Capitolo 40.

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«Regola numero uno: non andate in giro da sole.»

Marcus è davanti a noi da circa venti minuti, ha radunato tutta la famiglia per colazione alle sei e mezza per comunicarci i vari movimenti da fare, ma soprattutto da non fare, in sua presenza e in presenza di Rachel. Come se fossimo tutti degli automi deficienti.
Anne pende dalle labbra del fratello come fosse arrivato padre Pio, Beth non si sente affatto bene e se ne sta sdraiata per metà sul tavolino dondolando sulla sedia, io vorrei ancora uccidere quell'esemplare di musicista criminale nonostante tutti i soldi che ha sborsato ed Evan è appoggiato alla mia sedia, sapendo di sicuro di provocarmi una certa soggezione. Ma non avevamo litigato? Prima di finire quasi a fare sesso sul bancone. Dio.

«Non sapevo di essere carcerata» ribatte Rachel, seduta sul bancone della cucina a piedi penzolanti.

Marcus si infila una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Non sei carcerata, fiorellino» sciorina. «Solo che non avete la minima idea di come comportarvi.»

«Scusa, ma parli anche di me?» gli chiedo, incrociando le braccia. Il calore di Evan arriva fino alle mie spalle, tanto che sono costretta a spostarmi un po'. «Ti ricordo che in questa gabbia di matti ci sono da più di un mese.»

«Certo, come no» fa Marcus. «Per continuare, regola numero due...»

«Frena, amico» lo interrompo. «Me ne sono andata in giro da sola per un mese e me la sono cavata egregiamente.»

«Se i miei fratelli sono degli irresponsabili non significa che debba esserlo anche io.»

«Disse colui che ha messo incinta una quasi sconosciuta» pizzica Evan, a buon ragione.

Tremendamente eccitante. O tremendamente maleducato come l'altra notte. Mi mordo l'interno della bocca e cerco di non pensarci o, quantomeno, farlo in maniera più discreta anche dentro me stessa.

«Regola numero due.» Incrocia le gambe, già rivestite da un pantalone di lino classico e molto amish. «Rachel per questa comunità è mia moglie e mi seguirà nei miei viaggi spirituali.»

«Intendi quelli in cui traffichi organi sul mercato nero?» chiedo.

«Ma sei sempre così maledettamente acida?»

Sto per rispondere che no, non sono sempre così acida, ma lui mi fa venire l'orticaria e persisto a non capire da dove vengano tutti quei soldi che mi butta sul conto ogni settimana, ma nessuno mi dà il tempo, perché un "sì" corale da parte di Anne, Rachel ed Evan si va avanti facendomi cadere le braccia. «Siete un gruppo di ingrati.»

Anne mi trucida con lo sguardo, gli altri due alle mie spalle non li guardo neanche.

«Tutto chiaro?»

Io sbuffo, roteando gli occhi, però annuisco per sopravvivenza. Chissà quanto altro tempo sarei dovuta rimanere qui, sennò.

«Ora possiamo ritirarci alle nostre attività oppure vogliamo rimanere tutti qui in cerchio a capire come non combinare casini?» ironizza Evan, togliendosi da dietro di me. Grazie al cielo. O forse no. «Nessuno ha nulla in contrario? Molto bene.»

Due minuti dopo è come se si fossero tutti volatilizzati. Evan è scappato all'emporio ed è uscito senza salutare, Anne è andata a stendere i panni senza degnare di uno sguardo suo fratello, Marcus ha dovuto fare il solito giro di saluti, sorbendosi le domande (più che lecite) su Elizabeth, spiegando di nuovo che ha una malattia contagiosa non mortale con lunghissimi periodi di incubazione. L'ignoranza, alle volte, dà i suoi degni frutti.

Siamo rimaste io, Rachel e Beth in cucina, con le mani in mano, a girarci i pollici. Dopo qualche istante di silenzio, sono i mugolii di Beth che mi svegliano dallo stato di trance in cui sono caduta senza neanche accorgermene. Mi spiego verso di lei, che ha la testa infilata tra le braccia stese sul tavolo, e inizio a massaggiarle la parte bassa della schiena.

Out of place - Questione di "ovunque".Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora