37. Ego

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Infilo il guanto nero, il bordo purpureo si staglia sulle mie dita come i contorni ramati dei dipinti buddhisti

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Infilo il guanto nero, il bordo purpureo si staglia sulle mie dita come i contorni ramati dei dipinti buddhisti. Sollevo lo sguardo sullo specchio e ben presto colgo la sagoma di Jin GuangYao ferma sullo stipite. «Sei pronta?» Anche lui stava guardando il mio riflesso sul vetro. Sorride mentre si avvicina.

La luce sul suo viso mi è parsa dolce e affabile per tutto questo tempo, me ne rendo conto solo ora che sembra brillare in maniera diversa. Da quanto avevo iniziato a percepirlo in quel modo? La sua presenza rimane confortevole, ma è più simile a me. Più sinistra. Forse perché è l'unica da cui non mi sto nascondendo. Adesso, ci sono cose che condividiamo soltanto noi due, nell'ombra.

Mi volto verso di lui. Inclina il capo, portando le iridi ambra sulla mia figura in carne ed ossa. «Ho una cosa per te.» Una cosa per me? Solleva le mani che ha tenuto nascoste dietro la schiena finora. Tra le dita stringe i lembi di un gioiello dorato.
«Permetti?» chiede.
Chino appena la testa quando mi rendo conto di essere rimasta imbambolata per troppo tempo.

Lui allora prosegue incastrando le due mollette fra i miei capelli. L'oro e le pietruzze a goccia si posano fredde sulla mia fronte, il bindi centrale tra le mie sopracciglia. Alcune catenine scivolano fino al petto, conformandosi alle ciocche come boccioli appena nati.
«Non ce n'era bisogno.»
«Sì invece» risponde senza smuovere il tono morbido. «Oggi è un giorno importante. Sei sempre più vicina alla tua libertà» mi prende le spalle, il suo tocco è quasi più delicato di quello dell'ornamento. Mi spinge piano per far si che torni a fronteggiare lo specchio.

«E poi, guarda quanto ti sta bene», mi sistema la frangia, «ne vale assolutamente la pena». Le gemme rosse richiamano le mie iridi e l'abito del sole. Il mio sguardo schizza di nuovo sul suo riflesso, e quando lo fa lui inclina gli angoli della bocca. «Andiamo.»

Usciamo diretti al Padiglione Aureo. La Torre della Carpa Dorata è gremita come non la vedevo da tanto. Il chiacchiericcio che nutre l'aria sfuma al mio passare. È sì animata, ma non c'è alcuna vivacità. È irrequieta e tesa. Come il giorno in cui mi hanno rinchiusa. Come la sera in cui Wen Qing è stata uccisa.
«Perciò è vero.»
«È davvero lei?»

Seguo Jin GuangYao senza soffermarmi su nessuna di quelle occhiate. Scoccano scioccate e diffidenti come l'ultima volta. Non mi aspettavo di rubare la scena anche oggi. A quanto pare, a pochi importa degli affari di un clan piccolo come i Chang. La criminale sono ancora io. Beh, d'altronde sono stata io ad atterrirli quella notte, non Xue Yang.

Giungiamo alla cima e una veste bianca si accosta prima che possiamo entrare. «A-Yao, Lady Wen» ZeWu-Jun ci rivolge un saluto. L'atteggiamento placido e cordiale crea un divario enorme tra la prima giada del clan Lan e il resto dei presenti. «Secondo Fratello» entrambi ricambiamo.

Con la coda dell'occhio colgo un'ombra violacea muovere qualche passo all'esterno dalla soglia del grande portone. Un formicolio mi attraversa il basso ventre, a sinistra, come se il sale stesse bruciando proprio sulla mia vecchia cicatrice. Ripongo la mia attenzione sullo sguardo gentile e privo di malizia che ho di fronte «Sono lieto di riavervi presente al consiglio, Lady Wen».
«Vi ringrazio, Capo Clan Lan.»

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