CAPITOLO 11 - 𝗣𝗲𝗿𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗹𝗲 𝘀𝘁𝗮𝗳𝗳𝗲

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GAVIN

Rientro a casa, ma non trovo ne Amie e nemmeno Megan.
Chiamo al telefono mia moglie e risponde mia figlia, la quale mi informa che si trova in ospedale con la madre. Mi precipito nell'immediato a raggiungerli, ma quando arrivo sul posto vengo bloccato e minacciato da quel poliziotto. E subito dopo anche da mia figlia, che non ha esitato nel dichiararmi " tocca di nuovo la mia mamma e finirai i tuoi giorni in prigione". E se raccontasse tutto all'agente, per me sarebbe la fine( quello non vede l'ora di sbattermi in galera).
Contatterò quel tipo strano che lavora con me ( fissato di diffondere la parola di Dio) che quando ha sentito che picchio mia moglie e che questo mi da potenza, mi ha consigliato un bravo psicologo. Quel giorno a momenti lo ammazzavo, se altri uomini che lavorano in quei dintorni; non mi avessero fermato.
Ma oggi, devo abbassare la testa e a malincuore lo devo contattare, spero che mi ascolti.

STEWART

Apro gli occhi, guardo la sveglia digitale notando che sono le sei e cinquanta.
Mi preparo il caffè con la moka mentre addento un biscotto.
Bevo la bevanda scura e dolce e poi mi fiondo in doccia, mentre rimango immobile sotto il getto dell'acqua, ripenso: "Finalmente ho saputo il suo nome e dallo stesso marito.
𝐼𝑛𝑡𝑢𝑖𝑣𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑙 𝑛𝑜𝑚𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑒 𝑎𝑝𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑒𝑛𝑒 𝑓𝑜𝑠𝑠𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑖𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑒 𝑎𝑛𝑔𝑒𝑙𝑖𝑐𝑜, 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑙𝑒𝑖... 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑖𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑑𝑜𝑙𝑐𝑒 𝑣𝑖𝑠𝑜.
𝐴𝑙 𝑠𝑜𝑙𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑛𝑢𝑛𝑐𝑖𝑎𝑟𝑙𝑜, 𝑢𝑛 𝑠𝑢𝑜𝑛𝑜 𝑠𝑜𝑎𝑣𝑒 𝑒𝑠𝑐𝑒 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑚𝑖𝑒 𝑙𝑎𝑏𝑏𝑟𝑎 " 𝐴𝑚𝑖𝑒".
L'ho pensata e sognata tutta la notte. Quel bastardo del marito, se si azzarda di nuovo a metterle le mani addosso, se la vedrà con me. Se solo riuscissi a fare parlare la bambina, avrei le prove per arrestarlo.
𝑀𝑎 𝑙𝑎 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑖𝑛𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑎𝑟𝑙𝑎.
Stamattina tornerò in ospedale, vedrò come posso fare. Magari sono fortunato, potrebbe svegliarsi Amie.

Dopo essermi preparato, scendo giù a prendere la macchina e vado alla volta del mio posto di lavoro ( la centrale di polizia). Giunto sul posto, saluto colleghi e dirigente e vado a cambiarmi, nel tragitto mi si affianca Matt; che come me si premura a indossare l'uniforme.
Subitaneamente ci dirigiamo in garage a prendere l'autocivetta e iniziamo il nostro itinerario di routine.
Nel contempo che pattugliamo le strade della California, la vista mi cade su un negozio di giocattoli, così mi balena in testa un'idea.
Parcheggio e rivolgendomi a Matt asserisco:
« Vado un attimo in un posto, aspettami qui torno subito»
Lui mi fissa stranito e al tempo stesso curioso, ma lo stesso annuisce.

Mi allontano dall'auto, proseguendo in direzione del negozio, in pochi secondi mi trovo davanti una lunga vetrata che si apre automaticamente appena poggio i piedi sul tappeto sottostante. Accedo all'interno notando che vi transitano molte persone, perlopiù bambini accompagnati dai loro genitori.

Vago tra i vari scaffali, specialmente quelli che contengono bambole, ne osservo tante, tutte diverse tra loro e con molteplici funzioni; chi canta e balla, chi fa pipì e cammina chiamando " mamma".
Senza indugiare ne scelgo una, la afferro e la porto alla cassa per pagare. Ma mentre attendo (che la fila di persone che sono lì davanti per lo stesso motivo) defluisca mi colpisce un pensiero " 𝐸 𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑑𝑜𝑣𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑒𝑟𝑙𝑒, 𝑓𝑜𝑟𝑠𝑒 𝑙𝑒 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑖𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑜𝑔𝑔𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑔𝑖𝑜𝑐𝑎𝑛𝑜 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑐𝑜𝑛 𝑙𝑒 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑜𝑙𝑒".
𝑆𝑡𝑎𝑟𝑒𝑚𝑜 𝑎 𝑣𝑒𝑑𝑒𝑟𝑒, 𝑖𝑛𝑡𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑣𝑜 𝑚𝑢𝑜𝑣𝑒𝑟𝑚𝑖, ℎ𝑜 𝑙𝑎𝑠𝑐𝑖𝑎𝑡𝑜 𝑀𝑎𝑡𝑡 𝑑𝑎 𝑠𝑜𝑙𝑜 𝑖𝑛 𝑚𝑎𝑐𝑐ℎ𝑖𝑛𝑎 𝑎𝑑 𝑎𝑠𝑝𝑒𝑡𝑡𝑎𝑟𝑚𝑖".
Finalmente arriva il mio turno, pago in fretta la bambola e lascio il mastodontico edificio. Quando torno in macchina, il mio collega mi osserva depositare sul sedile posteriore il pacco regalo ( con tanto di coccarda rosa).
Matt, che dapprima si è limitato solo a scrutare ogni mio gesto, adesso mi chiede rivolgendomi uno sguardo:
« Stew ? Cosa sarebbe quel pacchetto regalo... ? Anzi no! Non dirmelo !»
Avvia il motore e partiamo.
Lungo tutto il tragitto, non emette un fiato, "𝑆𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑣𝑜𝑟𝑟𝑒𝑏𝑏𝑒 𝑓𝑎𝑟𝑚𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑒, 𝑚𝑎 𝑖𝑚𝑝𝑒𝑟𝑡𝑒𝑟𝑟𝑖𝑡𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑠𝑒𝑔𝑢𝑒 𝑐𝑜𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑔𝑔𝑖𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑒𝑟𝑣𝑎𝑡𝑜 ( 𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑒̀ 𝑑𝑎 𝑙𝑢𝑖).

Giunti in ospedale, ci portiamo al reparto dove è ricoverata Amie, bussiamo e mi sorprende il fatto che ci viene ad aprire il marito, che con un mezzo sorriso, assertivo dichiara:
« Agenti, buongiorno! »
Quando vedo quella faccia, mi viene una gran voglia di prenderlo a pugni, ma per sua fortuna, la divisa che porto mi vieta di farlo. Gli comunico:
« Siamo qui per sua moglie, per vedere se si è svegliata, cosicchè possiamo farle alcune domande!»
Lui, con l'espressione di un finto rammarico, afferma:
« Purtroppo non ancora, i medici dopo avergli indotto il coma farmacologico, non si pronunciano.
Temono che se non dovesse avere più gli stimoli per reagire, di staccarla dai macchinari»
A quelle parole, un impeto di rabbia prende il sopravvento su di me e d'istinto lo afferro per il maglione bianco che indossa, proclamamdo:
« SAREBBE LA TUA SALVEZZA QUESTA...NON È VERO ? BASTARDO !»
Glielo urlo in faccia incurante di essere sentito e delle coseguenze, mentre Matt, fa di tutto per farmi mollare la presa urlando:
« Stewart, sei impazzito... lascialo...lascialo cazzo !»

La voce del mio amico mi fa riprendere il controllo, mollo la presa e mi allontano da quella camera, immettendomi in corridoio. Mi allento la cravatta, per allegerire la sensazione di soffocamento, mi dirigo in bagno; apro il rubinetto e ficco la testa sotto il getto dell'acqua fredda.
Rimango in quella posizione per qualche secondo, quando mi rendo conto di essermi calmato, accendo l'aria calda per asciugarmi, nel frattempo mi raggiunge Matt e con preoccupazione mi asserisce:
« Sei impazzito, si può sapere che ti è preso, sei fortunato se quello non ti denuncia ! »
« Mi dispiace, ho perso il controllo. Mi rendo conto solo adesso che avrei dovuto trattenermi, ma quella faccia da " finto marito affranto" mi ha fatto saltare i nervi. Scusami Matt ! »

𝐅𝐈𝐃𝐀𝐓𝐈 𝐃𝐈 𝐌𝐄 ( CompletaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora