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«Accompagni te Lele da Nicolò?» nonostante non ci sia più bisogno di un babysitter data la mia presenza, anche mio padre sa quanto il piccolo si sia affezionato al ragazzo. Sarà una caratteristica di famiglia.

«Ok.» rispondo, perché ovviamente non ci sono problemi per me. Ovviamente. Sto solo portando mio fratello, che non si fida nemmeno di me, dal mio ex, che mi odia e neanche mi guarda in faccia, sotto richiesta di mio padre, che a malapena mi rivolge la parola.

Penso sia la prima volta che Gabriel salga su un tram. E seduto sulle mie gambe, col biberon tra le mani, sembra piacergli. Una volta davanti il portone di casa, suono il campanello. Mi apre Dylan.

«Monica, come stai?» mi bacia all'italiana, col piccolo in mezzo a noi.

«Cristo, ti avevo detto di togliere sta roba dal tavolino, che arrivava il pupo.» si innervosisce Nicolò, svuotando la sala da tracce di erba.

«Vieni dentro, vieni.» mi invita l'amico, come fosse casa sua.

«No, preferisco di no. Non è il caso.»

«Per favore, da solo non lo riesco a sopportare. Poi ora è arrivato Gabriel e non ha occhi per altri.»

«Ringrazia che era solo Monica, perché se fosse stata Marianna o Franco e avessero visto quella roba ti ammazzavo.» parla come se non ci fossi, nonostante sia giunto alla porta anche lui, a prendere il bambino in braccio. Con me ci stava malvolentieri, mentre non vedeva l'ora di essere preso da Nicolò.

«Dai, entra.» insiste Dylan.

«C'è puzza d'erba.» Nicolò guarda un po' me, un po' Dylan e poi di nuovo me, pensieroso e con bocca socchiusa.

«Ti da fastidio?» mi chiede l'amico.

«Eh, sì. Un po'.»

«Lele, stiamo in giardino anche oggi.» evidente che fosse un avviso per me e Dylan, e non per Gabriel.

«Sentito? In giardino non si sente.»

«Ok.»

Usciamo tutti in giardino. Su un tavolino, ci sono diverse cose, tutte appartenenti ad un neonato. Pannolini puliti, una bandana rossa, crema solare per bambini. Nicolò spoglia Gabriel, lasciandolo col pannolino. Poi gli copre la testa con la bandana e gli strofina la protezione sulla pelle. Tutti e tre siamo seduti sullo stesso sdraio, con Dylan che sta in mezzo.

«Ha già mangiato?» non mi guarda.

«Con me non voleva bere dal biberon, e Marianna mi ha detto che i biscotti li mangia qui.»

«Tienilo un attimo.» lo passa a Dylan. Perfetto. Ha pure più confidenza con lui che con me.

«È ancora arrabbiato.» sussurro.

«Poi gli passa.» risponde allo stesso tono.

«Te l'ha raccontato cosa è successo?» annuisce.

«L'ho coperto io quando è andato via, il giorno dell'ultimo concerto. E il giorno dopo, quando sono tornato anch'io a Roma, aveva bisogno di una spalla.»

«Davvero ha pianto?» mi guarda dritto negli occhi e annuisce di nuovo. Non me l'aspettavo questa.

«Perché non gli hai detto niente?»

«Non lo so, ma ho sbagliato. Ho fatto tutto senza pensare, e mi dispiace.»

«Ora sei pulita?»

«Ora sì. Non hai idea di quanto io mi senta meglio, fisicamente e mentalmente.»

«Allora non pensare al resto. Tutti qui siamo contenti che tu stia bene, questo è quello che deve contare.»

Ritorna Nicolò, con dei biscotti plasmon in mano, e il biberon riscaldato.

Il resto non mi importa ||Tony Effe||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora