Capitolo 14.

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Non ne capisco il motivo, certe volte, ma in diverse situazioni il mio istinto ha sempre suggerito di non muovermi. Ci fu in giorno in cui mentre guidavo di notte mi ero fermata allo stop, convinta che non ci fosse nessuno perché avevo guardato più volte sia a destra che a sinistra. Eppure, la mia testa mi diceva di starmene lì dove ero per qualche altro secondo, che tanto non dovevo andare da nessuna parte. Un motorino mi sfrecciò davanti a tutta velocità e in evidente contromano, della serie che se solo avessi messo a tacere la voce nella mia testa avrei ammazzato un ragazzino, un ragazzino imbecille, ma sempre un ragazzino. Da quel momento non ho più dubbi: se i miei pensieri urlano qualcosa, io devo ascoltarli. Senza via di scampo.

Mentre i leggeri colpetti battono sulla porta, la mia testa mi immobilizza. Rimango rannicchiata come mi sono svegliata, col cuore in gola e gli occhi stretti per non provare la sensazione di volerli aprire a tutti i costi.

Quel che non mi sarei mai aspettata di sentire, visto il sonno pesantissimo in cui cade Elizabeth alle nove e mezzo di sera, è il letto cigolare sotto al suo peso. Passettini leggeri si dirigono verso la porta e la maniglia stride leggermente quando la tira giù.

«Che ci fai qui?» sussurra Elizabeth, una nota preoccupata nella voce.

Dall'altra parte non c'è alcun responso, solo silenzio.

«Grace dorme con me, idiota. Come ti è venuto in mente?»

Ancora una volta, la domanda di Beth rimane a mezz'aria, sospesa nel limbo dell'incertezza, del buio e dell'umidità. Mi verranno i reumatismi.

Quel che mi sembra di capire è che entrambi si sono seduti sul letto. Aguzzo l'orecchio.

«Devi andare via» fa lei, abbassando ancora di più la voce. «Io sto bene, non preoccuparti. Il piccolo cresce, io dormo tanto, lo sento sempre scalciare.»

Un attimo di silenzio tombale. Poi, un rumore di anelli che si scontrano. Metallico, pieno, stridulo in quella nottata di cicale e venti estivi. Che Beth stia tenendo la mano di qualcuno?

«Ah, vedi» bisbiglia lei. «Ora sta scalciando, vuoi sentire? Non credo che Grace si svegli, ha il sonno profondo.»

Ho così voglia di girarmi che sto per mandare al diavolo il buon proposito di non immischiarmi in affari non miei. Smetto di sentire le voci, rimangono solo i nostri tre respiri a incrociarsi inconsapevolmente. Non parlano più, ascoltano tutti e due la creaturina che si sta scatenando nel ventre di Beth.
E poi il terrore panico che mi sovviene, mi investe, mi soffoca come la trapunta quando si ha la febbre e le pareti sembrano schiacciarci, quel momento tremendo in cui avevi riconosciuto una sensazione e, senza analizzarla, l'hai accantonata.

«Se tuo fratello non la smette di tenermi lontano da qui, giuro che entro qualche settimana avrà bisogno di un dentista.»

E questa è forte, chiara, nitida, più evidente che mai la voce di John. Istintivamente mi viene da pensare al fatto che la sua fidanzata è a letteralmente due passi da noi, poi il mio cervello si connette e capisce che la domanda giusta è per quale motivo è qui. Forse, mi dà la spiegazione così: «Sei praticamente cresciuta come la mia sorellina, Beth. Non posso continuare a fare finta che tu non sia incinta.»

«John» biascica lei, con la voce impastata dal sonno. «Finché Grace è qui non potrai venire di notte. Anzi, dovresti proprio andartene, ora.»

«E se i tuoi fratelli mi impediranno di vederti quando partorirai?»

«C'è Grace, con me» dice. «Mi fido di lei.»

Una lacrima mi sfugge sulla guancia con una veemenza non indifferente. Il cuore sembra stretto in una morsa quasi mortale, tanto che devo necessariamente portarmi una mano al petto per verificare di non star entrando in una potente tachicardia.

Out of place - Questione di "ovunque".Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora