapessi che pace stare a contatto con la natura.>>
<<Posso immaginarlo. Ha una fidanzata?>>
L'ho sul serio detto ad alta voce?
<<No.>>
Annuii distrattamente, cercando di cambiare argomento. <<Mi piace la sua auto. Quanto va veloce?>>
<<Non ti piacerebbe saperlo.>>
Sembrava che fosse disturbato dalla mia domanda riguardante la sua fidanzata. Non volevo essere indiscreta, ma quando sono nervosa parlo troppo.
<<Allora...>> attirò la mia attenzione. <<Ti va una pizza?>>
<<Sarebbe l'ideale. Conosco un posto vicino Central Park, fanno una pizza deliziosa. È come tornare in Italia per me. Mia madre mi ci portava sempre quando ero piccola, ci divertivamo un mondo a Roma.>>
Lo sentii ridere sommessamente. <<Cristo, quanto parli!>>
Abbassai lo sguardo, zittendomi. Parlavo un po' troppo, ma nessuno mi aveva detto apertamente che ero una gran chiacchierona, a parte mia madre.
Lui sospirò. <<Sono stato inopportuno, ti chiedo scusa.>>
<<Non importa. Sa che c'è? Non ho molta fame, potrebbe accompagnarmi al dormitorio?>>
Forse ero troppo esagerata, ma il suo atteggiamento mi aveva ferita. Sapevo di avere dei difetti e lui me li rinfacciava tutti, in più chiedere scusa non metteva a posto le cose.
<<Mi dispiace, Silvia. A volte mi comporto da stronzo, me ne rendo conto, ma non voglio che pensi che io ce l'abbia con te. Sono il tuo professore e sono anche il professore di tutti i tuoi compagni, è mio dovere prendermi cura dei miei studenti e fargli apprendere la letteratura. Però questo non giustifica il mio atteggiamento nei tuoi confronti.>> mi fece un debole sorriso prima di tornare a guardare la strada. <<Come si chiama questa pizzeria?>>
<<Pizzeria Capote, deve girare a destra.>>
Il professor Downey fece come gli dissi e fermò la macchina proprio davanti al locale. Prese l'ombrello dai sedili posteriori e uscì per poi fare il giro e venire ad aprirmi la portiera. Mi attirò sotto il suo stesso ombrello, così me lo ritrovai a pochi centimetri dal mio corpo. Mi fissò per qualche secondo, posando delicatamente la mano sulla mia schiena, infine mi condusse all'interno della pizzeria.
I tavoli erano posizionati all'interno di una sala piuttosto intima, coperti da tovaglie a scacchi bianchi e rossi. L'atmosfera era tipicamente italiana e per un attimo mi sentivo a casa mia.
Subito il proprietario della pizzeria venne verso di noi con un sorriso a trentadue denti. <<Dolce Silvia, è sempre un piacere vederti.>> mi baciò entrambe le mani, sorridendo.
<<Ciao, Tony. Anche per me è bello vederti.>>
Poi rivolse uno sguardo al mio professore mentre prendeva l'impermeabile dalle mie mani, appendendolo vicino la porta. <<E questo gentiluomo immagino sia il tuo fidanzato.>>
Mi strozzai con la mia stessa saliva e per poco non iniziai a tossire come una dannata. Eppure il professore non sembrava contestare. <<No, non lo è. È... mio zio.>> mi affrettai a dire.
<<Capisco. Allora, volete un tavolo?>>
<<Oh no, pizze a portar via.>>
Il professor Downey posò la mano sulla mia spalla, richiamando la mia attenzione. <<Possiamo cenare qui se ti va. Non ho altri impegni per la serata.>> infilò le mani in tasca, attendendo la mia risposta.
Cenare da sola con lui mi avrebbe messa in imbarazzo, ma dall'altra parte mi sarebbe piaciuto parecchio. <<D'accordo.>>
Tony ci chiese di seguirlo e ci fece accomodare a un tavolo vicino la porta a vetri che dava sull'esterno. New York era meravigliosa di notte, un vero spettacolo di luci. Infine Tony ci portò i menù e ordinammo le nostre pizze.
Evitai lo sguardo del mio professore per un po' di tempo, finché non richiamò la mia attenzione. <<Perché gli hai detto che sono tuo zio?>> non sembrava infastidito, piuttosto divertito.
<<Cosa avrebbe pensato se gli avessi detto che lei è il mio professore? L'ho fatto anche per proteggere la sua reputazione, non è raccomandabile invitare una studentessa a cena.>> ci scherzai un po' su per allentare la tensione.
<<Non la vedrei proprio così. Non ti ho invitata a cena, ti ho accompagnata a mangiare un boccone per discutere sulla presentazione della settimana prossima.>>
Dio, la presentazione!
