Continuo a pensare a quello che mi ha detto Evan da tutto il giorno. Mi sembra di essermi infilata volontariamente in un tornado, di essermi seduta lì a prendere il tè, di aver lasciato che mi spostasse a suo piacimento senza che io potessi farci niente. Dopo quella frase, "non vorrai più essere toccata da nessun altro", ci siamo bruscamente staccati, senza dire nulla. Per qualche secondo siamo rimasti in silenzio, ognuno intento a far scomparire dalle proprie guance i palesi rossori. Poi, si è alzato lui per primo, dicendomi: «Se vuoi, oggi puoi provare a stare al bancone.»
Che sia un accordo di pace? Basta giochetti, quindi?
Ho vinto, in minima parte. Per il resto, ho perso miseramente. O forse no.***
Oggi l'emporio sembra Manhattan. La gente esce ed entra come api impazzite in un'alveare. Primo giorno al bancone e mi sembra di essere un monaco amanuense da quanti ordini mi sono scritta, infatti ho fogli in ogni dove e un gran caos anche nella testa. Probabilmente è perché manca meno di una settimana alla festa del raccolto, ma neanche quando ero una tirocinante tenevo a mente tante informazioni personali altrui: diabete gestazionale, contrazioni ogni sei minuti, quella vuole partorire in acqua, quell'altra a quattro zampe e non ti azzardare a dirle di girarsi, il padre è svenuto, il nonno è arrivato con la nuova moglie e la partoriente sta per avere una crisi. Un delirio, ma niente in confronto a questi amish.
La signorina Dalloway voleva dieci unità di pane integrale, ma ne saranno disponibili solo sessanta pagnotte e cinquantasei sono state ordinate dalla signora Cage, quindi ho sfiorato la rissa tra queste due proprio davanti l'emporio; John ha portato del formaggio aromatizzato per Carol, la maestra, ma Evan l'ha venduto al signor Brown in cambio di semi di zucca e una ventina di patate, quindi Carol ha dato di matto ed è andata a cercare John, senza sapere che lui non c'entra niente in questa bambinata; il signor Wilson voleva che sua moglie cucinasse per la festa una crostata alla marmellata di ciliegie, ma erano già state tutte prese dalla moglie del signor White, che una volta ha soffiato il titolo di "miglior produttore di latte dell'anno" a Wilson.
Non mi sono fermata un attimo, ho i fogli infilati anche nelle mutande e non so più dove segnare gli ordini. Di questo passo, mi bucherò un dito e spargerò il mio sangue sul muro nello scrivere: serbare sette uova di quaglia alla signora Johnson.
Tutto così, finché finalmente Evan, che si è bellamente goduto lo spettacolo per tutto il giorno sbirciando dal mio buio e torpido magazzino, non ha girato l'insegna, dichiarando chiuso l'emporio.
«Allora» mi stuzzica. «Piaciuto il bancone, forestiera?»
Gli sorrido sprezzante, sperando capisca che sono ironica fino al midollo osseo. «Da morire. Proprio una coincidenza che il giorno in cui hai deciso di accontentarmi sia stato oggi.»
Lui ride e si scioglie i capelli ricci sulle spalle, inondando di rosso tutto il mio campo visivo. «Cinque giorni prima della feste del raccolto significa caos.»
Mi gratto la testa e guardo tutti i fogli sparsi anche per terra, totalmente disperata. «Infatti non ho la minima idea di come fare a rimettere in ordine tutti questi ordini.»
Inizio a raccogliere tutta la carta che trovo in giro, mettendomi in ginocchio, quando vedo che Evan è di nuovo, come stamattina, davanti a me e io, di nuovo, ai suoi piedi. Faccio scorrere il mio sguardo sulle sue gambe, poi sul petto largo fasciato dalla camicia di flanella bianca, poi il mento affilato, la mascella contratta e squadrata, gli occhi. Aggrotta un sopracciglio.
«Per me puoi rimanere lì, forestiera, non sai quanto mi piaccia questa posizione nei miei confronti» mi provoca. «Ma, visto che sono un gentiluomo, posso aiutarti a rimettere a posto questa roba, se ti tiri su.»
Alle sue parole ancora mi brucia il tocco sulle mia coscia di stamani. Sembrano lividi tanto si fanno sentire.
Mi porge una mano e io la afferro. Non posso certo dire che sia brutto, inzuppato in questa luce filtrante che annuncia un tramonto, bretelle tese, spalle larghe e occhi velati dritti nei miei. Mi piacerebbe persino dire che profuma di menta e tabacco, per coronare i cliché, ma in realtà ha un odore particolare che non riesco a ricollegare a niente. È come se ci fosse qualcosa di molto simile nella mia memoria, che però non vuole tornare a galla.
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Out of place - Questione di "ovunque".
Chick-LitGrace è un'ostetrica disoccupata che sta per essere sfrattata dal suo appartamento; salvezza e condanna è la sua migliore amica Rachel, una ricercatrice filosofica a cui piace sparire per giorni, alla soglia del matrimonio, che si innamora di un met...