- PROMESSA -

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«Allora?»
"Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo."

Aveva solo caos nella testa...
E voci, sussurri e urla, tutti a pronunciare in coro la stessa esatta parola. "Uccidilo" gli dicevano; e lo tentavano, lo ammaliavano a tal punto da fargli tremare le mani dall'impazienza.
Le nascose dalla sua vista, mantenendole nelle tasche del cappotto nero. E respirava, lentamente, per non dare la possibilità alla sua ira di uscire fuori. Manteneva la mascella serrata, le unghie dentro la carne dei suoi palmi, tutto pur di distrarsi dal bruciore che si espanse nel suo stomaco.
«Donovan». L'uomo lo richiamò, attirando così la sua attenzione. Improvvisamente, il rumore del motore si fece più chiaro, poi anche le voci al di fuori del finestrino e, infine, il battito maledettamente tranquillo dell'uomo che aveva al suo fianco.
Gli avrebbe strappato via il cuore dal petto, se solo avesse potuto.
«Quindi? Hai parlato con lui?» gli chiese.
«Oh... Sì.» rispose lui, sospirando l'attimo dopo. Tornò poi con lo sguardo verso il finestrino, mentre i polpastrelli si tingevano dell'intenso colore del suo sangue. "Uccidilo". I sussurri ripresero il loro posto fisso, ma vennero poco dopo sovrastati dalla voce gutturale del capo.
«E?» domandò, impaziente.
«Ha accettato la proposta... Lo scontro avverrà fra qualche ora, all'alba». Si perse tra le voci, ancora. La sua mente viaggiava tra i cassonetti delle illusioni e le pile di verità. Sentiva il suo mondo crollare, l'urna dentro cui era impressa la sua vita non gli sembrava più la stessa. Crepe su crepe si stavano formando sulla sua superficie e i manici con cui afferrarla si stavano ricostruendo in due dolorose verità. Il mondo non gli sembrava più lo stesso...
Vedeva una luce al di là del tunnel, ma sapeva che per poterla raggiungere avrebbe dovuto macchiarsi le mani di sangue un'ultima volta.
«Dove?». La voce del Signor Atkins peggiorava le crepe, e sembrava così tagliente alle sue orecchie da volersele strappare via dalle tempie.
«In un luna park abbandonato del West Side. È grande e isolato, nessuno ci sentirà.»
«Bene, ottimo lavoro.» pronunciò l'uomo, e il silenzio tornò a soffocare le loro figure. William non percepiva la sua rabbia, vedeva soltanto la solita tensione che caratterizzava Azazel quando si trovava al suo fianco. O forse semplicemente non gli importava, perché già sapeva che quel ragazzo provasse solo odio nei suoi confronti. D'altro canto, Azazel tremava d'ira, come una foglia tra le mani del vento. Si sentiva soffocare dagli artigli della verità, una foglia che aveva appena abbandonato l'albero delle illusioni e la foresta di menzogne. Quasi provò ribrezzo verso sé stesso per aver trascorso anni della sua vita a macchiare la sua anima di sangue innocente, e lasciare che quella montagna di cadaveri si alzasse. Era tutta colpa sua. Era colpa di William.


~


Il petto gli doleva dal peso e la notte gli smorzava l'aria, perfino quando trovò in Eren un pizzico di pace. Se ne stava sul suo letto con gli occhi fissi sul suo taccuino, in attesa d'ispirazione, che arrivò improvvisa nell'istante in cui la porta della stanza si aprì.
«Hey.» disse, alzandosi dal letto. Fu in procinto di correre tra le sue braccia, ma lo sguardo spento di Azazel glielo impedì. Il sorriso che poco prima illuminava il suo volto svanì per la sensazione che qualcosa fosse andato storto.
«Che succede?» gli chiese, ma non ottenne risposta. Azazel se ne stava dall'altra parte della stanza e le sue mani tremavano all'impazzata. Eren lo notò quando, affiancando i suoi fianchi, le dita afferrarono il lembo destro del suo cappotto. Lo guardò, dalla testa ai piedi, e notò che non solo le sue mani stessero tremando. Ma non era tristezza quella che vedeva sul suo viso. Sembrava distrutto... Gli occhi spalancati e le iridi che, confuse, non smettevano di andare a destra e a sinistra, ne furono la conferma. Aveva i denti serrati, il fiato gli mancava. Ma non fu questo ad allarmarlo... Rimase immobile a fissare quella figura, e anche il suo respiro si fece corto. Cosa aveva scoperto per essere tornato a casa in quello stato? La paura lo avvolse a quella possibile risposta.
«Zel...» sussurrò, ma quel tono colmo di pietà costrinse il corvino a distogliere lo sguardo. Un sospiro frustrato uscì finalmente dalla sua bocca, ma non permise ad una sola lacrima di sfuggire ai suoi occhi. Li alzò per ritirare le gocce salate, poi afferrò il pacco delle sue sigarette dalla tasca del cappotto. Eren era pietrificato, non voleva e non riusciva a muoversi... Perciò si limitò a guardarlo con la più precisa delle attenzioni. Lo vide accendere la sigaretta, chiudere gli occhi quando la nicotina gli entrò in gola e, infine, sedersi sulla poltrona che giaceva dinanzi al camino. Lì, la quiete sembrò tornare dentro di lui. Lo percepì dalla sua fronte oramai rilassata. Dalle mani che, poste sui braccioli della poltrona, picchiettavano tranquillamente il suo tessuto. Non tremava, non tremava più. Azazel aveva una tempesta dentro, la più disastrosa che potesse esistere. Ma ne stava prendendo le redini, come Zeus faceva con i suoi fulmini e Poseidone con le sue onde. Era vento estivo, ormai. Tranquillo, pacato, fresco. Ed Eren si chiese ancora una volta come facesse a sopportare tutto quel dolore senza lasciarsi andare. "Lasciati andare" avrebbe voluto dirgli da quando lo vide ritirare le lacrime... Ma non lo fece perché, in un modo o nell'altro, sapeva che non fosse il suo modo di mandare via la sofferenza. Preferiva coltivarla, come un narciso in mezzo al deserto od un calipso nella neve... E lui, invece, si lasciava trasformare nella più bella rosa blu in mezzo alle onde tinte dal tramonto. Si chiese cosa si provasse, al suo posto, a coltivare quell'erbaccia come fosse il più bello dei fiori. Eren decise solo dopo di avvicinarsi lui, silenzioso, come se non volesse infrangere la bolla di silenzio che Azazel distruggeva ritmicamente con i sospiri grigi. Si sedette poi sul tappeto, proprio di fronte a lui, e poggiò il mento sul suo ginocchio destro. Fu un movimento lento, come se sapesse che prima o poi si sarebbe spostato o l'avrebbe mandato via per non sfogare su di lui tutto ciò che aveva dentro. Tuttavia, Azazel non si mosse. L'unica cosa che fece fu chiudere il lucchetto, ancora una volta. "Non farlo" quasi uscì dalla bocca del rosso, ma il nodo alla gola gli impedì di farlo. Deglutì, in una lenta azione che gli avrebbe permesso di ragionare e - nel frattempo - di riprendere il respiro bloccatosi poco prima.
«Vuoi dirmi cosa c'è che non va?» gli domandò, ma nulla uscì dalla bocca di Azazel. Ancora nulla, se non il fumo dell'ultimo tiro della sigaretta. Il maggiore usò quel poco coraggio che aveva dentro per portare le sue iridi spente sul verde smeraldo del minore. Lo guardò e si rilassò a quel contatto visivo, come fosse la più bella delle carezze. Eren stette in silenzio e afferrò quel cielo blu con gli occhi per impedire loro di buttare la chiave di quel lucchetto. Poi, un capello ribelle gli cadde sul viso. Gli solleticava la pelle, ma non mosse un muscolo per non interrompere quel contatto. Ad Azazel bastava, lui lo sapeva. Gli bastava solo quello per colmare le onde e far tornare il cielo sereno in lui. Lo sapeva perché, proprio come le altre volte, i suoi occhi vennero attraversati da una scintilla. Ma si distrassero, e caddero nella ciocca sul suo viso. Azazel la seguì muoversi sul respiro di Eren, poi la afferrò. La portò all'indietro e, come fosse delicata porcellana, sfiorò il suo orecchio per metterla dietro di esso. Quasi d'improvviso, sentì il cuore accelerare. Gli