Capitolo 56- Baratro

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Silenzio. Era ciò di cui aveva bisogno. Nessun rumore, nessun suono anche il più impercettibile poteva permettersi di esistere. Era insensato qualcosa doveva pur sentire. Un ronzio di un insetto, lo scricchiolare improvviso dei mobili, una goccia d'acqua di un rubinetto che perdeva, la macchina solitaria per la strada, il rientro tardivo di inquilini del piano superiore. Niente raggiungeva le sue orecchie come se si trovasse in una stanza ovattata, priva di qualsiasi suono anche il più insignificante come il battito delle ali di una farfalla.

Buio. La luce seguiva l'andamento del suono, era addirittura scomparsa prima di esso. Il nulla o in alternativa il vuoto si prefigurava davanti i suoi occhi. Un senso di solitudine permaneva in lui.

Era da solo in quel luogo, in quel letto.

Jimin passò una mano sopra il freddo materasso nella parte libera dal suo corpo. In quello stesso letto aveva dormito il ragazzo che amava, Yoongi. Si era aggrappato al cuscino per poter imprimere tra le sue narici il profumo dell'altro pensando di soffocare quel primordiale bisogno di avere un abbraccio da lui. Eppure anche quell'odore era sparito.

Non solo quello, non riusciva più a sentire nulla come se il suo stesso naso avesse smesso di funzionare. Si alzò colpito da quella considerazione forse in modo troppo velocemente dato che la stanza aveva iniziato a girare pericolosamente.

La stanza? Non c'era nessuna stanza, solo il vuoto intorno a lui.

Poggiò i piedi sul pavimento, o quello che poteva essere, il nero pece dell'oscurità lo confondeva. Non sentiva nulla sotto la pianta del piede né quel tipico freddo delle mattonelle né la loro ruvidità.

Si aggrappò alle lenzuola pensando di poter cadere da un momento all'altro. Sapeva bene dove era. In un sogno, nel suo solito sogno.

Gli incubi talvolta potevano essere diversi, ma in fin dei conti rappresentavano sempre le stesse paure inconsce.

Solo. Jimin era solo. Quel ragazzo di nome Yoongi divenuto la sua ancora di salvezza, la sua fonte di vita, il suo amore, l'aveva abbandonato. La colpa era sua, non aveva saputo sfruttare la situazione, non aveva saputo insistere su se stesso, non aveva saputo uscire da quel nero pece.

Jimin cadde improvvisamente in quel vuoto. Se lo era immaginato finiva sempre così, eppure tutte le volte non aveva neanche le forze per svegliarsi.

Sentì qualcosa pizzicargli la faccia come se minuscole particelle invisibili stessero fluttuando nell'aria e l'unico loro obbiettivo fosse il volto del ragazzo stesso. Si accorse essere sabbia solo quando sentì quel suo sapore amaro riempirgli la bocca.

Lo scenario era cambiato, eppure sempre quella solitudine era la prima se non l'unica emozione che gli veniva trasmessa. Il buio aveva lasciato spazio ad una luce accecante e ad un calore eccessivo. Quel vuoto iniziale si era trasformato in un deserto raccapricciante ricco di sabbia e di immagini ben note fluttuanti come quadri appesi ad una galleria d'arte solo che niente li sorreggeva.

Jimin aveva paura a compiere un altro passo. Non voleva ricordare. Tentava di rimanere immobile con tutte le sue forze e chiuse gli occhi così da non poter vedere quelle suddette immagini, ma nonostante ciò si ritrovò a guardarle.

Erano le volte in cui si era sentito umiliato, depresso, sopraffatto da ciò che quelle voci avevano portato con se. Ricordi in cui era stato toccato senza permesso, le volte in cui aveva negato con disperazione l'inesattezza di quelle voci a chi andava a cercarlo credendo in esse, erano i momenti in cui si era sentito inerme di fronte a quegli occhi maliziosi e scrutatori, erano i pianti di essere solo un misero oggetto sessuale, i lamenti di frustrazione ai piedi di un water mentre rigettava ogni singola cosa che aveva mangiato.

Ananke: The DestinyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora