La luna era ben visibile, quella notte.
Azazel poté notare la sua luce entrare dalla finestra e illuminare leggermente la stanza buia. Accese l’abatjour posta sul comodino per aumentare la luminosità, e si avvicinò all'armadio aperto. Su una delle ante pendeva il completo che avrebbe indossato per la festa di quella sera: uno smoking nero e decorato da rifiniture argentate. Una macchia blu, però, giunse ai suoi occhi ancor prima di afferrarlo. Era una rosa, poté sentirne l'odore nell'istante in cui uscì dal bagno. Era incastrata nel taschino della giacca insieme al fazzoletto bianco e a un biglietto. Azazel la sfilò da lì e si rilassò al contatto tra i petali morbidi e i suoi polpastrelli. Poi, la avvicinò al naso e si perse nella sua fragranza pungente e arrogante. Un angolo della sua bocca si sollevò, il suo petto si lasciò avvolgere da una strana sensazione di tranquillità. Infine, sollevò gli occhi - con ancora il naso sui petali della rosa – e alzò il capo per afferrare il foglio vecchio e bruciato ai lati che giaceva ancora nella tasca.Buona fortuna, idiota.
-EUn sorriso gli crebbe inevitabilmente sul viso quando, leggendo quelle parole, sentì la voce del rosso pronunciarle. Eren aveva mantenuto la promessa della sera precedente: rubò davvero un fiore per lui. Era così bella da ipnotizzarlo, di un colore così acceso da fare invidia perfino alla notte. Era bella, dannata, egoista. Ed Eren vide Azazel in ogni suo petalo. Il suo dannato cuore non smetteva di battere contro la gabbia toracica, annebbiando così il dolore alle dita punte dalle spine. Eren aveva spruzzato il suo profumo su di lei, Azazel poteva sentirlo. O forse era solo ben impresso nelle pareti di quella stanza, o magari nessuno dei due. Quell’essenza, in realtà, si era oramai insediata nei suoi polmoni per avvelenarli con la sua bellezza. E come un fiore, quell’odore fece di lui il più fertile dei terreni e il più bello dei prati.
~
«Sei fortunato che anche il Signor Atkins sia in ritardo.»
Quella voce accoltellò il vento e giunse forte alle sue orecchie, nonostante la distanza che li divideva. Azazel continuò ad attraversare il giardino, con un petalo della rosa nel taschino della giacca e le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni. Non una sola parola uscì dalla sua bocca finché non arrivò dinanzi alla limousine.
«Sta zitto.» pronunciò, entrando nel veicolo. Il supervisore si limitò ad uno sbuffo e a chiudere lo sportello per raggiungere il capo. Quando anche lui entrò nel veicolo, un agghiacciante silenzio inondò l’atmosfera pochi attimi prima tranquilla. Azazel ignorò quella presenza. Trascorse tutto il tragitto con gli occhi fissi fuori dal finestrino per osservare il panorama e con una mano sul taschino, illudendosi di star tenendo quella di Eren tra le dita. Era così perso nell’oscurità di quella notte da lasciarla mescolarsi al colore delle sue iridi. Le luci correvano dalla parte opposta, e la luna rincorreva l’auto all’ossessiva ricerca dello sguardo di Azazel. Il leggero vento che entrava dal finestrino gli scompigliò i capelli e il fresco irrigidiva la sua schiena lungo il sedile in pelle. L’estate portava scalpore, feste e musica non permettevano al silenzio di penetrare nella sua mente per divorarlo. Si sentiva quasi in pace, ma la presenza di quell’uomo al suo fianco gli impediva di rilassarsi del tutto. E William se ne accorse quando, al suo ennesimo movimento, Azazel lo guardò con la coda dell’occhio, come se stesse sospettando di lui. Ma come dargli torto? Dopotutto, il Signor Atkins non poteva aspettarsi fiducia da parte sua… Non dopo tutto quello che sapeva avesse passato. Tuttavia, durante quel viaggio, l’uomo si perse spesso tra i lineamenti di quel profilo. Il buio al di fuori del finestrino incorniciava perfettamente il volto spigoloso. L’iride più chiara e la palpebra segnata dalla cicatrice indelebile lo incuriosivano. Si chiese molte volte, infatti, cosa o chi l’avesse causata. Nella sua mente, vari scenari e possibili cause impedirono alla noia di impossessarsi di lui. Alla fine, comprese soltanto che chiunque avesse causato quel segno aveva lasciato un enorme dolore sul suo viso. Azazel sarebbe potuto sembrare normale, se solo non avesse avuto quella dannata cicatrice che urlava a chiunque chi fosse davvero: l’occhio del diavolo, il criminale più pericoloso al mondo, e conosciuto per l’evidente ricerca della vendetta per un padre che di padre non aveva niente. Perché? Domande su domande affollarono la sua mente per tutto il tragitto, durante cui si impegnò anch’egli a prestare attenzione al panorama. D’altro canto, Azazel aveva le spalle rigide e tese come le corde del suo violino. Stava ripassando il piano e aggiungendo dettagli ad ogni semaforo, immaginando situazioni ad ogni strada percorsa e, infine, possibili conseguenze ad ogni angolo attraversato.
Balzò sul posto quando il Signor Latham aprì lo sportello che lo affiancava. Dopo aver realizzato di essere arrivato all’hotel Anyston, sospirò. Al di là della figura del supervisore, poté già sentire la musica dai toni classici, le risate degli invitati, il vino e il formaggio italiano che tanto amò durante il suo piccolo viaggio in Umbria. Uscito dall’auto, la struttura gli apparve come la più grande e lussuosa che avesse mai visto. Iniziava con un enorme cancello e una strada coperta da un lungo tappeto bordeaux. I lampioni stavano ai lati di essa, e la loro luce rifletteva sui gioielli delle donne o sui finestrini dei veicoli costosi. Al di là della strada, un’enorme fontana decorava il giardino. Vi era una statua al centro, una riproduzione delle Tre Grazie di Canova. Splendore, gioia, prosperità. Quelle donne scolpite anticipavano le caratteristiche del posto. Guardandovi oltre, tavoli e sedie erano già occupati da uomini dalle guance rosse e donne alla ricerca di divertimento. Il giardino era perfino più grande della struttura, colmo di buffet costantemente affollati e camerieri in giacca e cravatta che si mescolavano alla folla con i loro vassoi pieni di calici. Risate, musica, divertimento… Quel posto non era fatto per lui. Tuttavia, la sua maschera color argento gli impediva di essere riconosciuto. Al suo passaggio, infatti, nessuno gli puntò gli occhi addosso.
«William.» esclamò un uomo alle loro spalle, costringendo i due a voltarsi. Il Signor Howell si mostrò in vesti di vanità agli occhi dei due invitati. Era un uomo basso, non troppo in là con l’età ma già privo di capelli. Lo smoking gli cadeva a pennello sulla pelle e il viso era tondo e rugoso in tutta la sua astuzia. Gli occhi tondi e scuri squadrarono l’avversario, senza prestare particolare attenzione a chi avesse a fianco. E come egli ignorò il corvino, anche quest’ultimo lo fece…
Al di là della sua figura, un uomo alto e mascherato si lasciava baciare dalle ombre delle tenebre. La sua maschera nera gli copriva l'intero volto e riproduceva i lineamenti spigolosi del suo viso, rendendoli ancor più appariscenti. I suoi capelli biondi erano tirati all'indietro, gli occhi neri facevano invidia alla notte che li schiacciava. Il suo corpo, grande e possente, era nascosto dal semplice smoking totalmente nero e dalla figura più piccola del suo capo. Fu lui ad attirare l'attenzione di Azazel.
«In ritardo come ogni anno, eh?» disse l’uomo, mantenendo il suo calice di vino rosso lungo il petto e l’altra mano dentro la tasca dei pantaloni.
«I migliori si fanno sempre aspettare, no?»
L’aria si fece tesa nell’istante in cui, a quella sorta di battuta, nessuno rise. Fulmini partirono al loro continuo contatto visivo, e la terra sembrò tremare ai loro piedi. Entrambi assottigliarono gli occhi, il Signor Howell per fastidio e il Signor Atkins per soddisfazione.
«Comunque, penso tu debba presentarmi qualcuno.»
A quelle parole, l’uomo portò lo sguardo verso Azazel. Nonostante potesse vedere metà del suo viso a causa della maschera, percepì qualcosa di strano… Cattiveria, forse dal taglio dei suoi occhi. Impassibilità, magari per la bocca serrata. Aveva la prepotenza di una rosa rossa in mezzo ad un campo di margherite, e la possanza nelle spine taglienti dei suoi lineamenti. Era spento, ma non annoiato. Sembrava quasi legato ad una catena che gli impediva di sorprendersi o spaventarsi di fronte alla sua guardia. Il Signor Howell non ebbe l’onore di ricevere le sue attenzioni, neanche per un secondo. E lui le bramava, per il semplice gusto di sapere cosa si provasse ad essere guardati da un occhio privo d’anima.
«Non credo ci sia bisogno di presentazioni. Lo conosci già molto bene, immagino». Bart Howell non diede alcuna risposta al suo avversario. Si limitò, piuttosto, a portare la mano di fronte alla figura del corvino, attirando così il suo sguardo.
«È un piacere conoscerti, ragazzo.»
Azazel osservò le dita floride sotto i suoi occhi, poi le strinse tra gli artigli affilati.
«Lieto, signore». Solo questo, disse solo questo prima di tornare a studiare la sua guardia.
«Di poche parole…» appuntò l’uomo.
«Non gli piace sprecare ossigeno per gente come te». Il Signor Howell lanciò un’occhiata al Signor Atkins, poi sospirò per lasciarsi alle spalle il fastidio e tornò con le attenzioni sul corvino.
«Penso tu conosca già il mio uomo.» disse quando notò il suo particolar modo di studiare l’uomo al suo fianco.
«Ti presento “lo Stregone”, la mia personale guardia del corpo nonché l’uomo più forte al mondo.»
Il Signor Atkins ghignò di prepotenza a quelle parole, ma Azazel non mosse un solo muscolo del viso, né per stupore né tantomeno per fastidio nei confronti di quell’arroganza. Ciò permise all’espressione del Signor Howell di farsi sorpresa… Sapeva che avesse al suo fianco l’uomo migliore che potesse desiderare, ma quello sguardo disumano lo incuriosiva. Conosceva l’origine dei suoi poteri, ma in lui vedeva comunque il più spietato dei demoni.
«Ne ho sentito parlare.» disse lui, porgendo la mano alla figura secondaria. Quando essa prese posizione affianco al capo, poté finalmente studiarlo bene. Azazel gli arrivava alla spalla, ma alzare il mento per guardarlo dal basso non lo fece sentire inferiore a lui. L’uomo passò una mano sui suoi capelli biondi, portando così all’indietro le ciocche sfuggite al gel che li manteneva fissi, e afferrò le lunghe dita del ragazzo con le proprie, mostrando i suoi tatuaggi in esse. Azazel percepì una scossa sul suo palmo, poi lungo il braccio e infine al petto… Era lui l’uomo che stava cercando. Lo realizzò solo quando, toccandolo, ritornò nel mondo reale. E quel pensiero non fece altro che peggiorare la sua tensione. Il petto iniziò a dolergli per le palpitazioni e la sua mano si scostò immediatamente dalla pelle ardente dello sconosciuto, come fosse puro fuoco. Sapeva stesse ascoltando il suo battito. Lo percepì nel leggero movimento del muscolo della tempia destra, che gli confermò un ghigno di soddisfazione. Si sentì piccolo. Azazel si sentì piccolo e debole per la prima volta nella vita, e ciò gli impedì di respirare. L’aria gli sapeva di fiamme, il nodo alla gola era più fastidioso di una pugnalata. Deglutì con l’intento di far svanire quella sensazione, ma essa non sembrò voler andare via.
«Fa strano, vero? Essere tutti nello stesso posto… Gli uomini più forti al mondo e gli uomini più potenti al mondo.» esclamò il Signor Howell, nel tentativo di riscaldare l’aria fredda e tesa.
«L’uomo, più potente al mondo.» controbatté l’altro.
«Che sarei io, giusto.» lo sovrastò il Signor Howell.
«Sì, come no.»
«Devi sempre rovinare tutto…»
Le loro voci si fecero sempre più fioche, i capi avevano deciso di loro spontanea volontà di allontanarsi dalle loro guardie. Avrebbero dovuto seguirli, lo sapevano. Ma, in quel momento, sembrarono persi in ben altro. L’uno nell’altro.
«È strano vederti al suo fianco, Azazel.»
Un brivido attraversò la sua schiena quando udì quella voce gutturale e delicata pronunciare il suo nome.
«Come sai il mio nome? E perché dici questo?» gli domandò, con l’impassibilità che lo vestiva.
Lo Stregone lo guardava dall’alto con la tipica curiosità di un primo incontro, e si domandava come facesse Azazel ad apparire indescrivibilmente tranquillo nonostante il caos che aveva dentro. Il corvino sapeva quanto forte egli fosse, ma non sembrava impaurito da lui. Era disturbato, piuttosto, da qualcosa che aveva bisogno di pronunciare… L’altro lo notò dal suo modo curioso di studiarlo e dal tono che assumeva il suo sguardo, penetrante come una lama a doppio taglio.
«Vieni con me.»
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L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)
RomanceGli occhi sono davvero lo specchio dell'anima? Nonostante non ci sia una vera e propria risposta a questa domanda, coloro che sono entrati in quell'occhio e hanno avuto la fortuna di uscirne vivi raccontano di aver visto l'anima del Diavolo al suo i...