- ORCHESTRA DI PECCATI -

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Avrebbe voluto cancellare tutto e ricominciare da capo, ma la penna con cui scriveva sui fogli bianchi della vita non era cancellabile e il bianchetto avrebbe solo coperto quelle parole, senza rimuoverle davvero. Avrebbe potuto scriverci sopra, ma non era il tipo di persona che cercava di risolvere i suoi guai. Preferiva fare un taglietto su quelle frasi e ricominciare a scrivere come se nulla fosse accaduto. Non chiedeva perdono, neanche quando si pentiva delle sue azioni. Fingeva di esserne indifferente e si lasciava trascinare verso le conseguenze come una conchiglia fa con le onde per raggiungere la riva. Adottare quella soluzione, però, non aveva risolto nulla. Azazel sospirò, e rilassò la schiena sulla poltrona che giaceva davanti al camino della sua stanza. Decise che avrebbe trascorso lì il suo pomeriggio, tra i suoi pensieri e le voci nella sua testa. Il rumore del fuoco era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi, come una nave con la sua àncora durante la tempesta. Si concentrò sullo scoppiettio delle fiamme, e si rilassò nell’udire quel suono e nient’altro. I restanti rumori fecero da sottofondo, ma non gli fischiarono nelle orecchie a tal punto da stordirlo. Quel meraviglioso silenzio, però, sparì nel momento in cui Eren aprì la porta e la richiuse alle sue spalle.
«Eccoti.» esclamò lui, con tono alto. Azazel lo ignorò e quasi sbuffò al ricordo di quella conversazione mai terminata. Eren guardò il suo profilo illuminato dalle fiamme del fuoco, poi si avvicinò al camino per riscaldare le mani dal freddo che non voleva andar via da quel castello. Si sedette di fronte ad esso, sul tappetto, proprio come era solito fare Azazel quando lui stava male, ma non fiatò per una manciata di minuti. Eren fu la sua distrazione, ancora una volta. Per quanto stesse provando a mantenere le sue attenzioni sul rumore e sulle fiamme del fuoco, il rosso lo attraeva a sé come lui faceva con il caos… Come una calamita. Osservava le sue spalle, la sua sottile schiena coperta dal tessuto morbido di una felpa bianca. Le sue forme si adagiavano perfettamente su quel tappeto, e i suoi capelli rossi lo ipnotizzavano così tanto da volerli toccare. Voleva toccare lui. Eren. Eren e solo Eren. Quel ragazzo i cui occhi vedeva sul verde degli alberi, e i capelli arancioni tra le sfumature del tramonto. Quel ragazzo che tanto voleva vivere per conoscere. E quel ragazzo la cui vita sembrava scritta con un inchiostro invisibile, e la personalità a matita per poterla cambiare ogni mese, ogni giorno, ogni ora. E a lui andava bene così, non si annoiava mai con lui. Ma vedeva le sue personalità in ogni cosa, e questo lo infastidiva. Vedeva la sua arroganza nella luce delle stelle, la sua dolcezza nei colori della primavera, la sua capacità di ascoltare nella luna a cui tanto amava raccontare i suoi segreti. Lo vedeva ovunque, lo udiva ovunque. Il vento non smetteva di fischiargli nelle orecchie con il suo stesso tono di voce, a volte dolce e a volte violento. E sentiva il suo profumo in ogni cosa, dalla più dolce alla più amara, dalla più aspra alla più acida. Ovunque. Lui era ovunque ed era tutto. Lui era il motivo per cui si sentiva incatenato lì dentro, in quel contratto e nel progetto del Signor Atkins. Non l’antidoto, non i piani di quell’uomo, non la sua fame di sangue e potere. Solo lui.
Poteva udire il suo respiro calmo, il suo battito veloce e la sua bocca aprirsi e chiudersi di continuo, come se non avesse il coraggio di dire qualcosa. Ma alla fine lo trovò, anche lui tra le fiamme di quel fuoco sempre più alto.
«Adesso va bene?» gli domandò.
«Cosa?» disse Azazel, troppo distratto da quel battito sempre più veloce per capire di cosa stesse parlando.
«Parlarne». Azazel sospirò pesantemente e distolse lo sguardo verso le fiamme rosse nell’istante in cui Eren si voltò verso di lui. Poi lo guardò - come per illuderlo ed illudersi di non averlo fatto per tutto quel tempo – e, infine, si alzò dalla poltrona.
«No.» parlò poi, non prima di aver preso una sigaretta ed aver aperto la finestra. Uscì poi in balcone e, dopo aver strizzato gli occhi per l’accecante luce del sole, poggiò i gomiti sulla ringhiera in pietra. Adesso, la sua schiena era l’unica cosa che Eren poteva vedere da dentro.
«Perché?» gli chiese, ancora seduto. Ma Azazel non rispose, per quanto avesse sentito; perciò, il rosso si sollevò da terra e si avvicinò al ragazzo.
«Ti ho chiesto perché». La sua ira era palpabile a chilometri di distanza, il tremolio del suo corpo percepibile anche solo dal palmo della sua mano, che usò per voltare l’altro verso di sé.
Azazel sospirò ancora, stavolta con calma per buttare via il fumo dalla bocca, che si scontrò con il viso del minore. Eren strinse i denti gli uni contro gli altri e i suoi pugni si serrarono ai lati dei suoi fianchi. Lo odiava, odiava la sua indifferenza. Come poteva, un umano, raggiungere tale apatia? Non c’era nulla nel suo sguardo, non una piccola emozione, non un singolo tentennio. Era vuoto, come un buco nero tra le costellazioni. Azazel continuava a fumare in silenzio, con lo sguardo rivolto verso destra e l’impassibilità negli occhi. Non voleva guardarlo, e non per mancanza di coraggio o per paura. Sapeva che se lo avesse fatto, non si sarebbe più fermato. Il vento cessò, le acque del lago si calmarono a tal punto da non creare un singolo rumore, e le foglie degli alberi e i petali dei fiori sembrarono aver paura di cadere. Non un solo rumore, non una sola cosa che potesse aiutare Azazel a distrarsi dal battito veloce di Eren… Gli dèi sembravano essersi schierati dalla sua parte. Poi arrivò qualcosa, un suono proveniente dalla sua sigaretta. Prima che potesse portarla tra le labbra, Eren la strinse tra le dita e lo sfrigolio di pelle bruciata attirò finalmente il suo sguardo. I suoi occhi quasi si spalancarono, ma si costrinse a rimanere impassibile anche di fronte a quella minaccia. Di conseguenza, il rosso si avvicinò… Adesso, solo i loro respiri li separavano l’uno dalla bocca dell’altro.
«Perché.» esclamò, non più in una domanda. Azazel non rispose, non subito. Si diede del tempo per studiare il viso di Eren, dalle labbra serrate alla fronte corrugata. Per quanto minaccioso fosse in quel momento, il corvino non fece altro che pensare al giorno in quell’espressione si contorse dal piacere.
Si chiese se Eren fosse consapevole di star perdendo tempo con lui. E domandò a sé stesso se la paura di ferirlo fosse solo una scusa per nascondere il terrore che provava verso i suoi stessi sentimenti. Eren lo portò a smettere di combattere contro di loro, ma questo non fece altro che creare altro caos in lui. Era in una valanga di emozioni che non sapeva controllare… Non sapeva come entrare in quell'uragano e lasciarsi trasportare piuttosto che lottare contro di esso. Avere rinunciato a Bryan, pensare di volere l'antidoto solo per poter vivere una vita intera con lui, lasciarsi possedere dal suo lato umano… Tutto ciò che aveva fatto e pensato a causa sua lo costringe a spegnere l'interruttore. Dentro di lui viaggiava il silenzio, l'oceano che aveva nella testa era limpido e privo di scorie. Essere in grado di controllare quelle emozioni sconosciute, però, stava a significare riuscire a darvi un nome, a conoscere quei sentimenti sconosciuti. Sapere cosa provasse per Eren aveva annullato ogni cosa… Era tornato al punto di partenza e, stavolta, era intenzionato a non ripercorrere quella via. Doveva uscirne prima che fosse troppo tardi.
