Capitolo 20.

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Mi affretto fuori rischiando di inciampare. Sono terrorizzata. Da cosa? Da tutto. Dal perché John si sia precipitato su Evan, in primis; se questo c'entra qualcosa col fatto che di notte sia venuto a visitare Beth; se esiste una correlazione tra me intrappolata in questo villaggio amish e un futuro più brillante del sudore perenne sulla mia fronte.

Evan non reagisce, incassa il colpo senza proferire movimento o parola e si trascina dentro il negozio. Evan, a ruota libera, lo segue. Ha lo sguardo di un pazzo e non sto affatto scherzando. Chiudo la porta, giro l'insegna del negozio su "chiuso" e tiro le tende.

Evan sputa un po' di sangue per terra. Spero che non sia un'emorragia ma un taglio alla gengiva.

«Lancaster, non farò a botte con te» borbotta, indietreggiando con i gomiti.

John gli sferra un calcio nel costato. «Stronzate!»

Io, intanto, capisco che devo reagire. Alla buon ora, Grace, di questo passo avresti chiamato il carro funebre.

La prima cosa che mi viene in mente di fare per sciorinare questo disastro è evitare che tutta la comunità venga a sapere qualcosa per cui John ha dovuto pestare Evan, per cui opto per non chiamare nessuno in soccorso. Devo cavarmela da sola. Bene, ho circa due opzioni: la prima è cercare di fermare la furia di John tirandogli barattoli di marmellata, ma questa scena pietosa direi di risparmiarmela; la seconda, invece, è quella di infilargli una penna nella carotide e ucciderlo, che non mi sembra la scelta giusta. Bene, mi butto in mezzo.

Corro davanti ad John e gli appoggio le mani sul petto. Lui non mi guarda, tiene gli occhi arrossati fissi su Evan. Raccolgo ogni parola d'amore e urlo: «John, basta. Dimmi che cosa è successo.»

«Togliti di mezzo, Grace» mi richiama Evan, ancora a terra.

Lo ignoro. Certo, c'è una rissa in un maledetto emporio medievale e io li lascio lì a duellare. Molto da me.

«Vuoi sapere cos'è successo?» sputa John, acre. «È successo che questo maledetto bastardo mi ha detto una cazzata dopo l'altra.»

Mi giro verso il rosso, che intanto si è rialzato. «Di cosa sta parlando?»

Nessuna risposta. John continua a spingermi, come se volesse avventarsi su Evan nonostante ci sia io nel mezzo, schiacciandomi tra loro due come se non esistessi neanche.

«Tu sei un maledetto bastardo» sibila John, guardandolo fisso negli occhi. Ho ancora le mani appoggiato sul suo petto e nell'osservare le sue iridi scopro una rabbia a me nuova, priva di ogni ombra di tolleranza. Sinceramente, mi fa tanta di quella paura che vorrei fuggire. Ma non posso, chiaramente. Ormai ci sono dentro e ho davvero timore che John potrebbe fare un serio male ad Evan, visto che lui si rifiuta di difendersi.

«Evan!» urlo. «Rispondimi.»

Lui abbassa la testa e la scuote. Non sa cosa dire. Evan Carter non ha niente da dire. Quindi, in quel che dice John, c'è un fondo di verità.

«Mi hai tenuto nascosta una cosa del genere perché credi che io sia l'uomo sbagliato per tua sorella.»

«Non è che lo penso, lo sei.»

Non posso crederci. Lui versa altro latte su quello già versato. È una cosa incredibile. Per quanto pensa che riuscirò a tenere John distante abbastanza da lui da non fargli saltare alla giugulare?

«Stai facendo un errore, Evan.»

«Hai tradito mia sorella. Più e più volte.»

Eccoci. La prima goccia, il vaso cigola.

«Lei mi ha perdonato. Dovrai farlo anche tu, prima o poi.»

Evan, a questo punto, scatta in avanti. Sobbalzo per la sorpresa quando prende John per il colletto della camicia, interrompendo il nostro contatto.

Out of place - Questione di "ovunque".Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora