- IL PIANOFORTE -

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Quella sera, la pioggia batteva violenta contro il vetro della finestra. Le stelle si nascondevano dietro le nuvole, perciò Eren non poté concedersi una tazza di tè caldo sulla sedia sdraio che occupava il balcone della stanza.
«Cosa stai combinando?» disse una voce, calma come mai prima.
Sollevando gli occhi, Eren si pietrificò. La figura di Azazel si presentò spoglia dei propri vestiti e ricoperta di goccioline d’acqua, che pendevano dalla sua pelle e facevano a gara a chi arrivasse prima al pavimento o alla tovaglia che aveva legata ai fianchi. La zona del bacino era ben visibile, ricoperta dall’inchiostro nero del suo tatuaggio: una farfalla, libera proprio come l’animo di chi la portava sulla pelle. Un fremito corse lungo la sua schiena. Michelangelo in persona sembrò aver scolpito ogni centimetro del suo corpo, dalle gambe muscolose al bacino coperto, dagli addominali - maggiormente evidenziati dalla penombra - alle clavicole taglienti. E poi il suo viso che, delineato come una statua di Donatello, appariva il più bello ai suoi occhi.
«Disegno.» rispose, muovendo la matita tra le dita.
«Cosa disegni?» gli chiese allora Azazel, mentre sfregava una seconda asciugamano sulla chioma folta. Eren non diede una risposta immediata perché concentrato a canalizzare le sue forze in una singola azione: distogliere lo sguardo verso il foglio bianco. Era dal loro ritorno dalla spiaggia che non smetteva di accoltellare la pagina con la punta affilata della matita, privo di ogni ispirazione.
«Devo ancora decidere.» rispose poi, senza lasciare che le sue attenzioni ricadessero ancora una volta sul corpo scolpito dalla lamina preferita di Afrodite. E passarono pochi secondi prima che le sue ingrate orecchie venissero benedette ancora una volta dalla calda voce del maggiore.
«Disegna me.» parlò il ragazzo. Gli occhi verdi si alzarono, impauriti, e incontrarono i suoi, impavidi. Luce e ombra si scontrarono. Demoni e Santi si diedero la mano… In quel momento, erano diventati ciò di cui avevano più bisogno.
«D’accordo.» osò pronunciare, portandosi ai piedi del letto. Una seconda pausa si intromise nella loro conversazione e le corde della chitarra si fecero tese… Non la sentivano più cantare.
C’era solo silenzio. Azazel aveva preso posto al suo fianco, con le gambe abbastanza divaricate da rendere visibili dei tratti di pelle delle sue cosce muscolose. Portò il viso a pochi centimetri di distanza dal suo volto, e un angolo della sua bocca si sollevò nel vedere le gote di egli farsi rosse.
«Troppo vicino.» esclamò Eren, prima di spingerlo via dal petto. Allora, Azazel si fece serio. Il minore, invece, si allontanò per incrociare le gambe tra i loro corpi.
«Adesso sono troppo lontano, però.»
«No, fermo così.» pronunciò lui, già pronto per fare il primo schizzo con la matita che teneva tra le dita.
«Voglio mettermi più vicino.» insistette il corvino.
«Stai zitto.»
Eren aveva già assunto un’espressione concentrata, dalle sopracciglia abbassate e la punta della lingua all’angolo della bocca. Alternava le sue attenzioni dal viso del corvino al foglio, e ne ritraeva ogni minimo particolare con la punta appena affilata della matita. A volte prendeva le misure del suo viso con essa, posizionandola in verticale, poi in orizzontale e in obliquo.
Azazel non aveva mai visto quel suo modo di fare. Eren era sereno come il cinguettio di un uccello al mattino e aveva il respiro tranquillo, il cuore calmo, le mani ben ferme sul foglio.
Era raro vederlo così, perciò Azazel fotografò con gli occhi quel momento, consapevole di non poterne vivere altri simili. I ricci arancioni gli cadevano sulla fronte e il suo viso abbassato non gli permetteva di studiarlo per bene. Ma aveva ancora quel rossore sugli zigomi, forse perché ansioso del risultato o magari per quella poca distanza tra lui e quel corpo nudo. Gli piaceva, quella versione di Eren. Era impacciato come un bambino durante il suo primo giorno d’asilo, delicato come una rosa ricoperta di spine. Nulla sembrava toccarlo; era in pace con sé stesso. E la quiete che trasmetteva tranquillizzò perfino il maggiore, che si lasciò sfigurare il viso da un sorriso colmo di gioia al pensiero che lì, in quella stanza, in sua presenza, Eren stesse bene.
«Il tuo viso mi dà pace.» sussurrò il minore a bassa voce, come fosse un semplice pensiero pronunciato per errore.
«Sì?» chiese il maggiore, mentre nella sua testa un «anche il tuo» vagava nel vuoto. Eren alzò gli occhi e li incastrò ai suoi, poi un sorriso chiuso si espanse sul suo volto sereno.
«Mhmh». Tornò poi sul foglio, cercando in tutti i modi di dimenticare quegli occhi blu come la notte. Ma non ci riusciva, amava troppo il modo in cui quei diamanti lo studiavano.
«La guerra ti dà pace.» bisbigliò il corvino, attirando ancora l'attenzione dell'altro. I due smeraldi verdi si illuminarono quando incontrarono il maggiore, altrettanto ammaliato dalla sua bellezza. Stavolta, però, Eren ebbe l’impressione che l'amore avesse modellando i muscoli del volto di Azazel per rivelarsi attraverso essi. E lo notò in ogni centimetro di quel viso: dalla bocca incurvata agli zigomi alti, dallo sguardo assottigliato al luccichio dei diamanti incastonati alle orbite. Il rosso deglutì dall'imbarazzo e riabbassò la testa, lasciandosi pungere dal pensiero che Azazel stesse amando la versione tranquilla di sé.
«Smettila di guardarmi in quel modo.» esclamò poi, riportando l’altro sulla terraferma. Il corvino vide la sua mano irrigidirsi, il suo pomo d’Adamo fare su e giù nervosamente.
«Quale modo?» gli chiese, facendo svanire quel leggero sorriso.
«In quel modo.» appuntò lui, mantenendo lo sguardo sulla matita ancora poggiata sul foglio, immobile.
«So a cosa stai pensando. Ma ti fermo subito se credi che tutto questo possa cambiarmi». Azazel non capiva dove volesse arrivare né da dove provenisse quella stramba idea… E non se lo chiese nemmeno, perché dentro di sé sapeva già di aver fatto qualcosa di sbagliato. Ma cosa? A quella domanda, il maggiore assunse un’espressione colma di confusione e abbassò il busto per entrare nella visuale del rosso, che distolse a sua volta lo sguardo.
«Di che stai parlando?»
«Quello che sta succedendo tra di noi non mi cambierà. Non diventerò normale solo perché ti… Per tutto questo.» sussurrò, deglutendo ancora.
«Non l’ho mai pensato.»
«Ma lo vorresti». Azazel si avvicinò a lui, alla ricerca di un contatto che sapeva non sarebbe stato ricambiato. Perciò lo obbligò a farlo, portando le mani sulle sue guance per sollevare il suo viso. Lì, poté sentire il battito del minore farsi più rapido e le sue guance divenire più calde.
«Cosa te lo fa credere, mh?» gli chiese, portando i suoi pollici su e giù sulla sua pelle bollente.
«Mi guardavi in modo diverso, poco fa. Ti piace quel lato normale di me.»
«Normale? Perché?! Gli altri lati di te non lo sono?»
«No, e lo sai bene.»
Eren si liberò da quelle mani afferrandole per i polsi e allontanandole. Poi, abbassò lo sguardo.
«E allora?». Bastarono quelle parole e quel tono di voce calmo a convincerlo che guardarlo dritto negli occhi non fosse pericoloso come un tempo.
«Mi preferisci quando non faccio follie. L’ho notato ieri, sai? Il modo in cui controllavi ogni mia mossa. Mi stavi tenendo d’occhio come fossi un bambino.»
«L’ho fatto per proteggerti, Eren.»
«Ma odi quella parte di me. Ti danno fastidio i miei comportamenti quando sono nella fase maniacale. Ma io non ho bisogno di questo. Né del tuo odio, né della tua protezione.»
La tristezza che lo invase era palpabile ad ogni sua parola, che sembrava uscire dalla sua bocca senza un secondo di ragionamento. Azazel si chiese se fosse appena entrato in uno di quei momenti in cui - come accadeva a sua madre - le paranoie e i sensi di colpa gli stavano facendo credere di non meritare niente e nessuno. Eren si alzò dal letto con la pesantezza di quei pensieri sulle spalle. Azazel, invece, lo seguì con lo sguardo, impaurito dalla sua imprevedibilità. E ciò che fece subito dopo, per quanto lo stupì, fu l’ultima cosa a cui avrebbe mai potuto pensare. Piccoli e quasi irrilevabili passi occuparono il silenzio della stanza e, l’attimo dopo, il rumore della finestra che veniva aperta. Un vento tiepido scompigliò i capelli del rosso e fece rabbrividire il maggiore, la cui gamba destra prese a fare su e giù per la tensione.
Mise le mani sul piumone, già pronto per darsi una spinta e correre ad ogni movimento sospetto. Ma non fece nulla.
Eren restò davanti alla finestra con gli occhi chiusi e il petto pesante. Respirò dal naso l’odore amaro della pioggia e d’improvviso…
Un passo.
Azazel si alzò.
Poi un altro passo, e poi altri ancora, finché non raggiunse la ringhiera in pietra del balcone. Eren si lasciò bagnare dalla fresca pioggia estiva, mentre l’umidità gli comprimeva i polmoni e il vento gli soffiava nelle orecchie.
«Eren.» esclamò Azazel, avvicinandosi rapidamente alla finestra. Sospirò subito dopo, ma senza fare rumore. Sapeva che un gesto così piccolo avrebbe potuto far sentire Eren un peso.
«Entra, o ti beccherai il raffreddore.»
«Vedi?» quasi lo interruppe il rosso. «Stai cercando di controllarmi.»
«Sto cercando di proteggerti, Eren. È diverso.»
Era all’esasperazione, non sapeva più come comportarsi. Le spalle di Eren tremavano sotto il suo sguardo e i suoi capelli umidi venivano tirati via dalle mani del vento. Poi lo vide voltarsi, svelando il viso ricoperto di goccioline, alcune provenienti dalla pioggia ed altre ancora dai suoi occhi.
«Non voglio che tu mi protegga. Voglio fare cazzate, lasciarmi trasportare dalla mia follia. E voglio te al mio fianco mentre succede». Eren alzò la voce per sovrastare il rumoroso suono della tempesta. Infine, portò una mano verso di lui, con il palmo verso l’alto e in attesa di essere afferrato.
«E se ti chiedessi di prendere delle medicine? O di andare in terapia?» disse, e il rosso ritirò immediatamente la mano.
«Non lo farò. Non voglio essere ciò che non sono.»
«Tu non sei il tuo disturbo, Eren.»
«Sì che lo sono. Non sono nessuno senza. Forse mi ameresti di più, ma non posso uccidere questa parte di me per qualcun altro.»
Il silenzio invase la stanza, il corridoio e la notte intera. Azazel aveva tante domande da porgli, tante risposte che sperava di ricevere. Ma non disse nulla, il suo sguardo preoccupato bastò al minore per capire… Lui non avrebbe mai accettato la sua follia. Le labbra di Eren si serrarono, gli angoli si fecero curvi verso il basso e la fronte aggrottata. Stava cercando in tutti i modi di sottrarsi al suo pianto rumoroso… Preferiva farlo in silenzio per confondere le sue lacrime con la pioggia. Il petto gli doleva nel vedere la figura di Azazel ancora immobile davanti alla finestra.
Voleva andare da lui, baciarlo, chiedergli scusa per quanto crudele fosse stato… Dopotutto, nessuno aveva l’obbligo di accettare la sua oscurità. Specialmente qualcuno come Azazel, che pensava davvero che lui non fosse così. Ma Eren era la sua follia. La pura follia era Eren. E a lui piaceva. Era attaccato morbosamente a quel malessere, perché a volte gli dava anche un’immensa e ignota felicità. D’altra parte, Azazel non sapeva cosa fare. Avrebbe dovuto dargli corda o cercare di fargli comprendere che quell’idea fosse sbagliata? Ash gli fece capire che lui non fosse il suo dolore, né il suo passato o le sue azioni. Lui sarebbe riuscito a fare lo stesso? Sarebbe mai stato in grado di far capire ad Eren che lui non era la sua follia? Sarebbe riuscito a fargli comprendere che la bellezza del suo essere non dipendesse da essa?
Azazel fece un passo.
Poi un altro e un altro ancora.
Si lasciò bagnare dalla pioggia e avanzò finché non si ritrovò di fronte a lui, petto contro petto e viso contro viso.
Silenzio. E in esso, promise a sé stesso che ci avrebbe provato.
Il rumore della pioggia faceva da strumento principale dell’Orchestra, mentre i loro cuori e i loro respiri lo accompagnavano con eleganza. Poi, un altro passo ancora.
I loro petti entrarono in collisione, il viso di Eren si sollevò per mantenere lo sguardo inchiodato sui diamanti blu. Lì, tra il dolore e la pesantezza degli scheletri, ci vide la più grande e bella forma di umanità. Azazel si stava preoccupando per lui… Perché non lo stava apprezzando? Ed Eren stava mostrando il suo amore con l’unico modo che conosceva: chiedergli di accompagnarlo nella sua follia. Perché Azazel non lo stava apprezzando? O magari…
«Se è questo ciò che vuoi, allora lo farò.»
Menzogne, erano menzogne. Si lasciò invadere dall’ipocrisia, dalla volontà di guarirlo ad ogni costo per non lasciarselo scappare come fece con sua madre. Ma non poteva dirglielo, altrimenti lo avrebbe fatto ugualmente. Eren gli sorrise, e la luce tornò ad illuminargli gli occhi come fari nell’ombra. Portò le mani sul suo viso, infine si sollevò sulle punte per raggiungere le sue morbide labbra. Le baciò, prima con calma e poi con violenza, lasciandosi così trasportare da quel desiderio proibito.
Quella fu la conferma di Azazel: quel pezzo concessogli da Eren non era fatto per riempire la parte vuota del suo puzzle.
Questo perché, tra menzogne e amore, sapeva si sarebbero soltanto avvelenati a vicenda.

L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora