Capitolo 23.

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Bree Tanner si slega il lenzuolo di dosso con facilità, le sue colleghe sgomberano gli altri palchi in silenzio.
Lei inizia a muoversi, completamente nuda ad eccezione di un paio di mutandine sottilissime, che se mi mettessi io sparirebbero nella carne dei miei fianchi.

Va davanti al palo, lo afferra e ci passa sopra la lingua. Mi volto per il disgusto pensando alla proliferazione di batteri, invece il pubblico maschile sembra senz'altro apprezzare. Intanto, lascio la mano di Evan.

Dopo circa sei giorni dall'episodio in cui ho rischiato di rovinarle la reputazione per sempre, ho iniziato a informarmi un po' su di lei. È nata nel 1998, un anno prima di me, in Ohio - e infatti eccoci qui. Sua madre è un medico chirurgo che ha ossessionato Bree fin da quando era piccola con concorsi di bellezza, diete da fame, sport intensivo, filler dall'età di sedici anni. Il padre, un avvocato con lo studio legale a Miami, faceva in su e giù di continuo, ma nel momento in cui era a casa pressava Bree in maniera pericolosamente opprimente con i voti scolastici. Bree Tanner non poteva portare a casa meno di una A in tutte le materie. Tutto questo lo seppi di feste in festa, in cui le sue amiche bevevano così tanto da spifferare qualsiasi cosa alla buona samaritana che teneva loro i capelli mentre vomitavano.

Quando rivelai a tutta la scuola che piangeva nel bagno della scuola perché il suo fidanzato non era a conoscenza del fatto che anche le donne potessero avere un orgasmo mi sentii in colpa per un po'.

Non importava se a iniziare era stata lei, se rideva agli scherni, se vi partecipava. Mia madre mi ha insegnato che ricambiare con la stessa moneta non serve a niente, serve qualcosa di peggio, che è il successo, l'indifferenza e la consapevolezza di essere una spanna più in alto.

Per due settimane qualcuno ridacchiò dietro i suoi passi schivi, lo scimmione maleducato la lasciò e lei continuò per tutto il liceo a infilarmi spazzatura nell'armadietto. Quando si è diplomata ho tirato un sospiro di sollievo e mio padre, due o tre anni fa, è tornato a casa da lavoro dicendomi che le aveva appena tagliato il prato, a lei e a suo marito. Nonostante la detestassi, fui felice di non averle rovinato la vita per quelle poche parole che mi sembrarono ferirla tanto.

Adesso, però, che la vedo intenta a sbavare un palo da lap dance con un gruppo di uomini inferociti, scuotendo le natiche in faccia a quelli che si alzano per infilarle un dollaro nelle mutande, mi chiedo se mio padre non mi abbia detto una colossale menzogna.

Quando il suo numero finisce, lei è ormai già sulle gambe di un signorotto brizzolato.

«Grace?» mi richiama Evan. «Andiamo? O le chiedo un privet per te?»

Scuoto la testa senza distogliere lo sguardo da lei. «Sì» dico. «Andiamo.»

Non ci prendiamo di nuovo la mano. Cammino dietro di lui e lo seguo fin dopo il bancone, dove dà il cinque al barista.

«Carter!» gli urla. «Chang è di sotto.»

Bene, un sotterraneo. Proprio quello che serviva. Il ragazzo si sposta il ciuffo biondo dagli occhi e mi scruta. «È una nuova? Carina» dice annuendo. «Pero c'è di meglio.»

Alzo un sopracciglio e mi batto una mano sulla fronte. «Cazzo!» Poso il palmo sul suo braccio, piegato per pulire un bicchiere. «Mi sono persa il momento in cui ho richiesto la tua opinione, vedo se la recupero nel cassetto di tutte quelle cose di cui non me ne può fregare di meno.»

Evan sorride. Strano. Pensavo mi avrebbe ammonita. Anzi, aggiunge anche: «E non è una nuova. Ora torna a lucidare bicchieri, ragazzino, e finisci le superiori» mi difende. Io, a bocca spalancata come se ci dovesse entrare una schiera di mosche, lo seguo a ruota.

«Evan Carter, mi hai appena dato man forte?»

Si inginocchia davanti a me, sopra a quella che credo sia una botola. Dandomi le spalle, risponde: «Ho nascosto un uomo in uno sgabuzzino, per te. Non credo ci sia di meglio.»

Out of place - Questione di "ovunque".Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora