27 | sᴀɪ ᴄᴏs'ᴀʟᴛʀᴏ ʜᴏ ᴅɪ ɢᴏɴғɪᴏ?

3.4K 318 91
                                    

«Ho una fame pazzesca.» Ian mi fissa.

«Ancora?» chiedo, sconvolta. «Va bene l'erba nel sugo, ma ti sei già mangiato tre panini farciti, una pizza e due gelati. Non hai, che so, una fine a quel pozzo che c'è al posto del tuo stomaco?»

«Senti, non è solo l'erba, ma è il dipingere. Mi fa venire fame, questo non l'hai notato con le tue doti da stalker?»

«A proposito...» inizio, guardandolo dalla sedia girevole della scrivania su cui sono seduta. «Stamattina hai detto che stai studiando per fare l'avvocato...» Lascio la frase in sospeso per creare suspence.

Mio cugino mi guarda scettico. «E con ciò?»

Faccio un sorriso, che più che sembrare normale assomiglierà a quello di una persona che finge che vada tutto bene quando invece vorrebbe solo trovare un bagno. «Tra quanto dovresti laurearti?» Butto lì, fingendo disinteresse.

Ian ferma il braccio a mezz'aria con la matita tra le dita, smettendo momentaneamente di disegnare sulla parete bianca che si trova davanti al mio letto. Si gira lentamente, guardandomi in modo strano. «Mi ci vogliono almeno altri due anni.»

Incrocio le gambe sulla sedia e piego la schiena in avanti, poggiando i gomiti sulle cosce e il mento tra i pugni chiusi. «E... Studi per fare l'avvocato civile o penale?» chiedo disinvolta, sperando che non mi trascini in qualche manicomio.

Mi guarda sospettoso. «Penale.»

Mi astengo dal rifilargli una battuta per il doppio senso che, sono sicura, ho colto solo io.

Lui evidentemente si aspettava che dicessi altro, visto che dopo qualche istante di silenzio è lui a riprendere a parlare. «Come mai ti interessa tanto?»

Ghigno nella sua direzione. «Meditavo se valesse la pena tenerti in vita.»

Sul volto di mio cugino si alternano divertimento e shock, e l'unico risultato è quello che fargli ottenere una smorfia che sembra tanto una richiesta d'aiuto per ucciderlo così da non dover più assistere ad altre mie uscite del genere. «E, di grazia, si può sapere a quale conclusione sei giunta?»

Io mi acciglio. «Di grazia? Ma fai sul serio?»

Lui tira fuori il petto, sorridendo fiero. «Noi ricchi abbiamo un lessico raffinato e aulico, che voi altri non potete comprendere e apprezzare.»

Lo guardo divertita. «Sai come si può riassumere la tua risposta? Dicendo semplicemente che voi ricchi siete dei palloni gonfiati.»

«Sai cos'altro ho di gonfio?» mi guarda malizioso.

Lo fisso, accigliata. «Ti ho già detto che non sono favorevole all'incesto.»

Ian si porta teatralmente una mano al petto. «Mi ferisci così, bambola.»

Alzo le mani in alto, drizzando la schiena. «Non ho nemmeno intenzione di fare domande, guarda.»

«Comunque», riprende, tornando serio, «a che conclusione sei arrivata? Meglio tenermi in vita o seppellirmi?»

Lo guardo, cercando di imitare l'espressione di uno di quei criminali che vedo su Real Crime. «Meglio vivo. Così tu, che sarai un avvocato penale, mi rappresenterai in tribunale. Ed eviterai che io finisca dietro le sbarre.»

Mio cugino mi guarda storto. «Pensi che ti rappresenterò davvero se l'accusa sarà di omicidio? Sapendo sicuramente che sarai colpevole fino a prova contraria?»

Lo guardo storto. «Ma teoricamente non si è innocenti fino a prova contraria?»

«Non tu. Sei pur sempre la pazza squilibrata che mi ha minacciato di sciogliermi nell'acido. E che mi ha detto che potrebbe pagare un sicario per farmi fuori.» Poi mi fissa, pensieroso, perso in chissà quali ricordi. «Ricordo male o quando avevi sei anni avevi provato a rompermi una bottiglia di birra in testa? Non era stata tua madre a fermarti in tempo?»

Distolgo lo sguardo dal suo, facendo una smorfia, cercando di sembrare disinvolta, quando invece vorrei solo scoppiare a ridere. «Io non ricordo una scena così.»

Mio cugino alza un sopracciglio. «Ivy, era il compleanno di mia madre e c'è pure un video.»

Torno a guardarlo. «Sai che i bambini non sono in grado di intendere e di volere? Un bambino di quattro anni in grado di camminare potrebbe tranquillamente ficcarti un coltello caduto per terra nella gamba, e poi ridere subito dopo pensando che si tratti di un gioco, mentre tu saresti lì ad urlare di dolore cercando di toglierti la lama dalla gamba.»

Ian inclina la testa di lato, cercando di capire cosa c'entri quello che ho detto. «E quindi?»

Lo guardo ovvia. «Quindi non dovresti prendertela con me, che ero solo una giovane e innocente bambina di sei anni, e bellissima oltretutto, non che ora non lo sia, ma con la persona che era pronta a riprendere il tuo cervello sul pavimento al posto di fermarmi.»

Ian mi guarda stralunato. «Giovane e innocente? Giovane e innocente?» Si avvicina a me. «Ivy, una volta hai preso una sedia di legno per bambini e me l'hai lanciata sulle gambe per arrestare la mia corsa, solo perché non volevo farmi prendere a schiaffi da te, e tu eri troppo pigra per inseguirmi.»

Lo guardo, sbuffando. «Senti, sono imparentata con la tua genitrice. È ovvio che, anche solo dopo due minuti passati nel raggio di un chilometro da lei, metà dei miei neuroni abbia ucciso l'altra metà, suicidandosi subito dopo.»

Ian è confuso.

«Intendevo dire che è normale impazzire. Mi stupirei del contrario. Basta guardare te.»

«Stronza» borbotta. Poi si gira e torna a concentrarsi sul disegno che stava facendo. «A proposito di mia madre» riprende, «ancora non ci credo che ti abbia detto quelle cose mentre era fatta. Quella donna è un po' fuori di testa.»

Vado verso il letto per prendere il cuscino e tirarglielo addosso. «Da che pulpito. Tu accettavi soldi da lei per trattarmi male.»

«Ti ho già detto che mi dispiace.»

«Un solo passo falso e...» lascio la frase in sospeso, mentre lui mi guarda portare il pollice della mano destra da un'estremità all'altra del collo.

Ian sbuffa. «Chi è quella che ricatta, ora?»

Faccio spallucce. «Comunque, come ci sei finito a studiare per fare l'avvocato?»

Ora è lui ad alzare le spalle. «Se avessi scelto qualcosa inerente all'arte, mia madre e il suo attuale marito, che mi paga l'università, avrebbero fatto storie. Così ho scelto questa strada, che comunque era un mio sogno nel cassetto. Così aiuto le persone e faccio l'artista a tempo perso, e questo all'insaputa dei miei. E tutti siamo felici.»

«Sono due cose completamente diverse» noto.

Ian mi dà una veloce occhiata. «Cos'è, vuoi studiarmi per vedere se soffro di qualche disturbo della personalità?» dice sarcastico. Ventiquattro ore passate con me e già sembra la mia versione maschile.

Riprendo il cuscino da terra e lo colpisco nuovamente, sia mai che così rinsavisca.

Ti giuro che non sono una psicopaticaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora