Quella mattina, il vento era più gelido degli altri giorni. Quella mattina, l'aria era più pesante degli altri mesi. Quella mattina, l’ossigeno era più amaro degli altri anni… Come se vivere, quel giorno, fosse particolarmente difficile.
I loro corpi affondavano nella sabbia come metallo nella lava. Ray e Denver erano arrivati con l'urna funeraria, che fecero sprofondare tra i granelli. Eren aveva ancora il viso macchiato di sangue... Quella notte aveva vendicato il nome di colui che giaceva all'interno di quell'urna.
«Odio i funerali.» sussurrò il rosso, affondando il naso gelido nel calore della sciarpa. Il suo sguardo raggiunse l'orizzonte e le sue iridi si tinsero delle sfumature dell'alba. Anche il lago rifletteva i suoi colori, mentre i gabbiani sfrecciavano tra le nuvole bianche e i raggi caldi del sole.
«Odi i funerali, o questo in particolare?» domandò Bryan, affiancandolo. A quelle parole, una nuvola di vapore uscì dalla sua bocca e si innalzò nel cielo sereno. Eren direzionò il suo sguardo verso gli occhi scuri. Per la prima volta in quegli anni, li vide gonfi e colmi di lacrime.
«Avresti dovuto ripulirti, comunque.» aggiunse.
«Non ho avuto il tempo.» disse quella voce docile e debole, mentre le iridi verdi tornarono sulle sfumature dell'alba. E dopo qualche attimo di quiete, il mulatto domandò: «È di Ash o di William?», mentre le sue pupille ripercorrevano il viso stanco e sporco.
«Ash... William è andato via da Chicago. Andrò a cercarlo dopo il funerale.»
«Sei sicuro di volerlo fare?»
«Lui non desiderava altro.» bisbigliò, nascondendo il tremolio della sua voce. Bryan si limitò a riscaldare le mani con il fiato e sfregarle l'una contro l'altra, poi le fece congiungere davanti al bacino.
«Credo volesse più di semplice vendetta, soprattutto da te.» esclamò infine, raggiungendo gli altri. Eren lo guardò allontanarsi. E controvoglia, si posizionò davanti all'urna.
«Vorrei spendere due parole per il nostro compagno di squadra». Denver attirò l'attenzione, barcollando tra la stampella e il piede poggiato al suolo. Adesso era lui a trovarsi di fronte al vaso infossato nella sabbia.
«Nessuno di noi lo conosceva davvero... O quasi.» cominciò, voltandosi per qualche istante verso il rosso.
«Eppure, Azazel ha lasciato un pezzo di sé dentro ognuno di noi. Ci ha fatto del male, ma anche del bene. È stato una boccata d'aria fresca in un mondo soffocante come questo. Ci ha dato la forza di aprire gli occhi e guardare oltre le mura di quel castello... È solo grazie a lui se adesso siamo liberi.» concluse poi, versando una lacrima tra i granelli. Infine, aprì l'urna e prese un grumolo di cenere tra le dita. Era pesante, come se portasse l'intero corpo del suo compagno sul palmo della mano.
«Ad Azazel!» disse, lasciando andare i granelli di cenere nella schiuma del lago. A seguire, il resto della squadra fece lo stesso. E ognuno di loro mise un certo carico di emozioni nelle parole "Ad Azazel". Eren non osò avvicinarsi al vaso. Rimase in disparte per tutto il tempo, senza staccare gli occhi dai colori dell'alba... Stavano oramai svanendo, proprio come quelle ceneri tra le onde.
~
«Eren?» lo richiamò Ray, ma il rosso non rispose. Portò quindi una mano sulla sua spalla in segno di saluto e andò via insieme agli altri. I ragazzi si guardarono indietro per qualche istante, e i loro occhi si fecero lucidi. Ciò che osservarono, fu la pura tristezza inginocchiarsi davanti a un mucchio di ceneri racchiuse in un grande vaso. Infine, entrarono in macchina e si lasciarono alle spalle quella brutale scena. Ben presto, Azazel sarebbe diventato solo un mucchio di ricordi. Ed Eren l'avrebbe accompagnato in ognuno di essi. Le ginocchia gli facevano male, i granelli di sabbia gli stavano graffiando la pelle. Le sue lacrime, invece, si cristallizzavano sulle sue guance congelate dal vento freddo di quella mattina. E quelle gocce di disperazione pulivano il suo viso dal sangue sporco e amaro di Ash.
«Non meritavi tutto questo, Zel.» bisbigliò. Il fischio del vento e il fruscio del lago mandavano via il silenzio, riempiendo anche i suoi pensieri. «Tuo padre, il Signor Atkins, il tuo migliore amico... Me». Si zittì per un attimo - avvolto da un freddo così acuto da fargli alzare le spalle - e strinse i denti tremolanti dal gelo e dal dolore. Poi, di colpo, singhiozzò. «Mi dispiace così tanto.» sussurrò, lasciandosi coprire la visuale dalla nuvola di vapore proveniente dalla sua bocca. «È tutta colpa mia... Se non fosse per me, tu saresti ancora vivo.» pronunciò tra i singhiozzi e la mandibola tremolante. «Mi dispiace, Zel. Credevo di aver fatto la cosa migliore per mia sorella, ma avrei dovuto pensare anche a te... Non ti ho mai meritato». A quel sussurro, un pensiero lo travolse. Un pensiero che lo risollevò dal dolore, o che lo fece affondare ancor di più in esso. Toccò le tasche del cappotto e - laddove udì il rumore di carta stropicciata - lasciò entrare le dita. Afferrò poi la lettera dalla tasca destra, ma la mantenne su a stento. «E tu non meritavi una persona meschina come me. Eppure, eccoci qui. Tu dentro un vaso, e io con una tua lettera in mano». Silenzio. Morse il labbro per non lasciarsi trasportare dal pianto isterico, poi diede le spalle all'urna e si distese, staccando il sigillo rosso dalla carta. Prese il foglio all'interno, ma aspettò ad aprirla. «Ti fidavi così tanto di lui da chiedergli di darmi una lettera d'addio…» esclamò, e una risata spenta uscì dalle sue labbra secche. «Sei...». Il sorriso svanì improvvisamente dal suo volto. «Eri pessimo a scegliere le persone di cui fidarti.» parlò ancora al vento e al sole sopra di lui, alle nuvole che lo coprivano dai raggi accecanti e all'azzurro del cielo - che tanto gli ricordavano quegli occhi. Infine, aprì la lettera. Accarezzò il foglio con delicatezza, l'ultimo contatto indiretto tra lui e le mani costantemente fredde di Azazel. Poi, avvicinò la carta al naso e inspirò con calma il suo profumo. Forse era solo la sua immaginazione ma, per un istante, poté sentire l’odore del maggiore. Odore che sapeva di sangue, di tenebre... Odore che sapeva di casa.
Seguì poi la linea continua che formava il suo stesso nome, e un ricordo gli stravolse i pensieri. Ricordo che, risalente a qualche mese prima, gli mostrava un Azazel furioso perché – essendo mancino – aveva costantemente il mignolo macchiato di inchiostro. Un sorriso si formò sul suo volto quando l’espressione accigliata del maggiore navigò nella sua mente, e una lacrima scese lungo il suo viso al ricordo di lui che lo invitava a dargli la mano per farsela pulire… Azazel accettava sempre quella proposta e, nel frattempo, si lamentava del fatto che l’inchiostro fosse sempre sbavato a causa della sua stessa mano. Facendo vagare lo sguardo sulla lettera e notando le lettere sfocate, rise. Era sicuro che Azazel si fosse arrabbiato mentre la scriveva.
Infine, iniziò a leggere...
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L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)
RomanceGli occhi sono davvero lo specchio dell'anima? Nonostante non ci sia una vera e propria risposta a questa domanda, coloro che sono entrati in quell'occhio e hanno avuto la fortuna di uscirne vivi raccontano di aver visto l'anima del Diavolo al suo i...