Capitolo 31.

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Passano pochi momenti prima che Evan si risvegli; Anne si è ricomposta, nel frattempo, e la sua Mary pure. John non parla. Se ne sta appoggiato a un albero con gli occhi bassi, mentre Meredith fissa suo nipote con sguardo inquisitorio, quasi come se fosse stata colpa sua quella di svenire. Io sono davanti a lui, con le sue gambe appoggiate sulle mie con i piedi che mi arrivano fin sopra la testa. Mi sento un nano sotto una quercia, sinceramente.

Proprio quando pensavo che il peggio fosse passato, nel mio reggiseno il telefono inizia a vibrare insistentemente. Rovescio gli occhi, appoggio un polpaccio di Evan nell'incavo del mio collo e, poi, cerco di tramenarmi in mezzo ai seni per afferrare il cellulare.

«Cos'è questo ronzio?» chiede Mary, che si è messa seduta il più lontano possibile da John.

«La mia condanna» le rispondo, riuscendo finalmente a leggere il display. Il terrore è quello che mia madre, che ho chiamato stamani mandandole, poco dopo, delle foto del presunto ristorante in cui lavoro, spudoratamente prese dal loro sito internet, si sia recata sul luogo e abbia scoperto chi lì non ci lavora nessuna Grace Latches e io sono una maledetta bugiarda patologica.

Ma no. È Rachel. E io a Rachel rispondo sempre, costi quel che costi. Anche se, in questo momento, vorrei che fosse impegnata a leccare panna Polynesiana dal petto di Marcus. Metto in viva voce per stare più comoda.

«Non è un buon momento» esordisco, portandomi il cellulare all'orecchio.

«Marcus è svenuto» mi dice, con il terrore insito nella voce.

Meredith sbuffa. «È di famiglia, allora, maledizione.»

Anne, a grandi falcate, mi raggiunge e mi strappa il telefono di mano. Se lo porta goffamente all'orecchio e, con gli occhi, cerca il microfono. Inizia a urlarci dentro, quando lo trova, e scandisce le parole facendo pause di due secondi. «In. Che. Senso?»

Silenzio dall'altro lato della cornetta. Sento Rachel fare: «Grace? Puoi togliere il cellulare a questo telegrafo?»

Lo riprendo in mano. Noto che Evan sta iniziando a rotolare la testa, quindi non manca molto perché si svegli.  «Illuminami sul perché stai chiamando me per dirmi ciò, che sono dall'altra parte del mondo.»

«Perché si presuppone che tu abbia conseguito una laurea in professioni sanitarie e potessi dirmi come aiutarlo. Chi dovevo chiamare, il macellaio?»

Alzo gli occhi al cielo. «Un medico? In quel resort extra lusso non c'è un'anima viva che abbia un kit di primo soccorso?»

Lei resta zitta. «Hai ragione.»

«Dimmi qualcosa che non so.»

«In effetti dovrei parlarti.»

Ci siamo. Vuole di nuovo licenziarsi e, di nuovo, dovrò ricordarle del fatto che, anche se nel caffè del bar della sede c'è poco zucchero, dare le dimissioni non è una buona idea. Tuttavia, Rachel può fare un po' ciò che vuole. Dopo aver interpretato quel testo perduto di Seneca e aver tenuto tutte quelle conferenze e aver investito migliaia di dollari nelle migliori borse del paese, potrebbe fare la spazzacamino tutta la vita e continuare a vivere comodamente nel suo attico. Ora, però, non ho tempo.

«Ti chiamo domani mattina» la rassicuro. Quando Evan apre gli occhi, un po' sfasato, chiudo la chiamata e rinfilo il telefono nel reggiseno.

«Grace...» sussurra.

Prendo un profondo respiro. «Chiariamoci subito. Sei svenuto perché tua sorella era con qualcuno o perché quel qualcuno è una ragazza?»

Anne dietro di me si morde un'unghia. Mio Dio, proprio lei che l'altro giorno mi ha fatto una testa così perché mangiarsele è simbolo di sporcizia e non si addice a una signorina?

Out of place - Questione di "ovunque".Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora