24 | ᴇᴄʟɪssᴀᴛɪ.

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Appena finisco la colazione mi alzo di scatto da tavola senza dire una parola ed esco di casa, non prima di aver messo le scarpe che avevo lasciato all'ingresso.

Sono ancora incazzata per quello che è appena successo, e vorrei tanto tornare dentro e commettere un omicidio, ma non vorrei dare dispiaceri a mio padre.

Attraverso il giardino, e scommetto che assomiglio tanto a un elfo biondo incazzato, e giro a destra, camminando senza avere una meta. L'importante è sbollire la rabbia. I miei piani falliscono nel momento in cui sbatto contro una persona. Ero così persa nei miei pensieri che non mi ero accorta di star guardando per terra e non davanti a me. Mi allontano di scatto e mi porto una mano sul naso. Lo sento formicolare, ma non esce sangue.

Alzo la testa, pronta a chiedere scusa, ma quando vedo chi ho davanti non riesco a trattenermi dallo sbuffare. Andrew è davanti a me, che mi guarda accigliato.

Tento di spostarmi a sinistra per sorpassarlo e procedere con la mia camminata, ma appena lo faccio sento afferrarmi dal braccio destro e venire girata.

«Tutto bene?» Il suo sguardo scorre su tutto il mio viso, soffermandosi in particolare sugli occhi. Mi sta analizzando. E questa cosa mi fa incazzare. Ormai ho un'avversione verso gli psicologi. E verso lui.

Avere una persona come Nora nella vita è deleterio. Soprattutto se una figura così si palesa durante l'adolescenza, il periodo in cui una persona è più fragile, vulnerabile. Una figura che ti dice costantemente che non puoi fare qualcosa, che ti critica, che giudica tua madre - perché non ha mai osato dire niente su mio padre. Una persona che sminuisce la tua persona e quelle a cui tieni; che punta a sminuire e distruggere la tua personalità. Tu puoi anche incassare e scegliere di ignorare, ma arriva sempre un momento in cui esplodi. In cui agisci con impulsività e rabbia. Ed era successo. Penso di aver distrutto la mia camera tipo tre volte. Ed erano iniziati gli attacchi di panico. I miei genitori erano stanchi di vedermi così, di sentirsi impotenti e in colpa, così avevano deciso di mandarmi da uno psicologo. Niente da ribattere, fin quando la psicologa non voleva sapere ogni cosa della mia vita. Certo, è il suo lavoro, ma non mi è mai piaciuto parlare dei miei pensieri e di ciò che provo.

Così, una volta iniziato un percorso per riuscire a non farmi sopraffare dai sentimenti, ho deciso di non andare più.

Era andata meglio, sto meglio. Gli attacchi di panico sono diventati eventi sporadici, la rabbia sparita, così come Nora. I miei genitori, per qualche anno, sono riusciti a limitare le sue visite a dei weekend, in cui io non rimanevo a casa, ma resta comunque la sorella di mio padre. E a lui ci tiene.

Ecco perché detesto le persone che si interessano troppo ai miei sentimenti, che fanno troppe domande, perché mi ricordano la psicologa e quel periodo.

Jax è l'unico che si salva, ovviamente.

«Ivy?»

«Mh?» Mi riscuoto dai miei pensieri.

«Vuoi parlarne?» Andrew mi tiene ancora il braccio.

Sbuffo di nuovo. «Ma si può sapere perché fai così?» sbotto.

Lui mi guarda confuso. «Così come?»

Gli scocco un'occhiataccia e tolgo il mio braccio dalla sua presa. «Mi prendi in giro? Da quando siamo diventati vicini, siamo usciti parecchie volte, eravamo amici, i nostri migliori amici si frequentano-»

«Non siamo diventati amici» mi interrompe.

Alzo gli occhi al cielo. «Conoscenti, come ti pare. Ma non è questo il punto.»

Faccio un passo indietro. «Quando io e Jax abbiamo scoperto che tu sei il nostro prof, hai deciso che fosse meglio evitare di avere il rapporto di prima. E lo capisco, davvero. Non te ne faccio una colpa. Al giorno d'oggi si pensa subito male. Non ha importanza se magari qualcuno ci dovesse vedere insieme ad altre persone, in automatico io sono l'alunna che vuole voti alti senza studiare e tu il professore che si è fatto corrompere» dico. Sinceramente non so manco io cosa sto blaterando, ma parlare di cose a caso mi aiuta a pensare ad altro.

«Ma alla fine» riprendo, «io mi sto comportando come tu hai detto, mentre tu come se praticamente non avessi detto niente! Quindi, sinceramente, sono stanca di vedere te che ti avvicini continuamente per sapere cosa non va, mentre, quando mi avvicino io per passare semplicemente del tempo insieme senza preoccuparci di niente, e intendo come amici, ecco che tu parti subito con la solita storia.»

Sono pronta a riprendere la mia camminata, ma prima finisco il mio discorso. «Vedi di capire cosa vuoi fare, perché ci manca solo una persona incoerente nella mia vita. Quindi, fino ad allora, evita di starmi col fiato sul collo, a comportarti da psicologo che continua a chiedermi come sto.»

Non dice niente e io riprendo a camminare verso una meta appena decisa. Tanto la spiaggia è vicina e, dato che nel cielo si staglia una landa di nuvole grigie e si prospetta, quindi, un temporale, ci sarà sicuramente tranquillità.

*****

Ho tolto le scarpe per poter affondare i piedi nella sabbia. Ha iniziato a tirare vento e sono stata costretta a legare i miei capelli, altrimenti sarei finita come i gatti che vomitano il pelo, considerato l'elevato numero di volte in cui mi sono finite delle ciocche in bocca prima che mi decidessi di prendere l'elastico.

La calma e la tranquillità di questo posto mi hanno aiutata a calmarmi. Forse posso dire di non essere più arrabbiata.

«Non è stato facile trovarti.»

Appena riconosco la voce ringhio un «eclissati.»

Mi rimangio tutto. Real Crime aspetta solo la mia prima mossa.

Ian si siede accanto a me. «Perché hai parlato in mio favore, prima?»

«Ha importanza?» chiedo, mentre lo guardo con la coda nell'occhio.

Mio cugino ha lo sguardo serio. Nessuna traccia di quel suo sorrisetto che sembra implorarmi di prendere uno degli attrezzi da giardino di mio padre per prenderlo a sprangate in faccia. «Ne ha per me.»

Torno a guardare le onde del mare, prima di riprendere a parlare. «Io te lo dico, ma tu non farci l'abitudine.»

Ti giuro che non sono una psicopaticaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora