71. Promesse

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La tradizione vuole che non si riservi alcun riguardo ad una persona più giovane

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La tradizione vuole che non si riservi alcun riguardo ad una persona più giovane. Non era mio dovere indossare una veste in cui non vi fosse traccia di rosso, ma l'ho fatto comunque.

Anche se siamo in piena estate, ho le mani talmente fredde che mi aspetto di veder comparire la nebbiolina quando sospiro. L'ultima volta che mi sono sentita così impotente ero in carcere. Guardo in direzione del sentiero che porta ai sotterranei. Ammirando la limpidezza del marmo e le aiuole ricolme di peonie, non immaginavo che molto vicino si appostasse un luogo cupo e desolato come quello. Non sempre siamo in grado di vedere il retro della medaglia. Però, oggi più che mai, ciò che è davvero difficile cogliere è il lato splendente di LanLing.

Anche se non è stato allestito alcun altare, il senso di perdita è insito nella torre. I drappi sono più candidi e numerosi del solito e il solo scopo delle fiaccole esangui è commemorare, perché non c'è luce che possa scacciare un'ombra inesorabile come questa. Sono fioche e immote, persino il vento ha deciso di estinguersi nonostante l'altitudine.

La vita di un bambino innocente è stata spazzata via, e io non ho potuto evitarlo, nemmeno stavolta.

Qin Su non si è allontanata dal corpo esanime di suo figlio nemmeno per un istante. Da quando sono qui, l'ho vista singhiozzare inginocchiata ai piedi della culletta l'intero tempo. Temo che possa avere un collasso da un momento all'altro. Ho dovuto insistere perché A-Yao prendesse una piccola pausa, ma né lui, né nessun altro, è stato in grado di distogliere lei.

La notte imbrunisce i dettagli dorati delle colonne e disperde la scia proveniente dall'incensiere di celadon. Incerta mi avvicino a quelle spalle flosce come una lanterna priva di fiamma. Non emette più alcun guaito, la voce sembra essergli appassita e le lacrime essersi prosciugate, ma dal respiro mi accorgo che piange ancora.

«Madame Qin» parlo sottovoce. Non reagisce. È così fragile che ho paura venga spinta dal soffio delle mie parole. Mi mordo la guancia. «Dovreste riposare.»

Alza i suoi occhi tondi e gonfi su di me, e io inspiro di colpo perché non me lo aspettavo. Vacillano impauriti. «Wen [T/n]» è la prima volta che mi chiama per nome. C'è una preghiera che le riverbera in viso. «Voglio tenerlo in braccio un'altra volta.»

Mi sento sprofondare in un anfratto invisibile mentre lei mi implora in silenzio. Mi trascino davanti alla culla. La sagoma piccola e minuta emerge sotto il velo bianco. La avviluppo meglio nella seta. Cingo il corpicino con le braccia e me lo porto al petto. Una morsa mi stringe lo stomaco nel sentirlo freddo come quarzo, sbilanciato e pesante. Tengo ferma la testolina e d'istinto lo sollevo un paio di volte per cullarlo. Mi volto con la paura di incrociare di nuovo quel volto. Uno strano senso di vergogna mi appesantisce le palpebre.

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