martellava il petto, ma quella non fu una dolce carezza. Poi smise di battere quando, dopo aver seguito il movimento della sua mano, tornò ad osservare quel verde intenso e preoccupato. Il tempo si era fermato, la bolla di sapone aveva solidificato le sue mura per dare loro pace. Azazel poteva percepire la pelle di Eren farsi calda lungo le guance... Voleva toccarla. E provò a farlo, con tutto sé stesso, ma ebbe la sensazione di non meritarlo. Il rosso lo sentì tentennare sul suo orecchio, e la pelle gelata delle sue dita sfiorare la sua bollente tempia. Gli mancò il respiro, ma voleva di più. Afferrò quindi il suo polso e, in un lento movimento, lo avvicinò alla guancia. Azazel la sfiorò con i polpastrelli prima di poggiarvi sopra l'intero palmo. Riusciva a sentire i fremiti della sua pelle, lo scorrere del sangue nelle vene con tale velocità da far impazzire il suo battito. Poteva sentire anche quello, ma solo con l'udito. Il pollice prese a muoversi lungo lo zigomo, e i suoi occhi seguivano il suo movimento e poi lo sguardo dell'altro, in un'alternata occhiata di preoccupazione... Ebbe la sensazione di star esagerando. Ed Eren notò anche quello, come notò la sua insicurezza nel movimento del suo pollice. Perciò, lasciò il suo polso e portò il proprio palmo sul dorso della sua mano, accarezzandola con sicurezza per fargli comprendere di non dover avere paura. Azazel osservò le dita sottili sulle proprie e le aprì per creare un incrocio. Il rosso gli sorrise con immensa delicatezza, ma lo vide comunque deglutire e tentennare sul togliere la mano o meno. Fu quella la ragione per cui la strinse alla sua... Non voleva che quella bolla si rompesse. A quella stretta, Azazel tornò con lo sguardo sul suo e, ancora una volta, si innamorò di quel prato verde. Avrebbe dato la vita per cacciare via la nebbia che a volte lo copriva.
Ancora, sentì il cuore accelerare ancora. La quiete dominava quella bolla, la tempesta quel contatto. D'improvviso, avvamparono. I loro corpi si fecero caldi, le loro iridi irrequiete tra gli occhi e le labbra. Erano boccioli, quelle di Eren. Questo pensò Azazel. Ed erano pugnali, quelle di Azazel. Questo pensò Eren. Ma si desideravano, come se il veleno del fiore e il taglio delle lame non li ferissero abbastanza da fermarli. Perciò, Azazel si lasciò avvelenare ed Eren tagliare da quel bacio delicato... Poi non più. Trattennero il respiro, come se esso li rallentasse, e il rosso si sedette sulle cosce dell'altro. Il corvino lo baciava, poi lo mordeva e poi baciava ancora, senza fiato. Toccava i suoi fianchi, li stringeva in un tocco possessivo e li graffiava da sopra la maglietta. Eren cinse il suo collo con le braccia e mantenne le ciocche nere tra le dita, con forza, per supplicarlo di non lasciarlo andare. Azazel era pieno di rabbia, Eren avvolto dalla pietà. Uno non si sarebbe fermato, l'altro rifiutato. Quindi, quel bacio ebbe una fine. Il rosso aveva gli occhi spalancati per il dolore ai polmoni privi di ossigeno, e il corvino strinse i braccioli della poltrona per trattenersi. Si guardarono, e basta. Si chiesero se volessero continuare, ma solo con gli occhi, perché incapaci di parlare. Si guardarono, ancora. L'attimo dopo, Azazel afferrò le sue guance per portarlo a sé e interruppe ancora una volta il respiro del rosso. Anche Eren portò le mani sui suoi zigomi, e li strinse tra le dita per accertarsi che quella non fosse solo un'allucinazione o un sogno ad occhi aperti. Ma la sentiva, sentiva la sua pelle fredda sui suoi polpastrelli caldi. Quindi, fece sue quelle temperature basse e si lasciò rubare le sue alte.
Pochi attimi dopo, le loro figure giacevano sul materasso.
Azazel su Eren, Eren sotto Azazel. L'uno con l'intento di togliere via i vestiti dall'altro. E così, i loro corpi nudi iniziarono a cercarsi come le mani di Michelangelo.
La loro pelle scottava, i loro cuori battevano nei loro petti per creare la colonna sonora perfetta... E poi gemiti, e poi respiri interrotti, e poi ancora schiocchi tra labbra. Eren non smetteva di muoversi sotto il suo corpo, creando un'onda col bacino che gli permetteva di raggiungere quello dell'altro. E lo manteneva stretto tra le sue braccia come se avesse paura di una sua fuga. D'altra parte, invece, Azazel spingeva dentro di lui, ma non permise ad una sola goccia della sua ira di essere la causa di quei rapidi movimenti. Anche i loro corpi si amavano, e i loro bacini erano pezzi di puzzle legati l'uno all'altro. Il rosso gli gemeva nelle orecchie, il corvino tra un morso e un altro sulla sua carne. L'aria si inebriò della fragranza della lussuria, mista a sudore e veleno.
Il piacere cresceva, cresceva e cresceva finché, tra gemiti soffocati da boccioli intrecciati, non ne raggiunsero l'apice.


~


«È quasi l'alba.» pensò ad alta voce. La bolla si era improvvisamente infranta, e la sabbia della clessidra tornò a soffocarlo.
«Allora?» parlò Eren, lasciando uscire il fumo grigio tra quelle parole. Azazel mantenne lo sguardo fisso al tetto color panna, le braccia incrociate tra il suo capo e il cuscino. E se ne stava in silenzio a fremere sotto le coperte per la paura di non tornare...
Di non tornare da lui. Si alzò dal letto, e le sue mani partirono alla ricerca della divisa in pelle nera. Lì, un campanellino sembrò scattare nella testolina del minore. Anche lui si sollevò dal materasso, ma solo con la schiena, per guardarlo dalla parte opposta della camera.
«Dove vai?» gli chiese, ma Azazel non diede risposta.
«Zel, sto parlando con-»
«Non vuoi saperlo.» disse lui, smorzandogli le parole in gola.
«Devo saperlo.» pronunciò il rosso, evidenziando il "devo" con un tono più alto. Il maggiore sospirò, infine coprì il suo corpo con gli indumenti.
«Zel!» cercò di attirare la sua attenzione, ma invano. Si alzò quindi dal letto e, in una rapida mossa, lo voltò verso di sé.
«Dimmi che succede. Perché hai messo la divisa?»
La sua voce iniziò a tremare quando, tra una domanda e un'altra, collegò tutti i fili rossi. La sua testa gli diede una risposta, e il suo cuore sperava di star sbagliando.
«È finita, Eren.»
«Cosa?». L'impassibilità di Azazel lo fece rabbrividire, ma la rabbia precedette la tristezza. La sua mascella si strinse, la sua figura prese a tremare. Sapeva, sapeva dove fosse diretto. Il corvino ignorò la sua domanda, i suoi occhi lucidi e rossi d'ira. Si avvicinò poi alla porta della stanza, che aprì con leggera fretta. Il suo cuore saltò un colpo quando, in mezzo al silenzio, la voce di Eren giunse alle sue orecchie.
«Vincerai.» sentì alle sue spalle, attraversate da improvvisi brividi.
Azazel si fermò sulla soglia, sospirò e si voltò, nella speranza di non vedere delle lacrime atterrare sul pavimento. Ma quella speranza crollò quando, focalizzata la figura lontana, notò delle gocce salate costellare le sue guance... Eren aveva capito.
«Chiaro?!». Il maggiore osservò i suoi pugni farsi stretti, la sua mascella liberarsi dalla mandibola per mimare un balbettio. E le sue guance, rosse come il fuoco, rigate da quelle maledette lacrime. Azazel sentiva un peso al petto. Ogni lacrima gli appesantiva il cuore, ma lui aveva sempre preferito la libertà ad esso. Si sentì un egoista... La voglia di restare lì, con lui, era fin troppa. Il cuore gli diceva di restare, la mente di andare prima di un ripensamento. E si riempì di odio nei confronti di sé stesso per aver lasciato ad Eren la possibilità di avvelenarlo con il suo veleno. Anche i suoi occhi si fecero lucidi, l'amore lo aveva oramai divorato.
«Tornerai da me. Tornerai da me e mi chiederai perdono in ginocchio... Perché merito delle scuse dopo tutto questo!» disse il rosso ad alta voce.
«Non posso tornare, Eren. Io voglio una vita normale, e non posso averla qui. Ma ti prometto che verrò a prenderti.»
«E se dovessi morire?»
«Non morirò». I tuoni si zittirono e la quiete tornò nel petto del rosso. Sapeva stesse mentendo ma - per quanto avesse giurato a sé stesso di non farlo mai più - credeva fin troppo alle sue promesse. Perciò lo avrebbe aspettato, avrebbe aspettato un suo bacio e un suo tocco, i suoi occhi blu e la sua voce. Lo avrebbe aspettato come aspettava il sabato sera o l'alba, indice di sopravvivenza ad una missione. Lo avrebbe aspettato come si aspetta il tramonto da una scogliera o la fine di una notte buia. Lo avrebbe aspettato, ne aveva bisogno. E Azazel gli avrebbe permesso di farlo, perché sarebbe tornato.
Ne era follemente certo.
«Giuralo.»
Ancora una voce, quella voce spezzata infranse il silenzio.
«Giuralo sulla cosa che ami di più al mondo.»
Gli mancava il respiro e la voglia di lasciare quella stanza. Azazel avrebbe voluto interrompere la caduta dei granelli di sabbia, mettere in orizzontale la clessidra per restare lì. Con lui. Per sempre.
«Lo giuro.» disse, avvicinandosi a lui. A grandi passi, si ritrovò faccia a faccia con il suo più grande amore. Sapeva che lui fosse la sua persona, lo capì dal primo istante. Aveva messo da parte il mostro che viveva in lui per Eren. Aveva smontato le promesse fatte a sé stesso per dargli l'amore che meritava. E ne formulò un'altra ancora, in cui diceva che sarebbe tornato... Per lui.
E quella promessa, la rivelò dapprima con un bacio, poi con le parole.
«Lo giuro su di te...» sussurrò, premendo le mani sulle sue guance per sentire ancora una volta il calore della sua pelle. E lo memorizzò, nel caso in cui non fosse riuscito a rispettare quel giuramento. Infine, si allontanò senza lasciare la possibilità ad Eren di reagire a quel bacio o alle sue parole. Camminò all'indietro, poi disse: «Tornerò a prenderti.», prima di voltarsi e lasciare la stanza.

L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora