È Elizabeth a dirmi che devo togliermi il lenzuolo di dosso e andare a fare colazione. In effetti, è ora e io oggi ho appuntamento col mio allevatore cinofilo. Chissà se mi farà saltare cerchi sospesi o mi farà infilare in un tubo per poi darmi un croccantino. A colazione mangiamo porridge, come gli inglesi, e Marcus non c'è già più.
«Dov'è finito il missionario?» chiedo, mentre ci sediamo tutti.
«È tornato in missione» risponde Evan, virgolettando con indice e medio. «O dalla tua amica, se così vogliamo dire.»
Annuisco. Sto ancora temporeggiando a chiamare Rachel, perché so che mi riempirebbe di domande a cui potrei non voler o non saper rispondere.
Anne dà le spalle alla finestra, mentre io prendo in pieno la luce del sole, quindi faccio fatica a non socchiudere gli occhi. Anche a casa di Rachel eravamo messe così, una davanti l'altra. Non che quell'austera ragazzina assomigli in qualche modo allo spirito impazzito di Rachel.
Mentre pulisco il cucchiaino dai fiocchi di avena rimasti, Elizabeth li sposta nella ciotola come a volerli far incorporare alla porcellana. La guardo per un po', senza giudizio.
«Non ti piace molto questa brodaglia? Io la trovo davvero buonissima, stranamente.»
«Non ha molto appetito da quando è incinta» mi dice Evan ed Elizabeth annuisce.
Anne si pulisce la bocca con un tovagliolo. «A colazione svolgiamo il fondamentale compito di organizzare la giornata.»
«Sì» ridacchio. «Immagino che in questa metropoli ci sia una varietà incredibile di cose da fare.»
«Ti dispiacerebbe essere un po' meno saccente?»
Ha ragione e io lo so, ma non ho nient'altro a cui aggrapparmi se non dare fastidio a questa gente surreale che mi tratta come se fossi un border collie. «Dai, mi dispiace. Ditemi tutto.»
Evan posa il cucchiaino e si pulisce la bocca anche lui, picchiettando le labbra con il fazzoletto in stoffa azzurra. «Dalle otto alle nove e mezza porterò Grace in giro e le spiegherò come funzionano le cose qui. Alle dieci la porterò in emporio è le mostrerò che cosa fare in questi mesi. A mezzogiorno raggiungeremo John io, te e lei e mangeremo a casa sua, in modo da presentarla al Consiglio. Nel pomeriggio Grace tornerà a casa e visiterà Elizabeth. Poi, potrà dedicarsi alle sue occupazioni più degne.»
Alzo le sopracciglia e incrocio le braccia. «Io capire tua lingua. Io capire tuo volere, padrone. Tu potere parlare anche con me e no con sorella capelli gialli» lo scimmiotto.
Elizabeth ride. Menomale. Ride solo lei alle mie battute, lei e io, ma Evan nasconde un sorrisetto sotto al naso. Ad Anne invece mancano solo le corna e uno scettro per somigliare perfettamente a Lucifero. Decide di non riprendermi: «I tuoi vestiti sono già pronti sul divano. Per favore, non spogliarti qui davanti a tutti.»
«Giusto» le rispondo. «Casomai il mio seno fosse troppo.»
Alza gli occhi al cielo. Evan sposta la sedia nell'alzarsi, prende la ciotola e la porta nel catino di acciaio pieno di acqua e sapone di marsiglia.
«Ti aspetto fuori tra dieci minuti» mi fa. Poi, esce accostando la porta.
In circa cinque minuti Anne mi ha vestita, mi ha detto che non ha mai visto nessuno con le lentiggini sulla schiena, mi ha letteralmente minacciata di stare attentissima alla lezione di Evan e di non fare niente di sconveniente.
«Ti prego, non scoprirti le gambe.»
Sbuffo. «Non oserei mai. Sia mai che qualcuno veda il mio ginocchio!»
STAI LEGGENDO
Out of place - Questione di "ovunque".
Chick-LitGrace è un'ostetrica disoccupata che sta per essere sfrattata dal suo appartamento; salvezza e condanna è la sua migliore amica Rachel, una ricercatrice filosofica a cui piace sparire per giorni, alla soglia del matrimonio, che si innamora di un met...