«Vai, Grace» mi dice Rachel, sotto la doccia.
Mi agito mentre sono seduta sul cesso. «Sei alla trentasettesima settimana. Le contrazioni potrebbero iniziare in qualsiasi momento. Non vado da nessuna parte.»
La sento sbuffare mentre si insapona i capelli. Le ho suggerito di fare una doccia calda, mentre aspettiamo che Marcus arrivi. L'ho controllata e non è ancora dilatata, quindi fare un viaggio in ospedale sarebbe totalmente inutile. La rimanderebbero a casa senza ricoverarla dopo averle fatto un tracciato. Ed Evan... Può aspettare un altro giorno.
«Perché non mi hai mai raccontato l'episodio del bagno?»
Mi stringo nelle spalle. «Non lo so.»
In realtà lo so, ma non voglio ammetterlo ad alta voce. Ero talmente gelosa di quel ricordo, che lo custodivo abbastanza bene da dimenticarmene. All'ora non glielo raccontai perché temevo che esprimendolo sarebbe scomparso, che mi sarebbe scivolato come sabbia tra le mani, mentre dopo quasi lo avevo rimosso. Ora, invece, vorrei urlarlo ai quattro venti. L'unica cosa che mi preme sapere è per quale cavolo di motivo non me lo ha detto. Io non sono cambiata molto dal liceo. Oppure se l'è dimenticato?
«Hai paura?» svio il discorso. Iniziare a parlare potrebbe farle bene.
«Ho fatto tutti i corsi pre-parto a cui potevo partecipare, mi sono massaggiata la vagina con olio di ricino tutti i giorni e il St. Elizabeth's Hospital ha predisposto per me una stanza con piscina e aromaterapia. Sono armata.»
Rido, sapendo che molto probabilmente tutto ciò che si è impegnata a preparare in questi mesi non le servirà a niente. La soglia del dolore di Rachel si colloca più o meno sei chilometri sotto il livello del mare.
Guardo l'orologio. Sono le quattro di notte e Marcus sta tornando, ormai. Io entro in turno tra due ore e ho esplicitamente richiesto alla mia adorabile caposala di poter assistere Rachel. Non ci ha pensato un secondo. Il mio lavoro lì è così facile, adesso. Sono tutti gentili e competenti oltre ogni speranza. Almeno quello.
Mi lascio cullare dal suono dell'acqua che sbatte sul piatto della doccia finché non sento aprirsi la porta. Mi alzo, stiracchiandomi, e vado ad accogliere il neo-papino con tutte le avvertenze del caso.
Quando lo vedo, a fatica lo riconosco. È impanicato. In questi tempi con lui ho imparato a conoscerlo, quasi ad apprezzarlo. So che la mattina beve una sbobba di banana in polvere frullata con l'acqua, adora i reality show di basso rango e la pizza con l'ananas. È un tipo tranquillo, fatto a posta per Rachel. Lei comanda, lui esegue. Non è un cagnolino ammaestrato, ma gli piace accontentarla. E poi, la chiama "principessa". È decisamente un punto in più.
«Marcus» dico.
«Non so cosa fare» confessa, infilandosi le mani nei capelli. Ha ancora addosso un reggiseno fuxia, uno di quelli che gli hanno tirato stasera, probabilmente.
«Stare calmo potrebbe essere un'opzione più che sensata.»
«Grace» mi chiama, venendo verso di me e, per la prima volta dopo quasi un anno che ci conosciamo, mi tocca. Mi mette le mani sulle spalle, mi guarda dritto negli occhi e mi dice: «Tu devi aiutarmi. Sto per crepare.»
«Non stai per crepare. Mettiti a sedere e falla finita, per l'amor di Dio.»
Obbedisce. Porca miseria, probabilmente sarà più difficile lavorare con lui che con lei.
«Mia madre è morta di parto.»
Tocco la collanina di bigiotteria che ho al collo, come se sfiorare il ferro potesse davvero scongiurare ogni tipo di malocchio. Ma non si sa mai.
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Out of place - Questione di "ovunque".
ChickLitGrace è un'ostetrica disoccupata che sta per essere sfrattata dal suo appartamento; salvezza e condanna è la sua migliore amica Rachel, una ricercatrice filosofica a cui piace sparire per giorni, alla soglia del matrimonio, che si innamora di un met...