Le note del pianoforte riecheggiavano in tutta la struttura, riempiendo le mura di infinita tristezza. Eren iniziò a suonare nell’istante in cui Azazel entrò in quella stanza, e non smise nemmeno quando da essa vi uscì il medico. Quella malinconica melodia rendeva straziante l’attesa, e il cigolio del pianoforte accompagnava la serena musica che la pioggia produceva contro le finestre. Iniziava a fare freddo, il riscaldamento dell’abitazione non aveva fatto in tempo ad azionarsi per mandarlo via e il pavimento in legno non aiutava di certo. Per un piccolo istante, il ricordo di quel dolce ed inquietante castello riaffiorò nelle menti di quei ragazzi. Le porte chiuse e inesplorate; le finestre che, malfunzionanti, lasciavano la possibilità al vento di entrare; il dolce profumo dei pini e della cioccolata calda, la nuvoletta di vapore che usciva dalle loro bocche quando i camini non bastavano a riscaldare ogni angolo. E il suono del pianoforte che puntualmente si andava espandendo per i corridoi insieme alla tristezza del suo creatore… Uscito dalla stanza, l’infermiere venne avvolto da tre figure, accompagnate da quella leggiadra melodia.
«Allora? Come sta?» chiese Ash, spalancando gli occhi. La sua testa venne immediatamente annebbiata dal sospiro dell’uomo.
«L’iniezione è stata un successo. Adesso il Signorino Donovan sta dormendo, ma…» iniziò. «Dalle analisi, abbiamo riscontrato delle anomalie. Il suo corpo è privo di ogni valore nutrizionale, le cellule sono collassate per il 46,83% e l’intero sistema immunitario con loro… Questo ci fa pensare che-»
«Che ha fatto dipendere la sua vita dalla forza che il siero gli concedeva.» lo interruppe il biondo, mentre il suo viso si contorceva dalla rabbia. Aveva notato il modo in cui Azazel trattava il suo corpo, ma non si aspettava percentuali così alte. Si era autodistrutto, adesso ne era consapevole più che mai.
Il medico annuì, e Denver deglutì pesantemente.
«Cosa significa?» domandò Ray, portando le attenzioni di Ash su di sé.
«Il siero gli permetteva di vivere anche senza mangiare, gli aveva costruito un sistema immunitario infallibile e… E la sua forza dipendeva solo da quello.» rispose, abbassando lo sguardo verso terra. Il cuore gli salì in gola e un improvviso senso di colpa gli impedì di continuare il discorso. Perché non era mai intervenuto nonostante sapesse? Quella domanda gli balenò nella mente finché non gli venne una forte emicrania.
«In parole povere, il vostro amico ha bisogno di molto riposo. Gli abbiamo somministrato varie dosi di flebo, ma è ancora molto debole… Il suo battito e il suo respiro sono quasi inesistenti. Ci vorrà un po’ di tempo affinché si rimetta. Assicuratevi che segua una buona dieta e che faccia la giusta dose di esercizio fisico. Non lasciate che ne abusi, potrebbe rompersi qualcosa per l’assenza di calcio e ferro nelle ossa. E non fatelo agitare, potrebbe collassare facilmente.» spiegò l’uomo, ricevendo un cenno col capo da parte dei tre ragazzi.
«Entrate uno alla volta.» disse infine, allontanandosi verso la parte più lontana del corridoio. I tre si guardarono dritti negli occhi, e Ray e Denver fecero immediatamente un passo indietro. Da ciò, Ash comprese di aver avuto l’onore di entrare per primo. Ringraziò con un cenno del capo e lasciò che la porta si aprisse dinanzi a lui. La stanza era immersa nel buio. Il lampadario attaccato al soffitto non emanava abbastanza luce da illuminare ogni angolo… A dire il vero, l’unica cosa che concedeva di vedere era quel dannato lettino bianco dove, sotto le coperte, giaceva un corpo senza forze. Si avvicinò lentamente. E più si faceva avanti, più quella visione lo turbava. Non avrebbe mai potuto pensare che un uomo forte come Azazel potesse ritrovarsi in quello stato… Ebbe la sensazione di star osservando un enorme fuoco venir spento da una goccia d’acqua fredda, o una tempesta zittirsi al primo spiffero di luce solare tra le nuvole grigie. Colui che giaceva su quel letto, non era più l’Azazel che mezz’ora prima gli stava urlando contro, o quell’uomo i cui occhi si infuocavano per vendetta o sete di sangue. Sarebbe cambiato? Se sì, in peggio? Avrebbe avuto le forze per camminare, o parlare, o semplicemente fare un cenno col capo? L’antidoto gli avrebbe permesso di tornare umano? Con tutte le sue emozioni e sensazioni? O sarebbe rimasto un blocco di pietra, che all’interno bruciava di passione come fosse un vulcano pieno di lava ardente? Sarebbe rimasto il suo migliore amico, o avrebbe dovuto rinunciare anche a quello? Vederlo lì, su quel letto, con la sua solita espressione impassibile e la cicatrice sull’occhio sinistro, gli creava tale malinconia da rendere più viva la melodia che da minuti viaggiava tra le mura di quella casa. Dentro di sé, la rabbia lo stava mandando fuori di testa. Perché lui? Perché Azazel e non qualcun altro? Come poteva, un padre, avere il coraggio di fare tutto questo al proprio figlio? E come poteva, un essere umano, sopravvivere a tutto quel dolore? Ancora una volta, ebbe la conferma che Azazel di umano non avesse più niente. Solo la voce che non usava mai, le mani che non toccavano mai nessuno, e un cuore che ardeva di un amore che lo stava distruggendo. Il suo passato, il suo presente e il suo futuro lo stavano tormentando a tal punto da voler rinunciare a tutto. Ma era ancora lì. Era ancora vivo. Poteva vedere il suo petto muoversi e la macchina al suo fianco riprodurre il ritmo lento del suo cuore. Azazel era ancora vivo, ma non era più Azazel. La sua espressione mostrava un enorme sollievo per essersi tolto un peso così grande dalle spalle… E questo lo rendeva irriconoscibile. La sua emicrania peggiorò ulteriormente e il suo corpo si accasciò immediatamente sulla sedia che giaceva al lato del letto. Lì, si lasciò andare. Il petto gli faceva così male da riempire i suoi occhi di lacrime… E, prendendo la sua mano tra le dita delle proprie, percepì tutto il dolore di Azazel addosso. Si sentì soffocare da un qualcosa che neanche gli apparteneva. E la sua empatia - che non si era mai rivelata prima d’allora - gli impediva di respirare. Suo padre, il Signor Atkins, Eren, l’antidoto… Perché una sola persona stava portando tutto questo sulla propria schiena? Al contatto col suo palmo, ebbe quasi la sensazione di vedere Azazel su quel dannato filo rosso, in bilico tra i palazzi delle emozioni. La tristezza gli divorò l’intestino quando vide che la casa dentro cui se ne stava quel ragazzo era fatta proprio di tutto quel dolore. Avrebbe voluto distruggere ogni centimetro di quelle mura, che non erano altro che sbarre di una soffocante prigione. Ma Azazel aveva vissuto lì dentro per tutta la sua vita, illudendosi che la definizione di “casa” fosse proprio quella. Ogni mattone era fatto di un’enorme sofferenza, perciò era impossibile distruggerli. E se anche avesse potuto, Ash non l’avrebbe mai fatto. Perché togliere ad un uomo la propria casa, quando quest’ultima era l’unica cosa che gli era rimasta? Alla fine, ogni essere umano si illude di qualcosa. Perciò, perché non lasciare la possibilità anche ad una persona realista come lui di illudersi per una volta? Le lacrime gli scorrevano lungo il viso, bruciandogli la pelle con il loro calore. Era così dannatamente arrabbiato da non riuscire neanche a parlare. Soffocò allora i singhiozzi portando la bocca sul dorso della mano di Azazel, che si bagnò poco dopo di quelle gocce addolorate.
«Azazel…» bisbigliò senza fiato. Le labbra gli tremavano, così come il cuore o qualsiasi arto. Percepiva una melodia di sofferenza sulla pelle del suo amico, sofferenza che stava cercando di mandare via con le sue lacrime… E se non ci fosse riuscito, avrebbe dato anche le sue spalle. Il corvino aprì finalmente gli occhi. E, lentamente, si voltò verso il biondo. La macchina captò il salto che il suo cuore fece alla visione di quelle guance bagnate, e il continuo “bip” si fece improvvisamente più veloce. I suoi occhi si illuminarono… Era Ash.
«Perché piangi? Mh?» chiese il maggiore, quasi totalmente privo di voce. A quelle parole, il biondo lasciò andare la sua mano e usò le maniche della sua camicia per asciugarsi il viso.
«Ero… Ero preoccupato.» esclamò, tirando su col naso. Poi, improvvisamente, abbassò lo sguardo.
«Mi fa rabbia sapere che non ho fatto nulla per impedirti di autodistruggerti…» sussurrò in un pensiero detto ad alta voce. Lentamente, la mano del corvino si avvicinò alla sua guancia e iniziò ad accarezzarla con cura. Ash chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dal calore di quel palmo pallido. Era vivo. E quel pensiero gli fece scivolare un’altra lacrima lungo la pelle bollente del suo zigomo.
«Non è colpa tua, Ash.» bisbigliò Azazel, asciugando quella goccia salata con il polpastrello del pollice.
«Non è mai stata colpa tua.»
Il biondo abbassò il viso e afferrò il suo polso per portarlo sulle coperte. Lì, gli strinse le dita tra le proprie.
«Ma avrei dovuto impedirtelo.»
«Sai bene che non avrei smesso.»
Ash alzò lo sguardo, e l’angolo della sua bocca si sollevò per un attimo. Non stava bene, affatto. Ma Azazel era rimasto lo stesso e questo gli provocò un’immensa felicità.
«Ti avrei costretto, infatti.» gli disse.
«Non sarebbe bastato.» pronunciò il corvino, e il silenzio si espanse nella stanza per qualche istante. Ash fece attenzione al suo occhio cieco… L’assenza di quel siero dal suo corpo aveva riportato un briciolo di luce in quell’iride quasi bianca.
«Perché lo hai fatto? Sapevi bene che con l’antidoto avresti riscontrato delle conseguenze». Azazel sospirò, quasi affaticato. Poi, distolse lo sguardo verso il tetto bianco.
«Avevo perso le speranze. Stavo cercando di velocizzare il processo di distruzione, non mi andava più di vivere in quel modo.»
«Avresti preferito morire?»
A quella domanda, un nodo alla gola chiuse le vie respiratorie del biondo. E alla risposta di Azazel, composta da un semplice “sì” col capo, i suoi occhi tornarono a mostrare il suo dolore.
«Sai, Azazel.» sussurrò, dopo qualche attimo di quiete. «Mi rende triste pensare che avresti preferito porre fine a tutto… Hai me, hai tutti gli altri. E hai anche la forza necessaria per ricominciare da capo e vivere una seconda vita». Azazel si voltò nuovamente a guardarlo, e una scia di ombre gli oscurò le iridi tenebrose.
«Non posso ricominciare da capo, Ash. Ci sarebbero troppe cose da dimenticare.»
«Non devi dimenticare, devi imparare ad apprezzare le tue cicatrici. È in mezzo all’oscurità che nascerà la tua luce.»
Azazel sospirò ancora, ma non disse una parola. E tornò ad osservare il soffitto come se lì potesse leggere il suo copione. Le parole, però, scomparvero come se avesse dimenticato le battute da recitare. Ash aveva ragione, come al solito. Ma non lo avrebbe mai ammesso, né a lui né a sé stesso. Avrebbe continuato a stare lontano dalle persone, anche da coloro che apprezzavano il suo caos tanto quanto il suo ordine. E non avrebbe smesso di odiare le sue cicatrici, o di sbagliare ancora e ancora senza imparare dai suoi errori. Non poteva più distruggersi fisicamente, perciò l’avrebbe fatto mentalmente. Avrebbe riletto il suo dolore dalle cicatrici come fossero un libro che raccontavano le parti peggiori della sua vita. E si sarebbe nascosto tra quelle pagine, al caldo tra la sofferenza e l’eterno tormento.
«La luce mi mette a disagio.» sussurrò tra sé e sé, ma la stanza era così silenziosa da permette anche al biondo di udire. E a quelle parole, egli non reagì con la solita calma che lo caratterizzava. Ash era stanco di vederlo nuotare in un mare pieno di dolore. Perciò, si alzò improvvisamente dalla sedia e si posizionò ai piedi del letto per attirare l’attenzione del maggiore.
«Allora resta nel tuo caos. Resta triste per il resto della vita… Ma almeno abbi il coraggio di dire che ti stai sbagliando. Lo so cosa ti passa per quella testa, so per certo che pensi di non meritare una vita felice. Beh, sappi che la felicità non esiste. Tutti vivono nel loro caos, tutti vivono nell’ombra. Semplicemente, alcuni sono più bravi di altri a capire che arrivati al fondo si può solo risalire. Vuoi restare in quell’abisso per sempre? D’accordo, fallo. Ma giuro, Azazel Donovan. Giuro che, se oserai ammazzarti prima che l’universo decida il giorno della tua morte, ti seguirò fino all’oltretomba per ucciderti di nuovo.»
Ash fece uscire quelle parole con una severità che Azazel non aveva mai visto prima in lui. Urlava come si urla ad un soldato di stare sull’attenti, con un tono così alto da rovinargli la gola. La macchina aveva captato i battiti rapidi del corvino, ma il biondo non lo udì. Continuò, piuttosto, a gesticolare e buttandogli addosso quella cruda verità che in pochi riescono ad ammettere.
E infine, senza lasciargli la possibilità di rispondere, andò via.
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L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)
RomanceGli occhi sono davvero lo specchio dell'anima? Nonostante non ci sia una vera e propria risposta a questa domanda, coloro che sono entrati in quell'occhio e hanno avuto la fortuna di uscirne vivi raccontano di aver visto l'anima del Diavolo al suo i...