«Te lo avevo detto che non dovevi fare finta di nulla» mi disse Aizawa mentre mi fissava leggermente arrabbiato. «Non pensavo fosse così grave. Sembrava più piccola la ferita» cercai di giustificarmi e nel mentre mi guardai l'addome fasciato. Alla fine Eraser mi aveva costretta a farmi visitare e i medici avevano deciso di ricoverarmi. Avevo una profonda ferita all'addome che ora avevano richiuso con dei punti e mi avevano fasciato. Non erano stati lesionati organi o punti vitali ma decisero di tenermi sotto osservazione per un paio di giorni. Ero sdraiata sul lettino e mi avevano dato degli antidolorifici contro il dolore che cominciai ad avvertire quando l'adrenalina era cominciata a calare. Mi voltai nuovamente verso l'uomo che si era seduto su una sedia affianco al mio letto. «Non devi per forza rimanere. Ho 24 anni e posso superare una notte in ospedale anche da sola» dissi sorridendo leggermente. Non volevo che passasse tutta la notte in ospedale per colpa mia.
Lui mi ignorò e chiuse gli occhi. Lo osservai e dopo alcuni secondi decisi di imitarlo e provare a dormire. Passarono i minuti ma non riuscivo ad addormentarmi perciò riaprii gli occhi. «Neanche tu riesci a dormire?» mi chiese Aizawa e voltandomi verso di lui scossi la testa. «Ti va di parlare un po'? Magari ci conosciamo meglio. Potremmo raccontare qualche cosa divertente che ci è successa» dissi guardandolo negli occhi. Restò zitto. Non si mosse e dopo un paio di secondi cominciai a sentirmi in imbarazzo.
«Scusa...fa come se non avessi...» ma prima che riuscissi a finire la frase Aizawa mi interruppe cominciando a parlare. «Una volta il mio migliore amico portò un gatto randagio a scuola perché fuori pioveva e sono stato tutto il giorno con il biberon in mano cercando di farlo mangiare. I professori mi guardavano un po' male all'inizio ma poi mi lasciavano fare. Alla fine quando riuscii a fargli bere il latte esultai urlando e il professore mi guardò male perché stava facendo lezione» disse e sorrise leggermente al ricordo e io mi misi a ridere.
«Ora tocca a te» disse guardandomi curioso. Ci pensai e sorrisi ricordando quel giorno. «Il mio migliore amico era daltonico e alle medie quando facevamo arte mi chiedeva quali colori erano quelli che prendeva. Un giorno, poco prima di consegnare la tavola gli dissi che aveva sbagliato tutti i colori e il disegno non aveva un senso. Un nostro compagno di classe mi resse il gioco e gli facemmo prendere un infarto» raccontai e mi scappò una risata. «Io vi avrei ucciso» rispose Aizawa sorridendo di nuovo. Cavolo se il suo sorriso era bello. Era un sorriso semplice. Un sorriso sincero e istintivo. Il suo sguardo sembrava più profondo. I nostri occhi erano incatenati. Non sapevo il motivo ma ero come ossessionata dalla misteriosa oscurità che si celava nelle sue iridi.
«Tocca a me?» i miei pensieri vennero interrotti dalla voce di Aizawa. «Cosa?» chiesi tornando alla realtà. «Ho chiesto se è il mio turno raccontare qualcosa» rispose l'uomo guardandomi e aspettando una risposta. «Si» risposi velocemente. «Ok...cosa posso raccontarti?...» si chiese Eraser a bassa voce abbassando lo sguardo e osservando il lettino. Dopo alcuni secondi lo rialzò e mi guardò.
«Quando ero piccolo...un giorno arrivarono due agenti della polizia a casa mia perchè erano stati chiamati dai vicini a causa di alcuni rumori che però non provenivano da noi e quando io vidi gli agenti cominciai a fare il suono della sirena ma uno di loro mi disse che stavo facendo la sirena dell'ambulanza e non quella della polizia. Così li obbligai a restare lì una buona mezz'ora a farmi spiegare i diversi tipi di sirene e c'era mia madre che mi diceva di lasciarli andare perchè dovevano lavorare ed io mi arrabbiavo con lei perchè volevo imparare tutte le sirene». Scoppiai a ridere e Aizawa sorrise. «Fino a cinque minuti fa neanche me la ricordavo questa cosa. Però le sirene ora le conosco tutte» disse l'uomo appoggiando la testa sul lettino.
Capii che era stanco e temendo che sulla sedia stesse scomodo lo invitai a sdraiarsi con me sul lettino, ma lui rifiutò. «Ma dai. Non ti sto mica chiedendo di fidanzarti. Non siamo più quindicenni. Non c'è problema. Mi dispiace vederti dormire sulla sedia» replicai facendogli segno con la mano di sdraiarsi affianco a me. Mi guardò titubante e poi si arrese. Si tolse le fasce e gli occhiali dal collo e li posò sulla sedia sdraiandosi accanto a me.
Chiusi gli occhi e ascoltai il suo respiro calmo. Il calore del suo corpo mi avvolse e i suoi capelli mi sfiorarono il viso. Mi sentii tranquilla in quel momento, cullata da quella calma, mi addormentai.
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Il nostro forse-Aizawa×OC
FanfictionAizawa×OC «Una frase di un poeta che ti piace?» chiese e rimasi un paio di secondi in silenzio a guardarlo. «C'è una frase di un poeta: Leopardi...» dissi. «Il "forse" è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre delle possibilità, no...