10 •Stai lontano da lui•

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«Come fa ad essere così tranquillo, io proprio non lo capisco» borbottai a bassa voce mentre le mie mani restavano saldamente ancorate ai braccioli del sedile

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«Come fa ad essere così tranquillo, io proprio non lo capisco» borbottai a bassa voce mentre le mie mani restavano saldamente ancorate ai braccioli del sedile. Li stringevo con forza, rammarico e tensione sperando che almeno quello potesse aiutarmi a non pensare al fatto che mi trovavo a chissà quale altezza lontano dal suolo.

Odiavo prendere l'aereo. Specialmente quelli pubblici, se così possiamo chiamarli, che ci mettevano il triplo del tempo per fare la stessa rotta che un jet privato farebbe in mezz'ora.
Sfortunatamente la McLaren non era ancora una così grande e ricca scuderia da potersi permettere un jet privato dell'azienda, pagare i piloti, le hostess, carburante e parcheggio nei vari aeroporti del mondo, perciò dovevamo accontentarci dei classici voli di linea.

Non volevo fare il bambino viziato anche perché, se non avessi sofferto l'aereo, non mi sarebbe fregato un cazzo di avere un jet privato. L'unico motivo di quel mio capriccio era appunto il fatto che io soffrivo e odiavo l'aereo.
Non mi piacevano le altezze, le montagne russe, stare sospesi nel vuoto a meno che la cosa non durasse davvero poco.
Come quando avevo fatto bungee jumping.

Breve, veloce, non tanto letale.

Dalla Spagna a Monaco era circa un ora di aereo.
A me sembrava un infinita.
Il decollo era stato quasi mortale per me e la mia sanità mentale. Lando, seduto accanto a me, rideva e strillava come un bambino felice di 4 anni e a parte alcuni passeggeri che l'avevano guardato male, altri l'avevano semplicemente filmato per poi caricare il video in una di quelle compilation di YouTube intitolate: Lando Norris funny moments.

Finiva sempre così e per quanto alcuni video possano essere davvero imbarazzanti, la gente non faceva caso alla vergogna o all'umiliazione ma al ridere, al divertimento. Quindi, in un certo senso, era molto meglio così.
Probabilmente della mia faccia spaventata ci avrebbero fatto dei meme da far girare sulle chat WhatsApp.
Poteva andarmi molto peggio.

Non avevo paura che l'aereo precipitasse o che un motore andasse in avaria. Non avevo paura di non fidarmi del pilota o che potesse succedere qualche disastro stile film.
Non era l'aereo in sé che mi spaventava. Era il sentirmi male che mi faceva paura.
Io odiavo stare male fisicamente.

Mentalmente, potevo reggere qualsiasi cosa. Avrei trovato un modo per cavarmela, come avevo sempre fatto. Un paio di bicchieri, una corsetta fuori, qualche film con del cibo spazzatura proibito, oppure uno spericolato giro in macchina contro i limiti di velocità, e mandavo giù tutto. Un po' alla volta.

Ma il dolore fisico non lo tolleravo.
Perché da solo non riuscivo a gestirlo, a gestirmi e non avevo nessun altro che potesse aiutarmi a farlo.
Quando avevo il mal di testa, mi veniva voglia di sbattermi la testa al muro fino ad aprirmi il cranio. Diventavo nevrotico, intrattabile, infuriato e fuori controllo.

Mi dava fastidio provare dolore. Mi schifava proprio.

Avevo avuto la febbre solo una volta da adulto e ovviamente mio padre mi aveva proibito di stare a casa a riposarmi o curarmi. Avevo gareggiato lo stesso quel giorno, mi ero allenato come tutti gli altri e sceso dalla monoposto a fine gara, ero svenuto davanti a tutti.
Era scoppiato uno scandalo contro mio padre e la sua negligenza ma lui mi aveva costretto a raccontare ai giornalisti che non gli avevo detto di essere malato e che avevo insistito io per correre lo stesso.

The Last Race/YoonminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora