CAPITOLO 28 - 𝗚𝗶𝘂𝘀𝘁𝗶𝘇𝗶𝗮 𝗲' 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗮

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STEWART

Il Capitano, rimane immobile per qualche attimo, incredulo per aver fatto fuori Escobar. Ancora con le braccia tese e la pistola in mano, puntata verso la direzione, del criminale ormai senza vita.
Io mi accosto al mio superiore, levandogli l' arma dalle mani e poi gli affermo con voce pacata ( per destarlo da quello stato nel quale si trova adesso) il più tranquillamente possibile:
« Sì Capitano! Escobar è morto e lei ha salvato la vita a quella bambina! È tutto finito adesso!»
Il mio superiore, si riprende non appena arrivano alle sue orecchie queste frasi e confuso mi fissa, biascicando mi chiede:
« È- È vero? Ho... Escobar è morto? E l' ho ucciso io!»
Intervenendo esclamo per rassicurarlo:
« Sì! Ma lo ha fatto per salvare la bambina che lui teneva in ostaggio, le aveva puntato un coltello alla gola! Giustizia è fatta!»
Lui, tornando ad avere il suo solito tono autoritario afferma soddisfatto:
« Sì! Giustizia è fatta! Finalmente la mia bambina può riposare in pace! Granger! Dai l' ordine tu di rientrare in centrale, io me ne torno a casa! »
Subitaneo annuisco:
« Certo Capitano!»
Mentre avanzo verso i miei colleghi proclamando la ritirata, noto la madre della bimba salvata, appropinquarsi al Capitano e nel ringraziarlo varie volte inchinandosi insieme alla figlia (perché orientali) dichiara:
« Grazie! Grazie Capitano! Lei è il nostro eroe! Grazie per aver salvato la mia bambina da quell' uomo!»
La donna sta quasi per inginocchiarsi davanti a lui, quando il mio capo, le afferra le mani delicatamente per tirarla su annunciandole:
« Non è il caso che si inginocchi ! Ho fatto solo il mio dovere, lieto di aver fatto in modo che tutto finisca nel migliore dei modi. Auguri e buona giornata signora! Ciao piccola!»
Porgendole la mano per salutarla.

Dopo monta in macchina e va via, come anche alcuni colleghi, giunto nel luogo il coroner, certifica il decesso di Escobar e lo fa caricare sul furgone per trasportarlo all' obitorio.
In pochi minuti, in quell' area ( dove poco prima si era creato il caos più totale) eccola divenire deserta, riprendendo a gradi la sua normalità; le auto transitano, le persone avanzano in massa sui marciapiedi e le saracinesche - che prima si erano abbassate per la paura e per proteggersi da un' eventuale irruzione del
criminale - ora si alzano riprendendo la loro quotidiana attività.
Affianco Matt, che nel frattempo è rimasto silente, con le braccia posate sul tettuccio della nostra auto a osservare
l' ambiente circostante, riprendere la sua quotidianità.
Mi accosto a lui, ancora internamente scossi dagli avvenimenti, ma sereni
all' esterno per non far trapelare niente a chi ci osserva, montiamo in macchina dichiarando assertivi all' unisono:
« TORNIAMO!»

AMIE

Mentre sono per strada, avanzando a passo normale, mi tornano in mente i meravigliosi momenti della notte appena trascorsa con Stewart.
" Prima di conoscerlo, non avrei mai immaginato di poter nuovamente dare fiducia a un uomo, dopo le angherie, i soprusi e le violenze di ogni tipo, subite in silenzio.
Grazie a lui, che è riuscito a farmi tornare il coraggio, sono riuscita a denunciarlo e mandarlo in carcere, ma purtroppo per me gli anni che dovrà scontare sono solo due e già sono trascorsi tre mesi; da quando è stato arrestato. Da questa mattina ho preso una decisione senza ripensamenti, ho intenzione di divorziare da Gavin e voglio andare a dirglielo io personalmente, prima che gli siano recapitati i documenti da parte del mio avvocato. Che prontamente ho contattato subitaneamente essere uscita di casa".

Mi approssimo alla Casa Circondariale, osservando la gigantesca costruzione, deglutisco con il cuore in gola che sento pulsare anche alle mie orecchie.
Mi accingo a entrare, oltrepassando la porta a vetri, vengo perquisita da capo a piedi, da una donna poliziotto, la stessa che prima stava in guardiola con un suo collega.
Quando si sono accertati dalla perquisizione, di essere sprovvista di armi o roba del genere, mi permettono di accedere all' interno, ma prima di arrivare in parlatorio, subisco altri quattro controlli e finalmente giungo a destinazione prefissata.
L' agente che mi accompagna mi invita ad accomodarmi proclamando:
« Il detenuto Harris, arriverà fra poco, deve attendere qui!»
Annuisco solo con il capo.
Lui si allontana, mentre io rimango tesa come corda di violino, con entrambe le mani unite sulla borsa che poggia sopra le gambe; con in mente il vuoto più assoluto. In questo istante non riesco a pensare.
Improvvisamente, mi desta da quel particolare stato, il suono dello scatto di un portone automatico che si apre e ne vengono fuori Gavin e il poliziotto che lo conduce a sedersi agguantandolo per un braccio.
Quando lo vede prendere posto si allontana di qualche metro per darci la possibilità di conversare ma anche per udire la conversazione.
Adesso io e Gavin ci troviamo faccia a faccia, solo la parete di vetro temperato e blindato, ci separa. Lui mi fissa con lo sguardo penetrante pieno di odio senza proferire alcuna parola.
Ma subito dopo comunica per primo, stando attento a non alzare la voce:
« Hai un bel coraggio a farti rivedere... A presentarti dinnanzi a me dopo quello che mi hai fatto!»
Corrugo la fronte incredula, di rimando rispondo irritata:
« Io?! Io, quello che ti ho fatto? Forse hai dimenticato quello che tu, hai fatto a me... per anni! Se sei qui dentro e perché te la sei cercata! »
Dallo sguardo che mi rivolge e dai pugni chiusi che posa sulla superficie dell' arredo, capisco che il suo istinto sarebbe quello di colpirmi ma si deve tenere, se non vuole che i suoi anni di reclusione aumentino.
Poi repentina gli comunico:
« Voglio il divorzio! Sono qui oggi per questo motivo! Non preoccuparti, non ti impedirò di vedere Megan, anche se non sei stato un buon marito; lo sei stato come padre. Ti permetterò di stare con lei!»
Sempre posando su di me, il suo sguardo colmo di odio e rancore, mi chiede con scherno malevolo:
«Hai preso già l' avvocato? Brava! E sentiamo, come lo pagherai? Andandoci a letto? Ma certo che domande! Perché tu sei una puttana!»
Seguita a insultarmi, manifestando odio e disprezzo, gesticolando minacciosamente, urlandomi contro; costringendomi a elevarmi di scatto dalla sedia.
Senza tenere conto di essere in prigione e sorvegliato dai poliziotti, seguita su quella linea, mimando anche il gesto di voler oltrepassare il separè; gli stessi prontamente lo immobilizzano dalle braccia conducendolo a forza fuori da quel salone del parlatorio.

𝐅𝐈𝐃𝐀𝐓𝐈 𝐃𝐈 𝐌𝐄 ( CompletaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora