Capitolo 49.

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Evan aveva ragione. Queste pseudo feste mi sarebbero piaciute.

Oggi le bancarelle con le tendine bianche e blu si stagliano per diversi metri e donne e uomini stanno dietro, affettando ognuno la sua forma di formaggio, passando a tutti dei cubetti da assaggio. E poi ci sono fiumi di vino rosso che mi sto godendo allegramente, senza pensare a niente.

Rachel mi cammina accanto, sbadigliando. La gravidanza le mette sonno, ha detto, ma io so cosa ha fatto. Stanotte l'ho vista lavorare a un vecchio manoscritto, col computer quasi scarico. Credo stesse scrivendo una relazione, ma non le chiedo mai su cosa, perché ogni volta che lo fa mi sento maledettamente ignorante. Sembra che sia matta, ma in realtà tiene al suo lavoro come poche persone al mondo nel suo stesso campo. Forse è per questo che è diventata così tanto influente, è riuscita a investire così tanto e ora non ha bisogno di fare il terno al lotto per pagarsi un attico. È stata brava, intelligente, furba e anche fortunata.

«Ma come fanno qui a sopravvivere con questo caldo atroce, io sto morendo» constata e a me viene da ridere. Dio, quanto ha ragione. In due mesi qui ho imparato ad apprezzare ancora di più il condizionatore.

«Credo che ormai ci siano tutti abituati.»

«Non penso che ci si possa abituare a cercare di suicidarsi ogni giorno.»

La prendo sotto braccio quando Nolan, un vedovo di circa centottant'anni per gamba, ci offre un pezzetto della sua prelibatezza. Quando noto le venature blu, ne prendo una per me e la tolgo di bocca a Rachel, che geme per disappunto. «Niente gorgonzola, bella» le intimo.

«Come dovrei campare in gravidanza, secondo te?» mi sussurra, per non farsi sentire. Dio santo, farebbe scandalo fino all'anno prossimo.

«Eliminando meno di dieci alimenti dalla tua dieta e facendo silenzio quando ti do dei consigli.»

Sbuffa, contrariata per finta.

Continuiamo a camminare quel poco che basta per finire tutti i banchetti. Quest'anno, la fiera si svolge davanti a casa Lancaster e il Gran Consiglio - di cui ancora non ho capito l'utilità - è tutto riunito al tavolo nel giardino. La madre di John cammina sull'erba radiosa, con suo figlio in braccio. È come se Leonard non fosse mai esistito. Neanche in casa loro c'è traccia di lui. Come se fosse stato cancellato, quasi. E mi chiedo se in questo villaggio siano tutti fin troppo abituati alla morte, tanto da prenderla come dovremmo fare tutti per stare bene: la fine di qualcosa, l'inizio di un'altra. Vorrei avere davvero così tanta fede.

«Ho visto che in aeroporto, qui in Ohio, vendono dei pacchetti giganti di M&M's.»

Trattengo il respiro, quando Rachel parla. Eccoci qui. Lo sapevo.

«Ti ho...» Fa una pausa, tirandomi leggermente verso un punto in cui non c'è così tanta gente, come se temesse una reazione sconsiderata. «Ti ho comprato un biglietto. Rimborsabile, ovviamente. Ma Marcus ti doveva ancora dei soldi e pensavo che ti avrebbe fatto bene non essere sola su un aereo, stavolta.»

Il cuore mi precipita nel petto, ci scava una fossa. È come se qualcuno mi avesse fatto ingoiare un fiammifero. Mi fermo, incapace di continuare a camminare, e improvvisamente sento il bisogno di respirare più di quello che sto facendo.

«Sì, beh, suppongo che...» provo a dire. Voglio veramente farmi vedere concorde. Voglio davvero pensare che sia al cento per cento la cosa giusta, ma cuore e cervello non vanno d'accordo, al momento. Si scornano come tori.

«Non devi essere felice per forza» mi fa Rachel, a un tratto. La gente ci passa accanto, ci guarda, straniere in un paese non accomodante. Eppure profuma di casa. «Ti è permesso non saltare di gioia.»

Out of place - Questione di "ovunque".Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora