- LUNAPARK -

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Il cielo si rifletteva sulle pozze d'acqua, spezzando l'alba in frammenti di mosaici sulla strada. Lì, il cinguettio degli uccelli era più fioco e il vento sembrava soffiare più forte. Vecchie attrazioni si espandevano dovunque si posasse lo sguardo: montagne russe alte e cigolanti, a tratti arrugginite o ricoperte di piante rampicanti; un vecchio tendone dalle strisce bianche e rosse, sgualcito e bruciato, e più cadente da un lato; la grande bocca di un clown, statue di qua e di là, e ferrovie distrutte e ricoperte di muschio. Chiunque avesse avuto il coraggio di mettere piede in quel luogo avrebbe potuto percepire le urla dei bambini o i ruggiti delle tigri direttamente da dentro il tendone. Ma alla fine, era solo l'eco del cigolio delle altalene che, per via del vento, andavano avanti e indietro, simulando l'inquietudine. L'alba si specchiava sulle attrazioni lucide, rendendo più colorato laddove chiunque percepiva solo terrore. Il Signor Atkins e Azazel fecero il loro ingresso dal vecchio cancello aperto e, andando sempre più avanti, videro la figura dello Stregone farsi chiara in mezzo alla nebbia grigia. Aveva il suo solito cappotto lungo addosso, la maschera nera sul viso e le mani dentro le tasche, con le spalle dritte e il petto all'infuori. Dietro di lui, la ruota panoramica lasciava il fiato sospeso. Gli alberi sussurravano un fruscio nell'aria con i loro rami spogli, e più in là un piccolo lago inondava i suoni con il suo calmo andamento. I loro passi, però, spezzavano quel rumoroso silenzio quasi ritmicamente. Di colpo, non più.


«Signor Atkins». La voce dello Stregone viaggiò nel vento e rimbombò nella quiete, fino a giungere limpida alle loro orecchie. Fece un leggero inchino verso l'uomo nominato, in segno di saluto. Poi, si voltò verso il suo avversario, lasciando ad egli la possibilità di avvicinarsi.


«Donovan.» parlò ancora, concedendo la mano ad Azazel. Quest'ultimo annuì col capo e ricambiò la stretta. Poi, all'avvicinamento delle due figure, fece qualche passo indietro. Lo Stregone lo seguì con lo sguardo, come se volesse già studiare ogni suo movimento... E come se, quasi innocentemente, non l'avesse fatto qualche ore prima.


«Bart?» domandò il più anziano all'uomo.


«Ha avuto un imprevisto, sono da solo.» gli spiegò, ma senza distogliere le attenzioni dal suo sicario. Il Signor Atkins non si fidava, lo si poteva notare dal suo sguardo severo e affilato. Si voltò quindi verso Azazel e gli chiese conferma con il sopracciglio sollevato. Il corvino lasciò che i rumori si facessero più forti per poterli studiare con attenzione. Lì, tra il fischio del vento e il cigolio delle altalene, non udiva nient'altro. Perciò, affermò le parole dell'uomo con un impercettibile movimento della testa e tornò laddove gli occhi scuri brillavano sotto le luci fioche dei lampioni. A volte spariva, altre volte tornava. E scagliava il loro bagliore sui loro lineamenti, accentuandoli.


«Bene, potete iniziare.» parlò il più anziano, portando la sua figura alle spalle di Azazel. I due sicari lo seguirono con gli occhi, prestarono attenzione al suo modo zoppo di camminare e al suono ritmico dei suoi passi. Poi, veloce come uno schiocco delle dita, si poté udire un "click". Il rumore della sicura abbassata scalfì il silenzio come un fulmine nel cielo sereno. Azazel non mosse un muscolo, nemmeno nel momento in cui la canna della pistola toccò la sua tempia con il suo materiale freddo. Il sangue gli si gelò nelle vene quando si rese conto della velocità con cui quell'uomo si mosse. Ebbe come la sensazione che il tempo si fosse fermato, per poi ricominciare con la pistola contro la sua testa. Un sospiro uscì dalle sue labbra e il battito si fece improvvisamente calmo. Ancora una volta, l'impassibilità cristallizzò i suoi sentimenti nelle pareti di ghiaccio del suo cuore. Era calmo come una bolla di sapone pronta a rompersi tra le braccia del suolo. E si girò. Sentì la canna percorrere la sua fronte, il corpo farsi caldo al percorso che la forza stava compiendo per migliorare le sue capacità. Il dito se ne stava sul grilletto, fu questa la prima cosa che notò. Quasi contemporaneamente, udì il sangue dell'altro velocizzare la sua corsa nelle arterie e il cuore perdere dei battiti. Fu il suo sguardo a causare quella reazione. Quell'uomo non aveva mai visto due occhi così vuoti prima. Ed era strano, per lui, non riuscire a leggere una persona al solo contatto visivo. Riuscì a capire una cosa sola tra il blu scuro come la notte e il celeste cristallino: si poteva assaporare il dolce sangue delle sue vittime, al solo guardarlo negli occhi. E proprio quegli occhi, nel loro vortice di nulla e nel loro vuoto di tutto, avevano una storia da raccontare. Non aveva mai creduto alla leggenda che si narrava su di lui, ma comprese il motivo per cui le sue vittime raccontassero al mondo che quel ragazzo avesse il diavolo negli occhi. Era diviso a metà. L'occhio buono parlava di lui, la sua sofferenza era racchiusa in quelle palpebre stanche di reggersi per il peso della vita. L'altro, invece, rifletteva le sue vittime. Era una sorta di specchio che le mostrava nel loro momento più disperato. Ecco la ragione per cui si diceva che vi fosse la morte dentro quegli occhi. Era dovuto al loro stesso riflesso, al loro sguardo colmo di preghiere per sottrarsi alla morte stessa. Lui, personalmente, ci vedeva solo una maschera nera.

L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora