- LA SQUADRA DI MEZZANOTTE -

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Al di là del cancello, si poteva assaporare il dolce silenzio di campagna, il lieve suono del vento e l'azzurro di un cielo puro. Il canto degli uccelli risuonava tra i rami, il profumo di quercia e pini accompagnava la fragranza della rugiada. Immensi alberi nascondevano le loro teste dai raggi del sole e una lunga via in pietra si stava pian piano dividendo in due. Percorsero la strada a sinistra, lo sconosciuto davanti e il più giovane - che si lasciò ammaliare dalla tranquillità di quel bosco – dietro di lui. Aveva detto di chiamarsi Alexis Latham, o semplicemente Signor Latham, e che fosse il responsabile della squadra che gli avrebbe di lì a poco presentato. Azazel non poté studiare per bene il suo aspetto, avendo incrociato il suo sguardo una sola volta prima di superare la soglia del cancello. Tuttavia, poteva affermare con certezza che non fosse allenato per via delle sue forme snelle, le gambe slanciate e le braccia estremamente sottili. La barba scura gli copriva metà volto e lo faceva apparire più grande di quanto non fosse. Il suo elegante cappotto nero lo copriva dalle spalle alle ginocchia, i suoi capelli castani si confondevano con il colore delle querce.
Ben presto, le spalle eleganti dell'uomo si spostarono dalla sua visuale, concedendogli di osservare il panorama. Dinanzi a sé, un vasto e calmo lago separava la terra ferma dall'immensa isola che galleggiava sull'acqua. Camminarono lungo il ponte che li collegava, segnato e invecchiato dalle ruote di veicoli a due e a quattro ruote. Infine, percorsero una seconda via in pietra che si espandeva tra gli alberi e permetteva di raggiungere il castello. L'isola era interamente nascosta dalla vegetazione e, nella parte più alta della collina, il palazzo giaceva sotto la luce del sole. Alla fine di quella salita, l'entrata cupa gli anticipò lo stile gotico del resto della struttura. Le statue di Ipazia e Socrate erano incastonate nelle pareti in pietra, sollevate da due pilastri che soffocavano il cancello nero. La scritta "proprietà Atkins" formata dal metallo, però, non attirò la sua attenzione quanto la citazione di Socrate scritta in rilievo sull'arco a sesto acuto:

"όποιος θέλει να κινήσει τον κόσμο πρέπει πρώτα να κινηθεί ο ίδιος"

Il Signor Latham premette con il dito indice il bracciale che aveva al polso, e una voce robotica pronunciò «accesso consentito». Il cancello si aprì, rivelando un giardino circondato da navate laterali e dominato dall'odore di legno massiccio e da schiamazzi. Azazel percepì la morbidezza del prato attraverso le suole delle scarpe, mentre i suoi occhi viaggiavano da una finestra all'altra, incastrate fra statue gotiche e pilastri. La porta d'accesso alla struttura, però, era nascosta dalle ali di un'immensa statua di un angelo, che sembrava sospesa sull'acqua della fontana. Una delle sue ali era piumata, morbida e paradisiaca. L'altra, invece, era appuntita come le fiamme dell'inferno. Quando abbassò lo sguardo ai piedi della fontana, notò cinque figure alzarsi dal suo bordo e disporsi in fila.
«Come già sapete, Azazel sarà il vostro nuovo compagno di squadra. Ash, per favore, mostragli il castello e la sua camera da letto. Il capo vuole vedermi.» disse il supervisore, mostrando sicurezza con la sua postura eretta e le mani congiunte dietro la schiena. Quando, infine, rivolse il corpo verso Azazel, quest'ultimo assunse la sua stessa posizione.
«Ti lascio nelle loro mani.» concluse poi, allontanandosi dalle figure. Una di esse si avvicinò subito dopo, porse la mano all'altro e disse: «Abbiamo sentito parlare molto di te, Azazel. È un onore averti con noi... Io sono Ash, piacere di conoscerti».
Azazel ricambiò la stretta di mano, mentre il ragazzo gli scrutava il viso macchiato dalla cicatrice. I capelli biondo platino gli cadevano sugli occhi azzurri e sulla fronte candida. La sua stretta di mano era sicura, il suo corpo troppo esile per credere che fosse uno dei migliori combattenti. Capì fin da subito che lui svolgesse ruoli più sedentari.
«Loro sono Bryan, Denver, Ray ed Eren.» esclamò, puntando la mano verso ognuno di loro.
Bryan era il più alto, la sua pelle scura splendeva alla luce del sole. Una cicatrice gli divideva il volto a metà, ma furono i suoi occhi neri ad attrarre lo sguardo del corvino. Belli, tenebrosi, profondi. Cosa si celava al di là di quel buio?
Denver fu l'unico a sorridergli quando gli rivolse lo sguardo, rendendo più docile il volto appuntito. La sua chioma castana si nascondeva sotto al cappuccio della felpa e le sue iridi color miele mostravano chiaramente il suo animo buono. Anche lui era esile, ma sembrava quel tipo di figura perfetta per intrufolarsi ovunque. Il Signor Atkins ci sa fare con queste cose, pensò.
Al suo fianco, Ray aveva le mani legate dietro la schiena. Anche lui aveva i capelli scuri, ma i suoi occhi erano cristallini come il cielo che giaceva sulle loro teste. Gli fece un cenno col capo, mentre una delle sue braccia sorreggeva uno skateboard e le sue ginocchia grondavano di sangue. Le spalle larghe e le gambe muscolose gli fecero pensare che lui fosse uno dei più agili nelle sfide corpo a corpo.
Azazel fece per scrutare l'ultimo ragazzo, ma la voce del biondo lo interruppe.
«Immagino tu sappia già cosa facciamo.» disse Ash.
«Fate le marionette.» rispose Azazel, serio e freddo, e il silenzio cadde tra loro. In quell'istante, i ragazzi si guardarono l'un l'altro nella speranza che qualcuno rispondesse.
«O le pedine, se preferi-»
«Credi che questo sia un gioco?» lo interruppe una voce, che sembrò zittire perfino il vento che soffiava alle loro orecchie.
Eccolo, il quinto. I suoi capelli arancioni riflettevano i raggi del sole, simulando il luccichio e il colore delle fiamme. Le ciocche ricce gli cadevano sulla fronte e raggiungevano con fatica le sue sopracciglia basse. E aveva la mandibola serrata contro la mascella, lo si poteva notare dal modo in cui teneva bloccata la bocca mentre i suoi occhi verdi scrutavano con disgusto la figura di Azazel, rimasta impassibile alla sua risposta. Il corvino ne fu affascinato. Non dalla sua bellezza, ma dalla sua arroganza. Erano poche le persone che osavano fare l'arrogante con lui.
«Voi no?» chiese il corvino, rivolgendo il corpo verso il rosso. Silenzio. In esso, Eren si avvicinò a lui.
«Scherzi?». Ancora silenzio. Il resto della squadra non sapeva cosa fare, se mantenere lo sguardo su Azazel o su Eren.
«Ti diverte privare gli altri della propria vita?» gli chiese, ormai a pochi centimetri di distanza dal suo volto.
Azazel alzò il mento, e l'angolo destro della sua bocca si sollevò per un istante. Poteva udire il battito di quel ragazzo divenire sempre più irregolare, infine accelerare per il passo che portò i loro petti a scontrarsi.
«A te diverte uccidere per qualcun altro?» domandò, mentre il dito indice batteva contro l'altra mano per seguire la sua frequenza cardiaca.
«Il Signor Atkins non è un uomo qualsiasi. Io credo fermamente in ciò che vuole e lo aiuterò ad ottenerlo». Un altro interminabile silenzio interruppe la discussione che si era creata, finché non fu Azazel stesso a mettervi un punto con la sua appuntita risata.
«D'accordo...» sussurrò, facendo infine un passo all'indietro. Ash si intromise tra le due figure, evitando così un ulteriore attacco da parte del rosso. Gli rivolse uno sguardo per invitarlo a smettere, infine esclamò: «Abbiamo lezione. Voi andate, noi vi raggiungiamo fra poco». Il biondo lo invitò a seguirlo prima di superare la fontana e dirigersi verso l'entrata. Azazel mantenne le sue attenzioni su Eren, ed egli fece lo stesso finché non fu costretto a seguire gli altri. Infine raggiunse il biondo, che lo stava aspettando sulla soglia della porta.
«Ti conviene andarci piano con lui». La sua voce rimbalzò tra le pareti e salì lungo le scale, dove lui prese posizione.
«Con chi? Con Pel Di Carota?» domandò Azazel.
«Eren. Si chiama Eren. E sì, parlo di lui.»
«Dovrei avere paura?»
«No, ma non dovresti sottovalutarlo». La leggera ma prepotente risata di Azazel echeggiò su ogni parete di quel castello, raggiungendo gli angoli più bui.
«Cos'è, una sorta di ultimatum?» domandò il corvino e, senza pensarci un attimo, si avvicinò all'altro. Percepì il sangue di Ash fermare il suo flusso e gelarsi nelle vene, nonostante il suo tono di voce apparve severo e impassibile. L'altro deglutì, quasi con fatica, e rimase immobile a fissare Azazel per un istante. Il suo occhio blu notte e l'altro quasi completamente vuoto lo mantenevano ipnotizzato, entrambi nascosti da quei ciuffi ribelli che non restarono legati nel codino insieme agli altri. Schiarì infine la gola e gli diede le spalle con naturalezza – o almeno ci provò – per iniziare a salire la grande scalinata in marmo scuro.
