Capitolo 44.

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Tw: violenza. Se siete sensibili a questa tematica, non c'è problema. Scrivetemi e vi riassumo in privato cosa succede, saltate il capitolo senza alcun tipo di rammarico.🤍

Baby blues.

Due parole che mi frullano in testa alla rinfusa, senza soluzione di continuità. È stata la mia tesi, quando un anno e mezzo fa mi sono laureata in ostetricia: "dalla baby blues alla depressione post partum", seguita e apprezzata dalla professoressa Ibsen.
Sono passata col massimo dei voti e una nota di merito.

E ora sono disoccupata, certo, ma ricordo perfettamente tutto ciò che ho studiato, Beth non si trova e io sono terrorizzata all'idea che questo mostro tremendo l'abbia già mangiata dall'interno. Non ci si può fare quasi niente, a maggior ragione se gran parte delle persone che amava sono morte e nessuno le ha mai curato I traumi come si dovrebbe. Si può solo cercare di limitare i danni e, poi, uscirne fuori a piccoli passi, il più delle volte con un aiuto per niente banale. Nessuno si salva da solo.

I fratelli Carter hanno evidenti questioni irrisolte. Beth non si ricorda sua madre, eppure vive col peso della sua morte. Anne ed Evan cercano di proteggere quella ragazzina da anni e lui, in particolare, si è ritrovato a dover soffrire il meno possibile per suo padre, ucciso da una civiltà che la loro comunità aveva rifiutato, perché aveva e ha due bambine a cui badare, adesso tre. Elizabeth esce dal villaggio, fa un'esperienza con il fratello di John, un'esperienza innocente e ingenua, e si ritrova incinta, con una bambina orfana in partenza.
Eppure sembrano vivere la loro vita normalmente, come se non fosse successo niente, finché poi, a un certo punto, crollano.

Ma c'è una bella differenza tra crollare come ha fatto Evan con me e crollare quando hai partorito da diciotto ore, circa. È per questo che io e Rachel non riusciamo a capire perché i fratelli Carter sono così tranquilli.

Immaginavo Evan mettersi a correre, Anne con le mani nei capelli, Marcus... Marcus è indecifrabile per me, ma avrebbe dovuto quantomeno mostrare preoccupazione. Invece no.

Borbottano qualcosa tra di loro mentre io mi sto mangiando le unghie compulsivamente, dondolando davanti a Rachel che ha gli occhi più spiritati dei miei.

«Scusate, famiglia Addams» li interrompe ad alta voce lei. «Potete rendere partecipi anche noi povere anime in pena o andiamo da sole a cercare queste due ragazzine?»

Evan alza gli occhi, ma guarda solo me. È come se Rachel non avesse neanche parlato. Sa che ho il cuore infilato nella trachea, praticamente, e che ho bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi. Conosco Elizabeth da poco più di un mese, tuttavia l'idea che sia scomparsa mi logora. Questa famiglia ha qualcosa di speciale, è come se fosse un po' anche la mia, e sapere che Beth potrebbe aver fatto tutto ciò che popola i miei incubi da settimane mi squarcia viva.

«Non c'è bisogno di cercare Beth» inizia a dire Evan, con calma.

Anne si gira verso di noi, le mani incrociate al petto, un lieve sorriso sulle labbra. Marcus si appoggia al muro, mani in tasca, testa piegata. Solo Evan resta risoluto, una statua di marmo piantata sul pavimento.

«In questo posto succede sempre così» sibilo. «Sparisce qualcuno e voi sapete sempre dove trovarlo.»

Evan ha gli occhi ghiacciati. Non trasparisce niente e sono queste le uniche volte in cui vorrei non vederlo.

«È con la mamma» esordisce Marcus, facendo schioccare la lingua sul palato. «Al cimitero.»

E sebbene non ne abbia la conferma più totale, lascio andare un po' dell'aria che stavo trattenendo da minuti interi. Socchiudo gli occhi, mi sento oscillare all'indietro, ma il contatto con Rachel mi riporta alla realtà.

Out of place - Questione di "ovunque".Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora