Capitolo 16.

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«Non se ne parla neanche.»

Ripete la stessa frase da quasi un quarto d'ora e non c'è verso di fargli cambiare idea. Le ho provate tutte, le mie doti oratorie si stanno esaurendo lentamente in questo microscopico emporio amish. Appoggiato sul bancone con entrambi le mani, non mi guarda neanche. Io, accanto a lui, sono riparata dal sole grazie alle sue apprezzabili spalle titaniche. Se non smette di fare così caldo, uno di questi giorni tenterò di spegnere il sole con un idrante, lo giuro.

«Per favore, Evan. Mi sembra di essere un topo di fogna sempre chiusa in quello sgabuzzino.»

A questo punto, vedendo che lui non intende affatto considerarmi né comprendermi, mi getto sulla sedia. Proprio in quel momento entra una signora, in negozio. Ha un copricapo bianco, come tutte noi, e un vestito insolitamente verde, i capelli bianchi raccolti dietro la nuca e un paio di occhi tanto chiari da accecare. Cammina con un ombrellino bianco, ricamato in azzurro carta da zucchero con, immagino, il suo nome: Meredith.

Quando Evan la vede, scatta immediatamente, tirando la schiena al suo massimo e cercando di mantenere un'espressione impassibile. Mi dà un leggerissimo calcio sulla caviglia, così mi ricordo le lezioni di Anne: se c'è qualcuno, schiena dritta e mento basso, come tutte quante le donne del paese.

La signora non parla, semplicemente si guarda intorno come se stesse cercando di ispezionare ogni millimetro dell'emporio. Il suo guardo ghiacciato passa dalle marmellate al bancone, dalla finestra al legno del pavimento, dalla lavagnetta con scritto "oggi confettura di fragole" in gessetto bianco. Poi, alza un sopracciglio e i solchi già prepotentemente accentuati sulla sua fronte si scavano ancora di più.

La donna sospira, appoggia entrambe le mani sull'ombrellino e sembra che si stia preparando a dire qualcosa.

«Cos'è questo cazzo di posto?» chiede.

Strabuzzo gli occhi. Mi copro la bocca con la mano destra per non ridere come una matta psicopatica, soprattutto quando Evan si mostra docile come un chihuahua.

«Il nostro emporio, nonna» risponde. «Da anni, direi.»

«Mio Dio» impreca, sputando per terra. «Che mi venga immediatamente un colpo se questo è il nostro emporio.»

Io non so più come starmene ferma sul panchetto. Dio, grazie! Nemmeno quando cadde la manna su Mosè qualcuno ha mai riempito un luogo di tanta felicità. Scatto in piedi e mi nascondo per metà dietro Evan, però non riuscirò a contenere per troppo la premente ilarità.

«Nonna» la chiama. «Il sindaco trovava tutto troppo sfarzoso. Ho dovuto tagliare qualcosa.»

La vecchietta si appoggia una mano sul cuore. «Maria Vergine, dimmi che hai ancora la mia marijuana sul retro.»

Ho così voglia di baciare quella donna che mi sembra persino di provare una sorta di attrazione fisica per lei. Evan si gratta la testa, lo fa quando è nervoso. «No, mi dispiace.»

Sdegnata, non risponde. Infila un passo dopo l'altro, cercando qualcosa senza trovarlo. Dopo essersi girata un po' sul posto, prende dallo scaffale un barattolo di marmellata alla pesca. Senza troppi convenevoli, apre il barattolo e ci infila un dito dentro. Lo lecca avidamente, come se stesse per svenire dalla bontà. Poi, lo richiude e, con garbo, lo rimette a posto.

«Bene» afferma. «Quantomeno, hai conservato la ricetta di tuo nonno.»

Evan, sconvolgendomi, apre le braccia. Meredith ci si fionda - per quanto una donna della sua età possa fiondarsi in qualche posto - e si stringono come possono. Lei, minuscola a suo confronto, scompare nel suo petto e io, con un impercettibile ma presente nodo in gola, mi faccio da parte. Mia nonna era così simile a lei che quasi mi sembra una benedizione, un porto sicuro.

Out of place - Questione di "ovunque".Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora