11 | ʜᴀɪ ᴘʀᴏᴘʀɪᴏ ᴜɴ ʙᴇʟ ɴᴀsᴏ ʀᴏᴛᴛᴏ.

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Andrew si riprende in fretta, scuotendo la testa come se cercasse di far sparire un'allucinazione.

Fa vagare ancora lo sguardo tra noi studenti e poi riprende a parlare. «Come avrete capito, io sono il vostro nuovo professore di psicologia. Non fatevi ingannare dal mio aspetto; solo perché sono giovane non vuol dire che sarò permissivo e aperto alla pigrizia.»

È lo stesso ragazzo che non voleva fare yoga perché voleva dormire? Oh, wow, i panni del professore lo fanno sembrare serio e maturo.

Se non lo avessi già conosciuto ci crederai anch'io.

«Allora», riprende, «chi di voi sa parlarmi della psicologia?»

Un ragazzo sul fondo della classe alza la mano e, appena Drew gli da la parola, inizia a parlare. «È una scienza che studia la mente e i comportamenti di una persona; sia con l'osservazione sia tramite degli esperimenti.»

Il professore annuisce. «Qualcos'altro?»

Io alzo la mano, insieme ad altre persone

Lui mi guarda e mi fa un cenno. «Bene. Tu, biondina in prima fila.»

Fa sul serio?

«Ci sono diverse correnti della psicologia, come il comportamentismo, che è lo studio del comportamento; il cognitivismo, che studia la mente e le conoscenze; e la gestalt, ovvero la psicologia della forma, che studia la percezione.»

Lui annuisce, soddisfatto.

Continua a fare domande, ogni volta chiama una persona diversa, e così passiamo le due ore a fare un ripasso generale.

Quando è arrivata l'ora di andarcene, - per fortuna direi, dato che non vedo l'ora di gustare il secondo caffè della mattinata, - noto che il ragazzo di prima è tornato a fissarmi.

Lo guardo con un sopracciglio alzato, ma quando noto che non mi sta guardando in faccia seguo la traiettoria del suo sguardo, capendo che ciò che guarda sono le mie tette.

Abbasso lo sguardo, cercando di capire se nella fretta di stamattina ho messo una maglietta un po' troppo scollata, ma non noto niente di strano.

Ho addosso una normalissima maglia, per niente scollata o attillata.

Eh, niente, è lui il pervertito maniaco.

Batto le mani davanti alla sua faccia, per fargli spostare lo sguardo.

«Ma si può sapere che hai da guardare?» chiedo, incazzata.

Lui mi guarda per poco tempo in faccia, e poi cala di nuovo lo sguardo.

«Hai proprio delle belle tette.»

Ormai nell'aula siamo rimasti noi due, Jax e Andrew, che stanno assistendo alla scena.

«Tu hai invece hai proprio un naso rotto.»

«Cosa?» chiede confuso.

Almeno ora mi sta guardando in faccia.

Carico il pugno, pronta a colpirlo, mentre Jax mi incita. Ma il mio braccio viene fermato dal nostro professore. «Basta così, la lezione è finita. Uscite dall'aula.»

Noi ubbidiamo e usciamo.

Lo sconosciuto si defila, mentre io e Jackson andiamo al bar.

Quando è il nostro turno ordino un caffè amaro lungo.

Mio Dio, a breve inizierò ad essere nervosa ed iperattiva a causa della caffeina, ma ormai la mia famiglia ci ha fatto l'abitudine di questa versione di me durante il periodo di studio.

«Quindi... Abbiamo un professore che è il tuo vicino di casa ed è uno dei migliori amici del ragazzo che frequento. Fino ieri lo consideravamo nostro amico... Ma ora? Cosa dovremmo fare?» chiede, ancora sconvolto da quello che è successo.

«Non lo so... Salutarlo con ciao prof?» chiedo, insicura.

Scrollo le spalle. «In ogni caso, ci penseremo appena ci troveremo in quella situazione.» Bevo un sorso di caffè.

Jax annuisce. «Già, non ha senso preoccuparci già da ora.» Poi mi spintona un po' la spalla. «E poi, è più un problema tuo che mio. Sei tu quella che lo vede ogni giovedì durante yoga e praticamente ogni giorno appena esci di casa.»

«Per lo meno, appena iniziano le sessioni d'esame, ho una scusa per non fare yoga. Sai, i libri non si studiano da soli.»

«Sicuro passerai quel tempo a studiare.» Apre la macchina. «Facciamo un giro o ti accompagno a casa?»

«Accompagnami a casa. Ho bisogno di una maratona di film horror. Sai, vedere persone disperate che scappano da persone pazze mi fa sentire bene.»

Mi guarda in modo strano, come se cercasse di capire se ho bisogno di uno psichiatra, così mi spiego meglio.

«Non che mi piaccia vedere le persone morire, eh. Ma almeno ho la soddisfazione di vedere che c'è qualcuno con una vita peggiore della mia.»

Lui ride. «Beh, magari il maniaco che ti fissava a lezione è uno stalker fissato con te che ti osserva e ti segue dall'anno scorso.»

Spalanco gli occhi e smetto per un attimo di bere il caffè. All'improvviso mi sento osservata, così inizio a guardarmi intorno. Mi sento ogni sguardo addosso. Entro velocemente in auto e dico a Jax di muoversi a partire.

«Fanculo, ora mi hai fatto venire l'ansia. Devo tornare a casa, ma non fare la solita strada. Fai stradine sperdute nel nulla, passa dalla periferia, passa anche dalle città qui vicino, già che ci sei. Devi fare così tante curve da fare in modo che si perda.» Sono convintissima di quello che sto dicendo.

Il mio migliore amico scuote la testa divertito. «Guarda che stavo scherzando. E poi, anche se fosse vero, non pensi che in un anno di tempo abbia imparato a memoria anche le volte in cui vai in bagno?»

Mi giro di scatto verso di lui. «Hai ragione, mi devo trasferire. Ma non ti dirò dove, magari c'è una cimice nell'auto e quel pazzo ci sta ascoltando.» Poi alzo il braccio destro, mostrando i miei muscoli. «Si deve solo azzardare ad avvicinarsi di nuovo. Sta volta lo stendo come un wrestler.»

Lui mi guarda di striscio, poi torna a guardare la strada. «Smettila, mi stai seriamente spaventando.»

Lo guardo male. «Guarda che è tutta colpa tua.»

«Io stavo scherzando. Sei tu quella che deve smetterla di vedere quei documentari sugli psicopatici, se poi ti fai impressionare con poco.»

«Guarda che quei programmi sono utili. Mi studio i loro comportamenti per vedere se riesco a riconoscere uno psicopatico quando lo incontro.»

«E ti sei riconosciuta?» mi chiede.

«Cosa?» chiedo, confusa.

«Intendo, pensando ai tuoi, di comportamenti, ti sei riconosciuta?»

Alzo le mani. «Guarda che non sono una psicopatica!» esclamo.

«Ne dubito» borbotta.

Vedo uno cestino sul nostro lato della strada. «Rallenta e avvicinati al marciapiede.»

«Perché?»

«Devo buttare il bicchiere del caffè, ormai l'ho finito.»

«Perché, ovviamente, buttarlo a casa è difficile», ma mentre lo dice sta già rallentando.

Lancio il bicchiere, facendo canestro, poi Jax accelera.

Gli lascio un bacio sulla guancia. «Grazie. Ma a causa tua quando entrerò in bagno mi assicurerò che la tapparella della finestra sia così giù che mi mancherà l'ossigeno. Almeno sono sicura che nessuno mi stia spiando.»

Mi guarda stralunato. «E poi dici di non essere psicopatica?»

Muovo la mano per aria, come per scacciare un insetto. «Le mie sono solo precauzioni.»

«Certo.»

Ti giuro che non sono una psicopaticaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora