«Quanti pensieri vedo nei tuoi occhi piccola mia» una debole voce femminile mi fece tornare alla realtà. Alzai leggermente lo sguardo e davanti a me vidi un'anziana signora seduta su una delle grandi radici che sbucavano fuori dal terreno. Mi osservò e mi sorrise. «Cosa ti affligge?» chiese in tono dolce e continuai ad osservarla. Non sapevo cosa rispondere. Una domanda all'apparenza così semplice e scavando più a fondo così complessa. Non trovavo le parole che secondo me potevano descrivere ciò che provavo e l'unica cosa che riuscii a rispondergli forse non era neanche una risposta valida ma era l'unica che ero riuscita a trovare in quel caos che avevo dentro.
«Non lo so» mormorai abbassando nuovamente lo sguardo. «Amore?...odio?...a volte questi due sentimenti sono così simili che non capiamo quando oltrepassiamo la linea che li divide» replicò l'anziana e quelle parole entrarono nella mia testa dando vita a nuovi pensieri che violentemente si univano a quelli già presenti e che non riuscivo a controllare. Non riuscivo ad odiarlo ma non potevo neanche amarlo. Shock non me lo avrebbe mai perdonato. Inoltre eravamo due opposti. Appartenevamo a due mondi completamente diversi.
«Non funzionerebbe mai...siamo come...come due rette parallele. Non siamo destinati ad incontrarci. Siamo destinati a rimanere distanti» pronunciai quelle parole avvicinando le ginocchia al petto e allacciandole con le braccia. Sentii gli occhi pizzicare e lottai per frenare le lacrime che minacciavano di uscire.
«Una volta...» riprese l'anziana sorridendo dolcemente mantenendo lo sguardo su di me «ho sentito parlare un signore...credo fosse un professore...che parlava al figlio proprio delle rette parallele e se non mi sbaglio...aveva menzionato una teoria che mi aveva colpito anche se sono abbastanza ignorante in materia». Alzai lo sguardo incuriosita dalle sue parole mentre la vista stava tornando nitida. «"Due rette parallele possono incontrarsi se gli si attribuisce il valore dell'infinito"» affermò la donna e dopo essersi presa un paio di secondi per scrutarmi continuò «Quindi ora ti faccio una domanda. Voi due valete l'infinito?» e pronunciate queste parole calò il silenzio.
Riflettei su quella domanda. Io e Shōta valevamo l'infinito? Che poi cosa voleva dire? Valore...dare un valore...io e lui valevamo l'infinito? Sorrisi sentendo crescere un enorme si nella mia testa e nel mio petto. Comparì sul mio volto un sorriso amaro che scomparve non appena ricordai lo sguardo deluso di Tokiko quando entrò in sala professori quel giorno. Osservai l'anziana che nel mentre si era voltata e osservava il paesino che dalla nostra posizione potevamo vedere quasi interamente. Avrei voluto urlargli dicendogli che si...noi valevamo l'infinito...anzi...forse l'infinito non era abbastanza per noi. Rimasi un paio di secondi ad osservarla ma quando parlai le uniche parole che uscirono furono quelle dettate dal mio cervello «È solo una teoria...potenzialmente è follia» sputai con più acidità di quanta avrei voluto.
La donna si voltò verso di me e sorrise rivolgendo nuovamente lo sguardo verso il paesino. «La vita è tutta un equilibrio sulla follia tesoro mio. Una meravigliosa danza di cui non sai mai i passi successivi fino a quando non li devi compiere. Buttati. Cosa hai da perdere se ciò che ami e anche la fonte della tua tristezza?» ribatté e chiuse gli occhi. Si era alzato un leggero venticello caldo e alzai di poco il viso lasciandomi accarezzare.
Potevo far finta quanto volevo. Potevo ignorare le farfalle nello stomaco quando lo sentivo parlare o quando lo vedevo scendere dall'auto. Potevo ignorare quei momenti in cui mi dimenticavo di respirare incantata dalla sua bellezza mentre si legava i capelli o mentre correggeva le verifiche. Potevo ignorare la meraviglia della luce che veniva assorbita dalle sue iridi color carbone. Potevo ignorare la gioia che sentivo quando sapevo che c'erano le sue lezioni. Potevo ignorare l'accelerazione improvvisa del mio cuore quando mi sfiorava con una mano o quando mi toglieva un capello dal kimono. Potevo ignorare tutto questo e altro ma non sarei mai stata felice. La mia felicità era lui.
«Hai un bellissimo sorriso cara. Lo sai?» mi disse la donna e puntai gli occhi su di lei. Non mi ero accorta che avevo cominciato a sorridere. Mi alzai e il sorriso sulle mie labbra divenne sempre più grande. «Grazie» pronunciai e anch'io lasciai che il mio sguardo ricadesse sulle case della gente del luogo, sui campi coltivati e sui pascoli che non erano molto lontano da noi. «Signora?» chiesi e la donna mi sorrise. «Il mio nome è Sakura» mi rispose per poi alzarsi con un po' di difficoltà. I miei occhi si illuminarono. «Sakura...come la ragazza della leggenda?» chiesi anche se non mi aspettavo una risposta che però arrivò subito dopo «Eh già. I miei genitori mi hanno dato questo nome perchè quando sono nata avevo i capelli di un rosa molto acceso. Non come il rosa oramai sbiadito che mi ritrovo». Ringraziai ancora la donna e mi diressi verso la mia auto. Dovevo parlare con Tokiko.
Prima di allontanarmi però una domanda mi assalì e la curiosità prevalse. «Solo una domanda se mi permette» dissi per poi voltarmi verso l'anziana. «Lei ha trovato la sua follia?» chiesi e la donna mi guardò sorridendo. «Anche noi eravamo due rette parallele e posso assicurarti che in quasi 60 anni di matrimonio non mi sono mai pentita e mai mi pentirò di aver passato la vita con il mio Kaete. Sono sicura che fino alla fine mi abbia amata come il primo giorno se non di più e stessa cosa vale per me» rispose. Sorrisi e ringraziandola ancora ripartii verso la città.
Scrissi a Tokiko chiedendole di vederci e lei accettò. Arrivata davanti al cancello chiuso della Yuei scesi dalla macchina e aspettai. I minuti sembravano interminabili e l'ansia cominciò a crescere. Quando vidi da lontano Shock il cuore cominciò a martellarmi nel petto. La salutai e lei fece un respiro prima di cominciare a parlare senza che mi desse il tempo di dire niente. «Prima che tu dica qualsiasi cosa...voglio che tu sappia che mi dispiace. Sei mia amica. Una delle migliori. Voglio che tua sia felice e se stare con Aizawa ti rende felice stai con lui. Io rimarrò tua amica lo stesso. Vedo come vi guardate. Il vostro è vero amore. La mia è solo una cotta. Altrimenti avrei provato tristezza quel giorno quando vi ho visti. Invece ho solo provato...confusione» disse tutto ad un fiato per poi guardarmi negli occhi.
Rimasi in silenzio. Mi ero preparata un discorso e lo avevo completamente dimenticato. Ero sorpresa. Non me lo aspettavo. Sorrisi e sentii gli occhi pizzicare e una lacrima di gioia mi rigò la guancia. Senza pensarci abbracciai Shock e dopo un paio di secondi anche lei mi strinse. Rimanemmo così per un bel po'. Sapevo che per lei non era facile, ma finalmente non c'erano ostacoli tra me e Aizawa. Finalmente potevo essere felice.
Io ero come il sole. Cercavo di essere la luce di chi era nel buio. Lui era come la luna. Aveva fatto del buio il suo riparo. La sua era una solitudine pura, ma questo non gli impediva di fare compagnia anche ai più solitari. Eravamo come il sole e la luna di quella vecchia leggenda. Quella che narra che un giorno il sole chiese alla luna di sposarlo. La luna sapeva che se avesse accettato il sole sarebbe esploso per la felicità e se avesse rifiutato si sarebbe spento per il dolore. Perciò, gli rispose che doveva pensarci e da allora Saturno tiene i loro anelli. Eravamo come il sole e la luna. Ci rincorrevamo senza mai incontrarci, ma adesso era giunto il momento di unirci. La nostra eclissi stava per arrivare...forse
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Il nostro forse-Aizawa×OC
FanfictionAizawa×OC «Una frase di un poeta che ti piace?» chiese e rimasi un paio di secondi in silenzio a guardarlo. «C'è una frase di un poeta: Leopardi...» dissi. «Il "forse" è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre delle possibilità, no...