«Tra poco inizia la lezione di difesa.» ricominciò a parlare, cambiando discorso.
«Quindi ti accompagno in camera tua, così puoi cambiarti. Il resto puoi guardarlo da solo quando hai tempo. Abbiamo una biblioteca antica di sopra, una palestra dall'altra parte del corridoio e delle stanze con computer e armi. Le rimanenti sono chiuse.» continuò, mentre i loro passi scuotevano le larghe pareti - decorate da vecchi ritratti – del corridoio.
«Perché?» chiese il corvino.
«Questo è uno dei tanti segreti della famiglia Atkins».
«Sai perché hanno un castello, o è un segreto anche questo?».
«È una delle famiglie più antiche di Chicago. Questo castello era la loro residenza, ma le generazioni seguenti hanno iniziato a riservarlo per gli esperimenti.» gli rispose e, ancora una volta, la sua voce echeggiò.
«Esperimenti?».
«Sì, inventavano nuove armi e sperimentavano sugli animali per trovare cure.» pronunciò, prima di fermarsi dinanzi a una statua.
«O sulle persone...» aggiunse, mentre le sue dita afferrarono la mano della figura in pietra. La girò, e il rumore dell'apertura di un lucchetto arrivò alle loro orecchie. La statua affondò nella parete, infine aprì un varco... Altre scale.
«Ecco perché raggiungere le torri basse è così complicato».
Azazel non sembrò affatto stupito, come se quegli occhi avessero già visto troppo per farlo. Si limitò, invece, a seguirlo lungo la scalinata a chiocciola, che portava ad una porta in legno scuro. Infine, Ash aprì.
«Prima che entri, un'ultima cosa». Si voltò verso Azazel, catturò un po' d'aria con il naso e la fece fuoriuscire rumorosamente dalla bocca.
«Ci sono solo tre camere da letto agibili, perciò avrai un compagno di stanza». A quelle parole, il corvino sospirò impercettibilmente, in seguito infilò le dita tra le ciocche libere dei capelli e le portò all'indietro.
«E chi sarebbe il mio?».
«Vedrai. Ma sappi che, chiunque esso sia, dovrai andarci d'accordo.» raccomandò.
«È Eren, non è così?» domandò allora lui.
«Cosa te lo fa credere?».
«Non lo credo, lo so. La stanza è piena del suo profumo». L'aveva sentito perfettamente quando Eren lo fronteggiò. Quell'aroma di vaniglia e bergamotto avvolgeva quelle quattro mura e gli soffocava i polmoni nonostante non avesse superato la soglia. D'altro canto, Ash prestò attenzione alla traiettoria del suo sguardo, che si posava sugli elementi principali. La sua espressione era quasi del tutto priva di emozioni, solo il naso sollevato mostrò il suo disgusto verso quell'essenza così dolce.
«Non è così terribile. Ha senza dubbio i suoi momenti, ma sa essere un ottimo compagno di squadra».
«Da quanto tempo lo conosci per esserne così sicuro?» gli domandò Azazel, avanzando tra le quattro pareti con le mani nascoste nelle tasche.
«È qui da tre anni.» gli rispose il biondo.
«Mh.» fu l'unica cosa che pronunciò l'altro.
Azazel aveva tante domande. Quando conobbe il Signor Atkins, l'unica cosa che volle sapere fu la ricompensa per il suo servizio. Come al solito, si chiuse nella sua gabbia per non sapere nulla... I dettagli lo infastidivano.
«Ti lascio due minuti per cambiarti, i tuoi effetti personali sono già stati messi in ordine. Io ti aspetto di sotto». Ash lo lasciò solo, ma Azazel smise di prestare attenzione alla sua presenza già da qualche minuto. Piuttosto, studiò i particolari di quella camera, che ritenne poco spaziosa per due persone. Le pareti erano coperte da una carta da parati molto vecchia, dalle decorazioni bordeaux e dorate. Quei colori erano ovunque: sulle tende, sulle coperte, sui tappeti e perfino sulla seta dei letti a baldacchino. Non mancavano ovviamente le poltrone agli angoli della parete da cui si entrava, mentre uno dei due tavoli rotondi e il vaso di fiori su di esso affiancavano la finestra che portava al balcone. Le pareti più grandi e parallele a sé stesse erano quasi del tutto nascoste dai letti e dagli armadi; dalla parte opposta alla porta, invece, il camino separava i due tavoli rotondi. Sarebbe stata più accogliente, pensò, se quell'odore non lo stesse soffocando.

L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora