Capitolo 17.

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«Sono disperata» esordisce Anne. «Ho bisogno di qualcuno che serva al tavolo degli uomini.»

«Prego?»

«La cameriera maschile ha avuto un incidente e si è rotta il femore cadendo da una mucca.» Si mette una mano sulla fronte, si sposta sul piede destro ed è la prima volta che la vedo così terrorizzata in circa tre settimane. «Non posso lasciare il tavolo degli Smith e dei Lancaster senza una cameriera.»

Lascio passare qualche secondo perché io possa assorbire le informazioni che mi ha dato. Nel frattempo, sento riemergere Evan dal magazzino.

«Sorvolerò sul perché una donna fosse a cavallo di una mucca, ma quel che mi sconvolge di più è che ci sia un tavolo riservato agli uomini.»

«Non ce n'è uno» corregge Anne. «Ce ne sono centododici.»

Spalancò gli occhi. Centododici? Ma non erano quelli della sobrietà, questi? Centododici tavoli solo per gli uomini. Non ne avrò così tanti nemmeno al mio matrimonio, se mai qualcuno mi sposerà.

«E non ha alcun senso essere divisi, visto che dopo mangiato siamo tutti appiccicati davanti al falò» si aggiunge Evan. Mi giro verso di lui. Ha ancora il viso arrossato dal caldo, le mani in tasca, la postura rilassata.

«È una tradizione.» Anne resta ferma, mi guarda e poi chiede: «Allora? Per te va bene?»

Alzo le braccia e poi le lascio cadere sui fianchi. E che le devo dire? Ho preso una laurea, un master e sono finita comunque a fare la cameriera in mezzo agli equini incastrata e al verde. Tanto vale provare tutto ciò che la vita mi offre, quindi annuisco.

«Io non sono troppo d'accordo» fa Evan.

E per cui? Mi giro verso di lui, incrociando le braccia e, immobile, gli chiedo per quale motivo.

«Perché se fosse per me John se ne starebbe in una stalla con le vacche, tu lo sai.»

«Evan, basta. Tanto è qui e lo sposerò, che ti piaccia o non ti piaccia, e qualcuno dovrà servire al suo tavolo.»

«Qualcuno può dirmi cosa ha fatto questo disgraziato?» azzardo, ma non mi risponde nessuno. Anzi, loro sguardi bruciano sulla mia testa come cera di candela. Evan fa un passo avanti e io ne faccio uno indietro, fino ad essere ancora girata verso di lui, ma con la schiena al bancone. Anne, in posizione d'attacco, si rimette dritta come una palafitta.

«Non farlo, Anne. Ti scongiuro. È passata anche la nonna stamani, a malfatica vuole venire alla festa.»

«Sono stufa marcia di tutte queste storie» esclama, con un tono della voce non esattamente controllato o controllabile. «Nessuno ha detto a Carry Williams di non sposare il dottor Lewis, eppure avevano dodici anni di differenza. Nessuno ha criticato Clarisse Donald quando ha sposato Thomas Shell, anche se lui è stato con suo fratello alla grotta e la signorina Lily li ha visti. E soprattutto, io, la tua famiglia, non giudico te per essere attratto da una che tra un paio di mesi non rivedrai mai più. Non ti ho mai detto niente quando ti sei portato ragazze in camera o quando, durante il tuo Rumspringa, hai bevuto vodka da discount. Quindi piantatela tutti con questa storia. Ho capito.»

Poi, dopo averci giustamente vomitato addosso tutto quello che pensava, probabilmente, da anni, se ne va, sbattendo la porta. Evan ha la bocca spalancata, ma non per lo stupore. È possibile che abbia così tante cose da dire da non riuscire nemmeno a trovare le parole.

Il bancone, sotto al mio peso, inizia a scricchiolare. Faccio un passo di lato proprio nel momento in cui, in negozio, entra una bambina che chiede, da parte di sua madre, un pugno di zucchero, un barattolo di marmellata alle fragole e un po' d'aglio. Evan non si muove, quindi lo faccio io.

Out of place - Questione di "ovunque".Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora