«Azazel.»
La voce di Ash echeggiò rapida tra le mura del salone, risvegliando d’improvviso l’altro. Azazel era visibilmente stanco, a confermarlo erano le occhiaie scure e gli occhi semichiusi. Sollevò il busto dal vecchio divano della stanza, facendo così crollare la coperta sulle gambe. Le sue guance erano segnate dalle pieghe del cuscino, le sue labbra gonfie come rose appena sbocciate. Ash aveva l’antidoto che ormai da mesi iniettava nel collo del compagno e, come ogni mattina, lo svegliò proprio per quella ragione. La notte precedente, tra un discorso e l’altro, entrambi si addormentarono dinanzi al camino, con il calore del fuoco e delle coperte a cullarli come una ninna nanna o le braccia di una madre. Il biondo si alzò prima per via della sveglia del bracciale, che gli ricordava giornalmente di dare l’antidoto all’amico. Azazel non disse nulla quella mattina, portò semplicemente il viso di lato e si lasciò pungere dall’ago. Un imminente dolore si espanse lungo la giugulare, ma non un solo gemito di fastidio uscì dalla sua bocca pietrificata dal sonno. La pelle tirava, e il suo corpo venne improvvisamente invaso da una sensazione di calma assoluta, irritante debolezza. E come se non bastasse, quell’antidoto lo rendeva sempre più sensibile ai rumori. Pavimento scricchiolante, finestre mosse dal vento e, a volte, anche chiacchiere dei compagni che - come lui - non riuscivano a prendere sonno. Sentiva il suo stesso sangue scorrergli rumorosamente nelle vene, il battito cardiaco farsi spazio lungo il petto e il cuore pulsare la sua fonte vitale dagli atri ai ventricoli.
Ash lo affiancò come al solito e rimase lì per tutta l’ora successiva, la più atroce delle dodici. In quell’arco di tempo, Azazel era così invaso dalla debolezza da non potersi alzare, mangiare o anche solo bere un goccio d’acqua. Il suo compagno lo controllava e lo intratteneva con la sua compagnia nonostante gli fosse stato chiesto esplicitamente di non farlo. La maggior parte delle volte stava in silenzio ad osservare il viso di Azazel contorto dal dolore e disturbato dai rumori. Raramente gli capitava di raccontargli qualcosa come la sua voglia di esplorare il mondo, la sua passione per la scienza e la medicina, o il suo segretissimo desiderio di voler andare via da quel posto. Sapeva che il suo amico lo stesse ascoltando, ma a volte si interrompeva per l’irrefrenabile sensazione di star disturbando. Tornava sui suoi racconti solo quando una mano di Azazel gli stringeva la coscia per chiedergli di continuare. Preferiva la sua voce ai rumori del castello o alle voci nella sua testa…
Ma proprio quel giorno, alla fine di quell’ora e all’inizio della ripresa delle sue forze, Ash raccolse tutto il suo coraggio per porgli una domanda che lo torturava ormai da tempo.
«Com’è iniziato tutto questo?» gli chiese, restando sul vago. Sapeva che Azazel, in un modo o nell’altro, avrebbe compreso quella domanda. Eppure, stette in silenzio ad ascoltare il cuore leggermente accelerato del biondo e le sue dita sfregarsi l’una contro l’altra. Il corvino girò il viso verso quello del suo compagno, denudando la sua stanchezza. La sua espressione era indecifrabile. Oltre alla debolezza, non sembrava voler esprimere altro. Ma Ash vide qualcosa, qualcosa che andava oltre ciò che mostrava in superficie. Mantenne quindi gli occhi cristallini sul blu notte di Azazel, e annuì leggermente come per dirgli “ho capito, non vuoi parlarne”. Abbassò poi lo sguardo e lo mantenne ben saldo sulle sue dita, che non smettevano di intrecciarsi dal disagio.
«D’accordo, ti lascio stare.» esclamò dopo il richiamo dell’orologio che, come al solito, indicava loro che la prima ora fosse passata. Fece per sollevarsi dal divano e andare via, colmo di un imbarazzo che non sembrava voler svanire. Ma venne fermato, anche se lentamente, dalla debole presa di Azazel sul suo polso. Lo spinse con delicatezza verso di sé, non aveva abbastanza forze per parlare ad alta voce.
«Non è ancora il momento giusto per dirlo, ma sarai il primo a saperlo.» sussurrò, in un filo di voce che andava svanendo sempre più.
«Promettilo…»
Anche Ash parlò delicatamente, magari per non disturbare il suo fragile udito o forse per non svelare la sua insicurezza.
«Non puoi attaccarti ad una mia promessa, Ash.»
«So che la manterrai». Una leggera e quasi silenziosa risata echeggiò tra le mura accese dalla luce del sole e Azazel strinse maggiormente il polso del suo compagno, senza alcuna apparente ragione.
«Come puoi dirlo dopo tutto quello che hai visto?»
«Perché…»
Si fermò, per un lasso di tempo che pareva interminabile, e sospirò sul viso di Azazel prima di distogliere lo sguardo. Sembrava non avere il coraggio di dire le cose guardando il corvino dritto nella sua anima ma, dopo qualche istante di quiete assoluta, fece tornare le attenzioni su di lui.
«Tu non sei ciò che fai. Non sei ciò che dici. E non sei il tuo passato». Azazel scrutò il suo volto e quasi sorrise per la sua sincerità.
«Credi che io non sappia chi sei davvero?» continuò Ash.
«Nessuno sa chi sono davvero, Ash. Non lo so nemmeno io.»
Il silenzio dominò il palcoscenico, ma in quel frammento di pace quei due sembravano farsi la guerra. Ash aveva un’espressione severa, quasi arrabbiata. D’altro canto, Azazel non sembrava star mostrando alcuna emozione.
«No, Azazel. Tu sai benissimo chi sei. Sei un assassino che non vuole essere un assassino, un’anima perduta che sta cercando la via del ritorno. Sei impacciato, non sai fare i conti con i tuoi stessi sentimenti ed è questa la ragione per cui tutti ti temono. Crei caos, e ti diverte farlo perché ti fa sentire libero dalle regole. Sei forte, affascinante, leale e un bugiardo patologico. E sei mio amico.»
Eccola, la scintilla. Ash poté percepirla negli occhi spenti del suo compagno. Allora, ebbe la conferma che uccidere non fosse l’unica cosa in grado di accendere la fiamma che aveva dentro... Anche lui era diventato il fiammifero che la provocava.
«O forse queste sono solo altre menzogne che mostri alle persone a te più vicine. Ma non mi importa… Anche quelle sono parte di te e mi sta bene. Non venirmi però a dire che neanche tu sai chi sei, perché lo sai. Ti stai solo nascondendo da te stesso.»
Ash gli stava puntando un dito contro il petto e ringhiava quelle parole in un sussurro sempre più vivace. Azazel si alzò, scattante.
E la figura di Ash tornò dritta, il suo sguardo stupito. Si chiese come fosse possibile tale velocità dopo una sola ora passata.
Il corvino fece un passo verso di lui e il biondo percepì il calore del suo corpo appesantire il suo petto.
«Voi uomini. Vittime di menzogne e schiavi di illusioni. Mascherate ciò che avete davanti agli occhi con la vostra finta bontà. Un giorno ti renderai conto che essermi amico non farà altro che aumentare il caos nella tua vita.»
Azazel era calmo come una nuvola passeggera sopra un mare in tempesta. Ash, invece, era le onde che tanto si stavano sforzando per raggiungerla.
«Perché ti è così difficile capire che sei meglio di così?» chiese il biondo.
«Perché ti è così difficile capire che non sono chi credi che io sia?» domandò il corvino, facendo sospirare il suo compagno.
«Perché in questi mesi ho imparato a conoscerti, a leggerti sopra le righe. Non sono bravo in questo, e forse mi sto davvero sbagliando. Ma ho visto della sincerità nei tuoi occhi quando passavi del tempo con me. E sai quando non la vedo?»
Ash si zittì, come se stesse dando il tempo ad Azazel di darsi una risposta. Ma sembrò non volerla ammettere a sé stesso, perciò si limitò a rispondere alla sua stessa domanda.
«In momenti come questo. In cui fingi di essere ciò che non sei davvero». Azazel era bravo a fingere, lui stesso si sentiva una menzogna vagante sulla Terra. Ma quando capì che quel ragazzo stesse davvero imparando a conoscerlo, si sentì estremamente vulnerabile. Aprì la bocca ancora una volta, con l’intento di rispondere, ma il biondo era già tornato sui suoi passi e pronto per uscire dalla stanza. Tuttavia, proprio sulla soglia della porta e con una mano sulla maniglia, si fermò.
«Io so chi sei, ne sono convinto. E se tu non lo sai, ti aiuterò a scoprirlo. Ma non tirarti indietro, Azazel… Non con me. Non userò le tue debolezze e il tuo passato contro di te. Non è quello che fanno gli amici». E se ne andò, lasciandosi alle spalle un Azazel colto alla sprovvista. Nessuno aveva mai provato a leggerlo sopra le righe, nessuno lo aveva mai capito come Ash stava cercando in tutti i modi di fare. E stavolta giurò a sé stesso che non si sarebbe tirato indietro. Avrebbe continuato a mostrarsi per quello che era davvero, solo con Ash, perché in fondo di lui si fidava. Ma avrebbe comunque mentito fino alla morte, illudendo sé stesso e gli altri che quella versione di sé fosse la sola verità che gli appartenesse.
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L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)
RomanceGli occhi sono davvero lo specchio dell'anima? Nonostante non ci sia una vera e propria risposta a questa domanda, coloro che sono entrati in quell'occhio e hanno avuto la fortuna di uscirne vivi raccontano di aver visto l'anima del Diavolo al suo i...