- LA CASCATA DELLE MARMORE -

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La notte continuava a tormentarlo.


Aveva paura del suo buio, come se non avesse vissuto nell'oscurità fino ad allora. Perciò se ne stava in balcone ad osservare la scintilla della sigaretta farsi sempre più vicina alle sue dita o alle sue labbra. E nel frattempo, ascoltava il respiro calmo di Eren per distrarsi dalle caotiche voci che gli infastidivano i pensieri. Dal suo incontro con il Signor Atkins, il rosso si era lasciato andare su quel dannato materasso. Capitò spesso, durante quella sera, che Azazel si alzasse dalla sedia per controllarlo nonostante fosse coperto da testa a piedi dal leggero lenzuolo rosso. Poi, quando il sole raggiunse un punto abbastanza alto nel cielo, il corvino si lasciò inebriare dall'impazienza e tentò in tutti i modi di svegliarlo.


«Eren.» sussurrò, scuotendo la sua spalla coperta.


«Svegliati.» disse ancora, in un filo di voce.


Bastò davvero poco per svegliarlo, o almeno fu questo ciò che pensò Azazel. Quando Eren tolse il lenzuolo dal viso, però, capì che non avesse dormito affatto. Sospirò a quello sguardo perso nel nulla, e si maledisse di non poter fare di più, ingrandendo così le sue infinite colpe.


«Buongiorno.» parlò, titubante. Azazel poggiò le ginocchia a terra e una guancia sul cuscino per poter guardare i suoi diamanti verdi. E rimase immobile a guardare il suo viso farsi ogni secondo più bello ai suoi occhi. La stanchezza gli tingeva le occhiaie di nero, la tristezza non gli permetteva di muovere un solo muscolo del viso. La mascella era serrata, come se si stesse trattenendo dal fare o dire qualcosa. E il cuore gli pulsava calmo nel petto, troppo stanco per farsi veloce. Avrebbe voluto toccarlo, dirgli che stesse facendo un ottimo lavoro a combattere contro i demoni che aveva dentro... Ma sapeva che non l'avrebbe ascoltato. Era immerso nel suo mondo, tra le voci della sua testa. Avrebbe dato la vita per cacciarle ad una ad una o trasferirle nella sua, di testa. Pur di vederlo felice una sola, dannatissima, volta. Tentennò nel portare una mano tra le ciocche dei suoi capelli rossi. Le voci gli urlarono di non meritarlo finché non lo costrinsero a ritirarla. Fu Eren ad afferrarla prima che fosse troppo tardi, per sentire quelle mani calde sulla sua testa. Erano morbidi, a tratti più scuri. Azazel rabbrividì, e il respiro gli si bloccò in gola per non distruggere quel viso di seta con esso. Rimase in silenzio - come gli era solito fare quando aveva una marea di preoccupazioni dentro - a far balzare quei ricciolini come fossero delle piccole molle. Ed Eren lo guardava, lo guardava e basta, con le palpebre che quasi non riuscivano a restare aperte. Era così fragile in quel momento, ma un sorriso gli sfuggì ugualmente quando vide gli angoli della bocca del corvino farsi inconsapevolmente alti.


«Ti va di fare un bagno?» sussurrò il maggiore, ottenendo un'approvazione con un leggero movimento del capo. Azazel si sollevò da terra con la solita eleganza che vestiva ogni suo singolo movimento, e aiutò l'altro a staccarsi dalla calamita qual era il suo letto. Sapeva quanto sforzo ci volesse per farlo da solo, aveva trascorso anni della sua vita ad affrontare quella scena a testa alta. Sua madre agiva come Eren la maggior parte del tempo. Quando Azazel - prima dell'inizio degli esperimenti - si svegliava per andare a scuola, passava almeno mezz'ora ogni mattina a pregare sua madre di lasciare quel dannato letto. E lo faceva solo quando quelle preghiere iniziavano ad infastidire la quiete che tentava in tutti i modi di mantenere dentro di sé. Preparava il figlio, lo portava a scuola e poi tornava lì, sulla calamita della depressione. Azazel odiava così tanto quelle scenate e quella sensazione di inutilità da rinunciarci dopo poco tempo. Ma non aveva intenzione di fare lo stesso con Eren... Non voleva perderlo come aveva perso quella donna.


Lo prese in braccio - sollevando le sue gambe da terra per portarle sui suoi fianchi - e lo portò in bagno, abbandonandolo infine sulla fredda ceramica del water. Aprì l'acqua della vasca e la profumò con il sapone che era solito usare il minore. Poi, solo dopo essersi accertato che non fosse né troppo fredda né troppo calda, tornò da lui... Eren aveva la schiena ricurva in avanti e le mani gli tremavano sulle cosce coperte solo a metà dai pantaloncini del pigiama. Il suo viso non sembrava dire nulla, urlava solo un'immensa stanchezza. E non quella causata dalle notti in bianco. Era la stanchezza provocata dalle continue lotte contro sé stesso, i suoi cambi d'umore, la voglia di sparire da quel mondo inadatto per la gente come lui. Aveva bisogno di riposare sul giaciglio di un mondo diverso. Quel mondo in cui, a volte, riusciva a rinchiudersi per scappare dalle voci che gli pulsavano nel petto. Eren non osò guardarlo per un solo secondo, si vergognava delle sue occhiaie più del corpo che Azazel stava scoprendo dai suoi indumenti. Si lasciò sollevare ancora, infine venne poggiato sul fondo della vasca. Quando l'acqua tiepida gli coprì il corpo fino a metà braccia, un brivido percorse la sua schiena. Sollevò quindi le spalle e le strinse l'una contro l'altra, prima di portare le ginocchia al petto. Non aveva freddo, Azazel lo sapeva. Come sapeva che fosse solito assumere quella posizione quando stava cercando di rinchiudersi nelle sue ombre, senza lasciare la possibilità a nessuno di liberarlo da esse. Sospirò, ma non disse nulla. Il silenzio inondò così la stanza, ma la testa del maggiore era così caotica che perfino Eren riusciva a sentirla senza il bisogno di guardarlo negli occhi.

L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora