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La lancetta scorreva tra i secondi del suo orologio, il suo battito era tranquillo come il vento fresco di quella notte.
Le luci della città non riuscivano a raggiungerlo: il tetto era buio e il freddo gli irrigidiva il corpo nonostante il lungo cappotto nero lo stesse coprendo fin sotto le ginocchia. L'oscurità lo avvolgeva, facendolo diventare parte di essa, e lo nascondeva dai giudizi della luna e dagli applausi delle stelle. Il fumo che gli usciva dalla bocca non lo deconcentrò dal montare serenamente l'arma che avrebbe dovuto utilizzare a momenti. E, ben presto, il suo unico occhio buono si avvicinò al cannocchiale per individuare il suo obiettivo, intento a parlare con una donna nell'appartamento dell'hotel accanto. La struttura era più alta rispetto all'albergo sotto ai suoi piedi, e non un singolo centimetro era costituito da mattoni. Vetro, vetro e solo vetro, che avrebbe potuto frantumare con un solo dito. Le luci della città e la grandezza di Chicago incorniciarono la sua gloriosa visuale, e il suo corpo venne improvvisamente assalito da una forte adrenalina....30...29...28...
Il suo dito indice si posizionò sul grilletto. Adesso, dalla sua bocca uscivano solo respiri tranquilli e calcolati. Attese che la donna dal vestito rosso fuoco uscisse dalla camera dell'uomo, in seguito spostò il cannocchiale sulla figura maschile. L'uomo barbuto si avvicinò alla finestra e guardò il magnifico panorama che aveva dinanzi agli occhi, senza rendersi conto che sarebbe stato l'ultimo della sua vita. Luci, palazzi, macchine, persone... Da lassù, tutto sembrava estremamente piccolo. E lui, a sua volta, si sentiva assurdamente grande. Il suo smoking simulava alla perfezione la sua ricchezza e la sua superbia. Il calice di vino rosso gli dava un tocco di classe, nascondendo il suo animo barbarico e crudele. Un solo proiettile, e tutta quell'arrogante grandezza sarebbe stata soffiata via come un inutile granello di polvere.
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Senza alcuna esitazione, il proiettile uscì dalla canna del fucile e tagliò l'aria come un fulmine in un cielo sereno. Girò tra le dita del vento, poi attraversò il vetro ed entrò nella stanza. Lì, si schiantò esattamente nel mezzo della sua fronte. L'uomo era ormai disteso a terra, con le schegge del vetro attorno al corpo e le macchie di sangue sulla camicia. Il liquido rosso si espanse lentamente sotto di lui, sporcando la moquette. Ascoltò da lontano il suo ultimo respiro e guardò dal cannocchiale gli ultimi spasmi della sua figura massiccia. Quando l'uomo si immobilizzò e chiuse gli occhi, il ragazzo si sollevò dal cornicione del palazzo. L'aria si era nuovamente riempita dell'odore di tabacco e, con essa, del rumore del fucile smontato e conservato nella sua apposita custodia. Sollevatosi dal suolo, il giovane portò i capelli corvini all'indietro e fece un ultimo tiro prima di lanciare la cicca della sigaretta giù dal tetto.
Infine, si avviò verso l'entrata dell'hotel...
«Arrivederci.» pronunciò all'uomo dall'altra parte del bancone, uscendo poi dall'edificio. Le luci dei lampioni e dei ristoranti tingevano le strade di diversi colori, le auto facevano rumore sull'asfalto bagnato. L'aria era fredda e sapeva di benzina, e il profumo della donna che gli passò accanto lo nascose per pochi istanti. I suoi piedi schivavano le pozzanghere e la sua mano stringeva con forza la valigia. L'altra, invece, era nascosta nella tasca del lungo cappotto. Il suo passo felpato si fermò al limite del marciapiede, in attesa che il semaforo si facesse verde per i pedoni. Di soppiatto, una figura lo affiancò. Il giovane manteneva il capo abbassato, e poté notare delle scarpe in pelle nere e un pantalone scuro coperto da un lungo cappotto. Quando lo sentì schiarire la gola, distolse lo sguardo dalla parte opposta e sospirò.
«Signorino. Ha un minuto?». La voce gutturale attirò la sua attenzione. Adesso, i suoi occhi erano puntati sulla figura che lo affiancava. La luce del lampione che sovrastava le loro teste gli permise di vedere il cappotto nero, le spalle larghe e i capelli grigi tirati all'indietro. Dei guanti in pelle gli coprivano le mani, e una di esse sorreggeva una valigia rigida e marrone. Il suo volto, invece, era in contrasto con la fonte di luce, nascondendosi così alla sua meticolosa analisi. Eppure, per qualche ragione, il giovane aveva la sensazione di conoscere quell'uomo.
«Ci conosciamo?» gli chiese allora, mentre il dolce vento scompigliava i suoi lunghi capelli color corvino. L'uomo non rispose, impegnato a guardarlo dalla testa ai piedi. E citando nella sua mente le descrizioni di coloro che avevano avuto l'onore - o la disgrazia - di conoscerlo, pensò che avessero estremamente sottovalutato la sua idilliaca eleganza per un solo piccolo dettaglio: l'occhio cieco. Quel ragazzo, pensò, aveva tutte le qualità che stava cercando... I suoi occhi urlavano astuzia e il suo viso era tagliente come una lama affilata. Aveva le tenebre attorno a sé, ma queste non nascondevano la sua bellezza. Anzi, sembravano valorizzarla. E la sua iride destra, blu come il cielo, faceva invidia perfino alla luna che - in tutto il suo vanto - si rifletteva in essa per apparire più bella. Alla fine, l'occhio cieco fu l'ultima cosa che notò. L'elegante figura gli diede le spalle e iniziò a camminare lentamente, suggerendo così al giovane di voler essere seguito. Il ragazzo, dopo una piccola esitazione, iniziò a camminare dietro di lui. La zona in cui si addentrarono poco dopo sembrava tranquilla e poco abitata. L'uomo, rimasto zitto per tutto il tragitto, si fermò davanti a un ristorante di cucina francese ed entrò al suo interno. Il minore tra i due riuscì a notare già dall'esterno che fosse quasi del tutto vuoto. Quando entrò, capì che gli unici presenti fossero i membri dello staff.
«Allora?» domandò il ragazzo, interrompendo l'atmosfera agghiacciante che aveva accompagnato i due mentre prendevano posto nel tavolo più vicino alla vetrata. L'uomo gli lanciò una sola occhiata prima di riportare lo sguardo sul menù, da cui lesse ad alta voce: «GrandCru di Montrachet!».
Il cameriere prese l'ordinazione e andò via dopo un leggero inchino, lasciandoli soli. Con la limpida illuminazione del ristorante, il ragazzo comprese finalmente chi fosse quell'uomo... «Il Signor William Atkins.» esclamò. Uno degli uomini più ricchi e potenti di Chicago, si ritrovò a pensare. Giravano molte voci sul suo conto... Tra di esse, si diceva che fosse alla ricerca di un famoso criminale chiamato L'Occhio del Diavolo. Il Signor Atkins gli rivolse un'occhiata quando sentì il suo nome venir pronunciato dalla voce profonda. Nel frattempo, accese un sigaro, fece uscire la prima nuvola di fumo dalla bocca e, infine, lo portò nel lato sinistro di essa. I suoi occhi scuri si lasciarono avvolgere dalle tenebre che infangavano le iridi dell'altro, e un brivido gli attraversò improvvisamente la schiena quando notò il suo stesso riflesso nell'occhio cieco. Sfilò via il sigaro dalla bocca, poi congiunse le mani in un unico pugno davanti al viso ricoperto per metà da una folta barba. E tra le mani del silenzio, finalmente parlò.
«Era da tempo che volevo parlare con lei, Azazel Donovan...»
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L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)
Storie d'amoreGli occhi sono davvero lo specchio dell'anima? Nonostante non ci sia una vera e propria risposta a questa domanda, coloro che sono entrati in quell'occhio e hanno avuto la fortuna di uscirne vivi raccontano di aver visto l'anima del Diavolo al suo i...