Mi giravo e rigiravo tra le lenzuola. Non riuscivo a dormire. Ogni volta che chiudevo gli occhi tornavano nella mia mente gli avvenimenti della giornata. Vedevo Tokiko a terra, risentivo la storia di Arcanum, le parole del medico e poi arrivava il ricordo peggiore: Aizawa che mi chiamava e io lo ignoravo. Sentire il suo tono preoccupato e forse anche leggermente ferito dal mio scappare. Non ci riuscivo. Non riuscivo a sostenere il peso di tutti quei pensieri.
Mi passai una mano sul viso. Rivolsi lo sguardo alla sveglia sul comodino per leggere l'ora. Erano le 2 di notte e mi arresi all'idea di dormire. Mi alzai e mi diressi verso il piccolo balcone della mia abitazione. Uscii e sentii le piastrelle fredde sotto i miei piedi nudi. Un leggero vento freddo mi arrivò con dolcezza, ma rabbrividii lo stesso. Osservai i palazzi illuminati dai neon. Il cielo era nuvoloso e le stelle erano nascoste.
Forse avrei dovuto mangiare qualcosa. Era da colazione che non mettevo niente sotto i denti. La fame c'era, ma avevo un senso di nausea che da qualche giorno mi attanagliava. Non era una sensazione continua, arrivava e spariva senza motivo. L'idea di mangiare qualcosa non era poi una così grande idea. Solo il pensare del cibo mi disgustava in quel momento.
"Chissà cosa sta facendo Aizawa?" pensai continuando ad osservare le strade sotto di me. Ero stata ingiusta con lui. Voleva solo provare a capirmi. La verità è che l'ho salvato in questo modo. Non riesco mai a controllare la rabbia. Tutto ciò che ho dentro esce fuori con un piccolo pretesto e quando succede...io...
Quando succede rischio di fare seriamente del male a qualcuno. Non pensate ad un male fisico, non sono mai stata una persona violenta. Il male a cui faccio riferimento io è un altro tipo di dolore. Le parole escono e io non le controllo. Posso dire cose che non penso. Ho ferito tante persone a cui non avrei mai voluto fare del male e in quel momento rischiavo solo di farlo anche con Shōta.
Dovevo scusarmi. Non potevo fare finta di niente questa volta. «Domani mattina andrò a casa sua» pensai ad alta voce. Non potevo aspettare che finisse il weekend e di vederlo lunedì al lavoro. Il senso di colpa mi aveva divorato già questa notte e non potevo sopportarlo ancora.
*
Arrivata la mattina mi preparai velocemente e uscii di casa. Le strade erano già affollate e il freddo mi faceva rabbrividire. Arrivai a casa sua e rimasi qualche secondo a osservare la porta. E se non avesse voluto vedermi? Non potevo biasimarlo. Me ne ero andata e avevo ignorato tutti i suoi messaggi. Lui non aveva colpe, ma io lo avevo trattato come la causa di tutto quello che era successo.
Dopo diversi ripensamenti presi coraggio e suonai il campanello. Passarono alcuni secondi, ma non ricevetti risposta. Riprovai ma anche questa volta non rispose nessuno. Pensai che mi stesse ignorando e riflettei su cosa dovessi fare. «No, Aizawa non è uno che ignora. Preferisce le cose dirette» dissi tra me e me.
Pensai che probabilmente non era in casa e me ne andai. Uscita dal cancelletto sentii il mio stomaco brontolare. Era da quasi 24 ore che non mangiavo niente. Mi avviai verso l'ospedale e lungo il tragitto mi fermai a comprare qualcosa da mangiare. Mentre camminavo con il tramezzino in mano pensavo a come scusarmi con Aizawa. Avevo solo quello come pensiero in testa.
Senza accorgemene arrivai in ospedale e, una volta finito di mangiare, entrai. Mi diressi verso la stanza di Tokiko e una volta arrivata bussai. «Avanti» sentii dire da una voce femminile ed entrai. Tokiko mi accolse con un dolce sorriso che ricambiai. «Come stai?» chiesi sentendomi quasi stupida per quella domanda. Come poteva stare dopo tutto quello che le era successo? «Ho avuto giorni migliori» rispose con un sorriso forzato. Aveva gli occhi leggermente arrossati e sembrava che non avesse dormito.
Mi sedetti affianco al lettino su cui era semisdraiata. «Tu, invece? Come stai? Ieri Aizawa è tornato da solo e mi ha detto che non ti eri sentita bene» mi chiese gentilmente Tokiko. «Sto meglio» mi limitai a rispondere. «Meno male» concluse lei per poi rivolgere il suo sguardo verso le lenzuola.
«Sai...capisco quello che mi hai detto ieri» cominciò a parlare e io la osservai leggermente confusa. «Lo so che usare il mio quirk mi potrebbe portare danni che mi rovinerebbero la vita» continuò «ma...io devo lottare. Io devo fare giustizia ad una persona che mi è stata portata via». "Shiroka" fu la prima cosa a cui pensai...voleva vendicarlo.
Appoggiai la mia mano sulla sua. Fu l'unica cosa che riuscii a fare. Non so se stesse a simboleggiare il mio disappunto o il mio appoggio. Cosa potevo dirle? Io al suo posto avrei fatto la stessa identica cosa. Anch'io avrei cercato vendetta se avessi potuto. Non ero poi così diversa da lei.
*
Sentii un lamento provenire da Tokiko e mi girai preoccupata. Si teneva le mani sul ventre e si era piegata leggermente in avanti. «Tutto ok? Vuoi che chiamo qualcuno?» chiesi. Una piccola risata uscì dalle sue labbra. «Non serve» rispose sorridendo e probabilmente trattenendo una leggera risata. «Spero solo che non si noti con queste lenzuola bianche che mi ritrovo» continuò e una volta capito la mia paura se ne andò. «Mi è preso un infarto» dissi cominciando a ridere e lei si unì alla risata.
«Ogni volta ho dei dolori allucinanti» rispose avvicinando le ginocchia al petto. «Ti capisco» risposi. L'ultima volta che mi era arrivato il ciclo non riuscivo praticamente a muovermi...
«Ora che ci penso» dissi e una grande paura sorse in me «questo mese ancora non mi è arrivato».Tokiko mi osservò con gli occhi leggermente spalancati e rimanemmo entrambe in silenzio. «Allora che aspetti?» Nashikawa ruppe il silenzio «Vai a comprare il test!»
*
Il test era rivolto verso il basso. Né io né Tokiko avevamo il coraggio di guardare il risultato. Dopo qualche minuto allungai la mano tremolante e sollevai il test. «Non può essere» fu l'unica cosa che uscii dalle mie labbra.
Era positivo...
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Il nostro forse-Aizawa×OC
FanfictionAizawa×OC «Una frase di un poeta che ti piace?» chiese e rimasi un paio di secondi in silenzio a guardarlo. «C'è una frase di un poeta: Leopardi...» dissi. «Il "forse" è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre delle possibilità, no...