<<Che argomento sceglierai?>>
<<Beh, essendo per metà italiana pensavo di poter parlare di Dante e della Vita Nuova. Non credo che i miei compagni possano scegliere lo stesso argomento.>>
Il professore annuì, tenendo i suoi grandi occhi castani fissi nei miei. Era un uomo così bello che stentavo a credere fosse vero. Mi piaceva il modo in cui si passava nervosamente la mano tra i capelli, oppure quando mi fissava per captare le mie emozioni. Non c'era niente che non andasse in lui, non aveva neanche la gobba sul naso o la fronte troppo alta, era totalmente perfetto. Vederlo seduto a un tavolo insieme a me mi faceva credere che fosse un appuntamento, anche se in realtà non lo era.
<<Hai sempre vissuto a New York?>>
<<Quando ero piccola vivevo in Italia, ma poi mio padre ha trovato lavoro a Brooklyn e ci siamo trasferiti quando avevo quattro anni. Mia madre mi ha sempre letto le opere di Dante o di altri poeti come Leopardi o Manzoni. Insegnava antologia al liceo di Roma prima di trasferirci.>> spiegai.
Il professor Downey ascoltò senza interrompermi, domandandomi se mi mancasse l'Italia e se avevo intenzione di tornarci. Non credevo di poter avere una conversazione così tranquilla con lui, ma era bello parlare liberamente senza essere giudicata.
<<Lei è mai stato in Italia?>>
<<Parecchie volte. È meravigliosa, ogni cosa di Roma, Firenze o Venezia mi affascina. Sono un appassionato d'arte, ho visitato la Galleria degli Uffizi, il Colosseo e perfino la fontana di Trevi.>>
Quell'uomo aveva tutto ciò che una donna potesse desiderare.
<<Prima ha detto che abita qui vicino, ma gira voce che prima di diventare professore abitasse nel centro di Manhattan.>>
Le nostre pizze arrivarono, calde e fumanti. Il professore non si lasciò distrarre e rispose alla domanda. <<A Manhattan ero l'amministratore delegato dell'azienda di famiglia, ma quella vita non faceva per me. Diventare professore è stata la mia vocazione, mi piace diffondere la mia conoscenza.>>
A quel punto lo vidi tagliare la pizza con coltello e forchetta, così lo fermai subito. <<Fa sul serio? La pizza si magia con le mani, per l'amor dell'Italia!>> lo rimproverai.
Lui rise, addentando un trancio rigorosamente con le mani, come gli avevo detto di fare. <<Farei portare una bottiglia di vino ma sarebbe inappropriato, data la situazione. In più non hai ancora l'età legale per bere.>>
<<Le ho già detto che fra alcune settimane compirò ventun anni, non sarà una tragedia se accorcio i tempi e bevo un sorso di vino.>>
<<Sarei un pessimo esempio se ti lasciassi bere.>> mi guardò.
<<Non sarebbe una tragedia, è solo vino.>>
<<Ti prego, so che avrai già bevuto la qualsiasi, alla tua età è normale. Ma, come tuo professore, è mio dovere impedirti di assumere alcol.>> poi si fece portare una bottiglia di vino rosso italiano, versandone un po' in due calici. <<Ma per questa sera sono tuo zio, quindi te lo lascerò fare.>>
Ridi sommessamente. <<Lei ha una cattiva influenza su di me, professor Downey.>>
Fece spallucce, bevendo il suo vino.
Finimmo la pizza e, dopo aver ringraziato Tony per la cena, il professore mi riaccompagnò al dormitorio. Non mi aveva neanche lasciato pagare la mia parte, aveva insistito per pagare il conto tutto da solo.
La macchina si fermò davanti al dormitorio, così lui scese e mi venne ad aprire la portiera con l'ombrello tra le mani. Mi accompagnò sotto la tettoia, aspettando che dicessi qualcosa. <<Grazie mille per la cena e per il passaggio, professor Downey. È stato davvero gentile da parte sua.>>
Il professore sorrise. <<Sei di buona compagnia, signorina Evans. Dovremmo farlo più spesso.>> ammiccò per poi tornare in macchina e andarsene.Spazio me:
Sclero da sola per quanto il professor Downey sia carino (a volte)
Spero che la storia vi stia piacendo, volevo staccarmi dalle solite cose anche se le daddy su Robert rimarranno il mio punto fisso per sempre.
Hihihi ❤️

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𝐴 𝑆𝑖𝑙𝑣𝑖𝑎 - 𝑅𝑜𝑏𝑒𝑟𝑡 𝐷𝑜𝑤𝑛𝑒𝑦 𝐽𝑟.
FanfictionSilvia è sempre stata una ragazza rigida alle regole, piena di passioni e sogni nel cassetto. Raramente capita che alzi la voce con qualcuno o che infranga le regole stesse, ma un uomo in particolare riuscirà a far crollare tutte le sue ambizioni e...