«Non abbiamo niente da dirci, ecco perché. È stato solo uno sbaglio, un enorme sbaglio.» sussurrò sulle sue labbra, su cui aveva posato lo sguardo già da qualche secondo. Poi lo alzò, e lo puntò con fermezza su quello di Eren. Non aveva idea di cosa stesse cercando di dirgli la luce che le sue iridi emanavano. Rimase immobile a guardarla, in attesa di una risposta, ma il rosso sembrava paralizzato. Azazel lo superò, dandogli una leggera spallata, e tornò in camera. Fece per riprendere il pacco di sigarette dalla scrivania, ma venne interrotto dalla sadica risata proveniente dal balcone. Alzò lo sguardo dritto verso di sé, poi lo portò verso la finestra. Lì, al di là del vetro, la figura di Eren si prostrava in tutta la sua bellezza. Il suo volto, avvolto da un enorme sorriso che di sorriso non aveva niente, venne rigato da una lacrima sfuggente, poi un’altra ancora.
«Siete tutti uguali.» disse il minore, in un urlo spezzato dal nodo alla gola.
«Mia madre. Mio padre…» elencò e, in quelle parole, il rosso pronunciò tutto il dolore che quelle persone gli avevano causato. E nel frattempo, dei rumorosi e lenti passi lo dirigevano dentro la stanza, sempre più vicino ad Azazel.
«Bryan.» pronunciò, e una calda fiamma strinse improvvisamente il petto del corvino.
«Tu». Lui fu l’ultimo nominato prima del silenzio, e l’unico a cui Eren riservò una lacrima. Azazel la seguì con gli occhi finché non sparì sotto il suo mento, poi tornò a guardarlo dritto nelle fessure velate da uno strato di lucentezza.
«Ma non è colpa vostra, giusto? È colpa mia, perché mi fido di persone come voi.»
«Io non ti ho giurato niente, Eren. Non ti ho chiesto nulla, non ho fatto nulla. Hai fatto tutto tu. Perciò sì, è colpa tua.»
L’aria si riempì ancora una volta della triste risata del rosso, ancor più straziante e divertita della precedente. Poi si fermò, di colpo, e le lacrime smisero di rigare le sue guance. Il suo sorriso iniziò a svanire, fino a diventare un’espressione di disgusto e, infine, nulla.
«Hai ragione, non mi hai giurato niente. Ma io ti ho promesso una cosa, ricordi?». Azazel annuì in maniera impercettibile, ma non una parola uscì dalla sua bocca. Eren ricominciò a sorridere, stavolta con un solo angolo della bocca alzato. Lui stesso non sapeva cosa gli stesse passando per la testa. Forse sperava di fargli cambiare idea, o magari di fargli dire la verità. Sapeva, anzi; era certo che Azazel non pensasse davvero che quello che avevano fatto fosse un errore. Lo aveva visto, il suo modo di guardarlo come fosse un Dio. E aveva sentito il suo cuore battere forte nel suo petto, il suo corpo farsi caldo sopra il suo e fremere al suo tocco. Non poteva giurare a sé stesso che Azazel provasse quello che provava lui, ma era certo che volesse possederlo come si fa con gli oggetti, come faceva con la vita e il destino degli altri. Lui non era in grado di amare o di lasciarsi amare, ma Eren aveva comunque notato la luce che illuminava i suoi occhi quando teneva tra le mani qualcosa di suo. Un coltello, un vecchio libro, lui. Lui faceva parte delle cose che amava a tal punto da esserne geloso. Ma non come persona, perché Azazel non vedeva le persone come tali. Le percepiva come atteggiamenti, quantità di odio o paura che provavano nei suoi confronti, e magari anche come vittime della sua vendetta. Azazel lo voleva come un bambino vorrebbe saper volare… Voleva qualcosa che non poteva avere. O forse questa era solo una menzogna; perché Azazel, in verità, lo aveva già. Ma raccontò a sé stesso questa farsa pur di dimenticare le sue parole e convincersi che anche lui, come il corvino, voleva possederlo come si posseggono gli oggetti. Gli ricordava Bryan, per cui tanto aveva perso la testa, per poi perderla davvero quando si rese conto che il mulatto non provasse nulla per lui. Ci stava cascando ancora, come cascava alle parole dolci dei genitori dopo ore di violenza. Eppure, non si fermò. Non aveva più nulla da perdere. Se non poteva avere il suo cuore, pensò, avrebbe potuto prendersi altro.
«Ti avevo promesso di farti andare al mio posto alla festa per incontrare lo Stregone, ma ad una condizione.»
La malizia prese il sopravvento. Il suo tono di voce si fece dolce e provocante, le sue mani iniziarono a scivolare lungo il petto gonfio di Azazel. E le sue labbra, dolci come miele e soffici come petali di rosa, non smettevano di avvicinarsi a quelle amare e velenose dell’altro. Azazel sembrava indifferente, ancora una volta mostrava quel tipo di apatia irraggiungibile per un uomo comune. Non si lasciò provocare dalle parole del compagno, una piccola parte di sé sapeva che non volesse davvero continuare ciò che avevano lasciato in sospeso. Il suo sguardo non era lo stesso: era colmo di dolore e privo di reale lussuria. Aveva l’espressione di uno che avrebbe accettato di tutto dall’altro, pur di ricevere qualcosa che andasse oltre l’odio e l’amicizia. Il corvino non parlò, ma mantenne le sue attenzioni sul verde intenso di Eren e piegò le ginocchia finché non toccarono terra. Lo avrebbe pregato, pur di non ricominciare quello sbaglio. Avrebbe fatto di tutto per non legarsi ancora una volta a lui.
«Lascia che vada alla festa al tuo posto…» sussurrò, in un filo di voce. E deglutì un paio di volte per mandare via il nodo alla gola, che gli manteneva in sospeso quel “ti prego” che Eren tanto attendeva.
«Ti… Per favore.»
Non riuscì a sostenere il suo sguardo.
Gli occhi di Eren si riempirono ancora una volta di lacrime e ciò ingrandì soltanto quel nodo lungo la faringe. Ma risollevò le attenzioni subito dopo, e puntò il suo blu notte sulle iridi del ragazzo.
«Ti prego.» esclamò. Per la prima volta poté udire quelle parole venir pronunciate dalla sua bocca. Ne fu quasi disgustato, non si era mai abbassato a quel livello prima d’ora. Ma una parte di sé, proprio come l’arroganza nel suo tono di voce fece intendere, sapeva che non fossero preghiere sincere. Anche Eren ne era convinto, ma non fu questo il motivo per cui quel verde si fece così lucido. Perse il controllo, per troppe cose.
Forse per tutto. Il suo inginocchiarsi, le sue preghiere, l’indifferenza che aveva negli occhi. Lo odiava, lo odiava da morire. E quell’odio, che altro non era che dolore, gli annebbiò completamente la ragione. La sofferenza lo costrinse ad afferrare il coltellino che aveva nella tasca dei pantaloni. Lo portò davanti al collo del maggiore e infine lo aprì, in un “click” che inondò la stanza di silenzio. Azazel non si mosse, né parve spaventato da quel suo gesto. Sollevò semplicemente il mento, proprio come la lama gli ordinava di fare, e tornò lentamente in piedi. Respirava piano dal naso, ed Eren percepiva quel respiro tranquillo sulle dita che impugnavano il coltello. Il suo, invece, era corto come un filo spezzato dalla rabbia o tagliato dalla tensione.
«Non voglio le tue preghiere del cazzo, Azazel.» ringhiò a denti stretti, in un rabbioso sussurro.
«Sai bene cosa voglio.»
«Non sai nemmeno tu cosa vuoi, Eren. Tutto ciò che fai e che mi costringi a fare, non sono altro che idiozie per mascherare ciò che desideri davvero. Ma forse odi così tanto ciò che vuoi, da illuderti di desiderare altro.»
«Parli come se sapessi di cosa si tratti. Perciò dimmi, cos’è che voglio davvero?»
Silenzio.
«Me… Ma sai di non potermi avere». Azazel ignorò lo sguardo felino di Eren, si limitò a spostare la punta della lama dal suo collo e sorpassarlo ancora… Se fosse rimasto qualche altro secondo al suo fianco, non avrebbe resistito. Gli diede le spalle, ma il rosso interruppe i suoi passi. La lama venne lanciata, scagliata contro il suo corpo e conficcata allo stipite in legno della porta. Azazel si pietrificò, e un’improvvisa rabbia aumentò il calore del suo corpo. Strinse i pugni ai lati dei suoi fianchi, infine si girò. Ancora una volta, le emozioni gli scivolarono dalle dita e lo fecero ritornare umano. Eren non aveva mai visto tale espressione prima… Azazel aveva l’ira di Dio negli occhi, il pericolo su ogni muscolo del suo volto. Era un vulcano pronto ad eruttare un terremoto in attesa di distruggere intere città. Azazel si mostrò ai suoi occhi come il demone che era davvero, o che il suo passato lo aveva fatto diventare. Il suo sguardo era un infinito muco nero, ed Eren si perse lì dentro… Per la prima volta, provò la stessa paura di una vittima che osserva un assassino puntargli una pistola contro. Gli si gelò il sangue nelle vene, ma Azazel non vide un filo di paura nei suoi occhi. Il terrore del rosso era nascosto dalla rabbia, dalla determinazione di non far tornare il loro rapporto com’era mesi prima. In quel preciso istante, realizzò che il suo odio nei confronti del corvino non fosse altro che amore, quel sentimento che non era mai riuscito a vivere sulla sua stessa pelle. L’odio - che lo aveva turbato per tutta la vita - l’aveva semplicemente mascherato per impedirgli di innamorarsi. E il processo di realizzazione che stava affrontando in quel momento, gli diede il coraggio di continuare finché quel ragazzo non sarebbe finalmente diventato suo.
«Non posso averti?» disse, e un ghigno lasciò per l’ennesima volta le sue labbra. «O forse ti convinci di questo perché hai paura di essere già mio?» chiese ancora e, questa volta, fu la risata di Azazel ad echeggiare tra le mura. Corta, velenosa, arrogante.
Eren poté percepire un brivido attraversargli la schiena per quel suono così raccapricciante.
«Non illuderti, Eren. Ti fai solo del male.» disse, eppure era lui colui che si stava illudendo e provando dolore per quella menzogna. Lo realizzò quando, a quelle parole, il cuore gli saltò in gola per dar ragione all’altro. Avrebbe voluto strapparselo dal petto pur di non sentirlo parlare ancora. Odiava essere un uomo… Perché, per quanto riuscisse a controllare o spegnere le emozioni, il cuore avrebbe sempre fatto di testa sua per ricordargli che non avere sentimenti fosse solo un'illusione simulata dalla sua testa.
«Non sono io quello che si sta illudendo, lo sai bene.»
Eren stava cercando in tutti i modi di smontare quell'illusione, quella menzogna che vagava nella mente dell'altro per imprigionare le emozioni. Ma Azazel non riusciva a stare al suo gioco, non voleva guarire da quella bugia. Farlo, avrebbe significato distruggere la visione che aveva di sé stesso.
«Ma quale cazzo è il tuo problema?» pronunciò Azazel. Le sue unghie avevano già lacerato la pelle dei suoi palmi e la sua mascella finalmente si sbloccò per concedergli di parlare.
Urlò a tal punto da rendere roca la sua voce, e la sua gola iniziò a bruciare. Eren stette in completo silenzio per una manciata di secondi, che utilizzò per far tornare seria la sua espressione.
«Qual è il mio problema? Sul serio?»
Anche lui alzò il tono di voce prima di raggiungere la figura del maggiore, che allontanò infine con uno spintone.
«Sei tu il mio cazzo di problema, Azazel. Tu e solo tu. Sembri nato solo per tormentarmi.» sputò acido ma, per quanto avesse voluto, non riusciva a pensarlo davvero. Ciò che lo tormentava era l'idea che Azazel stesse sprecando tutto quel tempo per orgoglio. Non voleva smontare l'illusione di essere un vivente senza cuore, sentimenti ed emozioni. La sua testardaggine gli provocava un'immensa ira, nascosta dal pensiero di non meritare il cambiamento interiore del maggiore. Magari, pensò, non era lui la persona per cui avrebbe messo da parte l'orgoglio.
Ancora una volta, un’ironica risata sfuggì dalle labbra del corvino.
«Oh, tranquillo. Valgo molto più di questo. Non mi fermo di certo a tormentare la tua misera vita del cazzo.» esclamò lui, prima di portare il petto contro quello di Eren. Lo spinse, poi ancora e ancora, e il rosso lo lasciò fare finché la sua schiena non si ritrovò impressa contro la parete opposta alla finestra.
Azazel batté con forza una mano al lato del suo viso, facendolo sobbalzare dalla paura. Poi allentò il braccio, e si scontrò ancora una volta contro il suo petto. Sentì il cuore di lui sincronizzarsi col proprio, il respiro del minore scontrarsi con il lobo del suo orecchio. Il maggiore osservò il suo viso, bello come il sole, e passò il dito indice sulla sua mandibola.
«Potrei ucciderti in questo preciso istante.» sussurrò. La sua voce era più profonda del solito, rauca e possente, e penetrò nella pelle del ragazzo come una lama affilata. Eren tremò, ancora e ancora. Aveva paura. Ma deglutì per dare una regolata al suo respiro corto, e trattenne il fiato per non sentire il suo odore.
«Perché non lo fai?» gli chiese il rosso, in un titubante filo di voce.
«Lo farò, se oserai toccarmi o anche solo avvicinarti a me ancora una volta.» ringhiò Azazel, prima di allontanarsi dal corpo dell’altro. E fece per andare via in rapidi e feroci passi, ma Eren lo fermò, ancora una volta, stavolta afferrandolo per il braccio.
Azazel si bloccò davanti alla porta e lasciò che la sua mente elaborasse ciò che lo stava bloccando. Infine si girò, stavolta con l’intento di ucciderlo come aveva detto. Qualcosa, però, lo colpì d’improvviso e vietò alle sue nocche di colpire il viso del minore. Tentennò sul posto, e il suo respiro si bloccò di colpo.
Le labbra di Eren, rapide come le ali di un colibrì in volo, si erano appena poggiate sulle sue. La sua ragione lo costrinse a spingerlo via, ma qualcosa cambiò nell’istante in cui i suoi occhi guardarono Eren ad una maggiore distanza. Adesso era il suo cuore di ghiaccio a comandare quel corpo privo d’anima. E in quell’istante, quel cuore si sciolse e la sua anima scappò dagli Inferi per tornare dentro di lui. Staccò la spina, spense la mente. L’unica voce che ora vagava dentro di lui, gli stava dicendo di realizzare il suo desiderio. Si riavvicinò quindi a quel corpo, afferrò quel viso, e tornò su quelle labbra. E iniziarono così ad avvelenarsi a vicenda, come scorpioni. Stavano sfogando la loro rabbia sulle labbra dell’altro, mordendole e succhiandole, a volte perfino tirandone la carne fino a farla sanguinare. Erano in preda al loro istinto animale, a quel lussurioso peccato di cui l’uomo non riesce a fare a meno. Eren continuava a tirare le ciocche dei suoi capelli, Azazel a stringere la sua pelle tra le dita e a graffiarla. Erano veloci, impazienti… Due tempeste in collisione. Due venti che soffiavano l’uno contro l’altro. Azazel gli afferrò la maglia e gliela tolse in un solo rapido movimento, poi fece lo stesso con la propria mentre Eren si concentrava sulla cintura. Se la tolse, e abbassò pantaloni e boxer prima di concentrarsi sul corvino. Slacciò il laccio della sua tuta. La abbassò. Poi fece lo stesso con l’intimo. Ma Azazel sembrò più impaziente di lui e non gli diede il tempo necessario per concludere quel lavoro. Lo afferrò quindi per le cosce e sollevò da terra. La sua vita venne avvolta dalle gambe toniche del rosso, il suo collo dalle sue muscolose braccia.
Le loro pelli si unirono in un solo puzzle, e scivolavano l’una sull’altra per via del sudore. Avevano i capelli attaccati alla fronte, il fiato corto per una pausa mai concessa. Ma continuarono a baciarsi, a strapparsi le carni, a far entrare i loro punti deboli in collisione. Erano come il sole e la luna, presi da una passione così folle da oscurare il resto del mondo.
Azazel scivolò dentro di lui ed Eren gemette dal dolore, poi dal piacere, infine da entrambi. Le forti spinte del corvino facevano sbattere la schiena dell’altro contro la parete, provocando un rumore ritmato e incalzante. Anche Azazel gemeva, con voce più bassa e profonda, accompagnando così la melodia che respiri e gemiti stavano suonando. Eren imprecava ad ogni sua spinta, e le sue gambe tremavano sempre più attorno alla sua vita. Azazel, d’altro canto, era così preso dalla lussuria da non riuscire a darsi una regolata. Eppure, il rosso non gli chiedeva di fermarsi né di rallentare. Subiva, sottomesso anche lui al desiderio, e girava gli occhi al cielo quando il culmine del piacere si faceva sempre più vicino. Erano quelli gli unici momenti in cui Azazel si fermava, forse per il semplice gusto di vederlo imprecare o magari perché voleva che quel momento non finisse mai. E nel frattempo - dentro quella stanza - nacque un’orchestra di peccati, di desideri, di falso odio e sconosciuto amore. Un’orchestra che, malgrado le sue conseguenze, stava suonando una melodia che non avrebbero mai dimenticato.

L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora