37 | ᴛᴇʀᴀᴘɪᴀ ᴅɪ ᴄᴏᴘᴘɪᴀ.

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«Un'altra insufficienza, Ivy?» Mia zia si allunga sulla mia spalla per guardare il mio compito.

«Era un compito difficile...» mormoro, mantenendo lo sguardo rivolto verso il tavolo della cucina, dove ho lasciato il compito di matematica che il professore ci ha riconsegnato oggi a scuola.

«O, semplicemente, sei tu che non ne eri in grado.» La voce di mia zia è maligna, e la sua frase si ripete in loop nella mia mente. Ma Nora non ha ancora finito di colpirmi con le parole. In fondo, questo è il suo passatempo preferito. «Possibile che in tutto l'anno non ci sia stato nemmeno un compito di matematica in cui sei andata bene? A questo punto fossi in te mi chiederei seriamente se il problema è la materia o sono io. Mi chiedo come Thomas faccia a stare con un fallimento come te... Probabilmente lo fa per pietà.» Mia zia esce dalla cucina, mentre io sento l'arrivo di un attacco di panico, l'ennesimo, mentre penso a quante persone continuo a deludere intorno a me.

Apro gli occhi di scatto e scosto le coperte del letto. Mi metto seduta mentre cerco di regolarizzare il respiro. Porto una mano al petto e sento il cuore battere a mille. Un rivolo di sudore mi scende lungo la schiena e decido di aprire la finestra per diminuire il calore che sento lungo tutto il corpo. Scivolo con la schiena lungo la parete e aspetto di calmarmi seduta sul pavimento. Avere un attacco di panico è brutto, ma avercelo durante la notte e svegliarsi nel mezzo di esso è anche peggio.

Rimango qualche minuto con la testa appoggiata sulle ginocchia e gli occhi chiusi. Quando sono tranquilla mi alzo e vado verso il comodino, dove la sveglia segna le 8.30 del mattino. Sento già delle voci in cucina, tra cui riconosco quella di Nora, così con una smorfia indosso una felpa sopra al pigiama, metto le scarpe ed esco dalla porta sul retro, dirigendomi verso la serra di mia madre.

Quando entro mi siedo sul divanetto che c'è in fondo e noto che sul tavolino accanto c'è una delle canne terapeutiche di mia madre preparata ma ancora inutilizzata. La prendo assieme all'accendino e inizio a fumarla. A differenza delle canne normali, quelle terapeutiche causano solo un senso di rilassatezza generale. Niente allucinazioni, niente danni, niente draghi. Il medico di mia madre gliele ha consigliate quando ha iniziato ad avere spesso crisi di nervi a causa di Nora. Quella donna ci ha mandato tutti in terapia, ma mio padre è troppo un brav'uomo per troncare definitivamente con lei, anche se ormai sta arrivando al limite anche lui.

Inizio a rilassarmi e a maledirmi per non fumare più spesso queste canne terapeutiche. Sento la porta della serra aprirsi e la voce di mia madre mi raggiunge. «Ti sembra il caso? Dovevi proprio prendere la canna che mi ero preparata prima al posto di fartene una nuova?»

La guardo mentre si siede accanto a me sul divanetto. «Ma io non sono brava quanto te.» Cerco di fare degli occhi dolci per intenerirla.

«Smettila, sembri un cerbiatto davanti ai fari di un'auto che sta per investirlo.»

Sorrido. «Oh, quindi ho gli occhi da cerbiatta?» Sbatto ripetutamente le ciglia.

«Posso abortire dopo ventidue anni?»

«Credo che quello si chiami omicidio, non aborto.»

«Omicidio, come sei tragica... Io lo chiamo "mia figlia mi ha rubato la canna e non me ne offre nemmeno un po', quindi agisco di conseguenza".»

Allungo la canna verso di lei. «Ne vuoi un po'?»

Mi guarda con eloquenza e inizia a fumare pure lei. Questa mattina ha un che di mistico.

«Come ci sei finita qua?» Mia mamma fa un altro tiro prima di passarmi la canna.

«Volevo stare tranquilla.»

Ti giuro che non sono una psicopaticaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora