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Esco dalla mia stanza, ma non quella della villa. È notte fonda, e Marianna e papà si sono addormentati sul divano, con la televisione accesa. Non riesco a prendere sonno, e ho solo un posto in cui vorrei andare ora. Metto il mio lungo cardigan estivo, sopra il top bianco e i mini shorts di jeans. Subito dopo aver indossato le scarpe da ginnastica e aver aperto la porta, la voce di mio padre mi fa sussultare.

«Dove stai andando?» chiede dal divano.

«Arrivo, pa'.»

«Ma dove vai?» lo guardo, in silenzio per qualche istante, e devo trattenere, inutilmente, il pianto. «Che succede?» si alza cercando di non svegliare la moglie.

«Vieni con me a trovare mamma?» si pietrifica. Guarda Marianna, che nel frattempo ha aperto gli occhi e ha sentito la domanda. Lei gli fa cenno di andare.

«Non posso.» alla sua risposta, io annuisco, senza insistere.

Esco di casa e a piedi arrivo fino al cimitero. Un bel tragitto, tutt'altro che corto. Il cellulare segna più volte delle notifiche. È Nicolò.

Ehy
Dormi?

Visualizzo ma non rispondo. Dopo diversi minuti mi chiama. Ma metto giù, spegnendo poi il telefono definitivamente. Sulla tomba di mia madre non voglio distrazioni, di nessun genere. Guardo la foto che le hanno messo. Mi hanno sempre detto che le assomigliavo, e ora che sono cresciuta mi rendo conto di quanto avessero ragione. Gli stessi capelli neri, la stessa pelle bianca, e anche i lineamenti li ho presi da lei. Inizio a parlarle, le racconto tante cose. Mi piace pensare che mi ascolti. Le racconto di Nicolò, dei nuovi amici del centro, di papà, e soprattutto dei miei progressi fatti. Non so quanto tempo passo qui, ma sicuramente almeno un paio d'ore. Già che ci sono, decido anche di sistemare la lapide. Butto i fiori che ci sono, ormai appassiti. Domani mattina andrò a comprarne di nuovi e più belli. Mi viene un colpo quando alle mie spalle sento mio padre.

«Che ci fai qui?» chiedo fredda.

«E tu?»

«Avevo bisogno di venire.»

Si accovaccia accanto a me, prendendomi la mano.

«Non ci sono più venuto qui.» ammette pentito. «Mi sentivo in colpa.»

«Per cosa?»

«Per essere andato avanti, aver dato a te una seconda mamma e aver avuto un altro figlio.»

«Non devi sentirti in colpa per questo.»

«È difficile.»

«Ogni tanto ci pensi a lei?» mi guarda e noto la lucidità dei suoi occhi.

«Cerco di non pensarci per non stare male. L'ho amata tanto, veramente tanto. Quando ha avuto quell'incidente, ero arrabbiato col mondo. Avevo solo te. Un po' forse la amo ancora. Marianna è la donna della mia vita, non l'ho sposata a caso. Ma se lei fosse ancora qui, so per certo che saremmo ancora insieme.»

«Non mi hai mai parlato dell'incidente.»

«Forse ti ho parlato troppo poco anche di lei.»

«Com'era?»

«Uguale a te. Hai preso tutto il suo carattere. Tra me e lei, era lei quella che mi convinceva a fare sempre come voleva lei. Non so cosa mi facesse.» sorride. «Come te, faceva esattamente sempre quello che non mi piaceva facesse. Sempre. Sembrava lo facesse apposta per farmi arrabbiare.»

Il resto non mi importa ||Tony Effe||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora