67. Umana

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La prima volta che vidi dei cadaveri feroci avevo solo cinque anni

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La prima volta che vidi dei cadaveri feroci avevo solo cinque anni. Forsennati sbraitavano e si slanciavano verso di me, che ero solo una bambina. Non avevo armi, non avevo un nucleo. Ero appena stata introdotta alle basi della coltivazione. E il mio maestro mi disse fin da subito che avrei dovuto controllare quegli esseri. Io, indifesa com'ero, sobbarcata dalla sofferenza lancinante di decine, e poi centinaia, di mostri. "Il mondo funziona così, se non riesci a tenerli sotto schiaffo, ti divorano."

Vedevo quei volti putridi e raggrinziti, strizzati da un tormento che non riuscivo a comprendere. Ascoltavo quelle grida gutturali, e i colpi che si infliggevano l'un l'altro a causa dei movimenti arraggiati. Più si avvicinavano, e più mi sentivo simile a loro. Consumata dall'istinto. Comandava loro di farmi a pezzi, e suggeriva a me di scappare.

Quel bisogno è divenuto egemonico quando sono riuscita a vedere chiaramente le loro fauci e le unghie sporche, e a sentire il loro odore. Sono corsa via. Non pensavo più a nulla. A Wen RuoHan, ai miei doveri, a mio padre, al debito. C'erano solo quei mostri fatiscenti intenzionati a farmi male. Anche quando non erano più alle mie calcagna, continuavo a sentirli. Ogni cosa attorno a me aveva il loro colorito smorto e la loro voce rauca.

Mi precipitai dietro un grande masso scuro. Con le mani premute sulle orecchie, gli occhi chiusi, e le gambe tremanti. Una leggera pressione sul mio capo bastò a spezzare il mio già precario respiro. Avevo le guance inondate di lacrime e l'impressione che il mio cuore avesse smesso di battere. Ma poi mi resi conto di quanto quel tocco fosse caldo.

Quel calore era umano.
«Va tutto bene.»
E quella voce era umana.
Non c'erano più i versi animaleschi e il buio opprimente della sala del trono. Attorno a me c'era una luce imprescindibile, che si irradiava toccando uno spazio più vasto di qualsiasi sala avessi mai visto. Il vento soffiava più forte di quanto avessi mai immaginato fosse possibile e i colori non erano mai stati tanto vividi.

Quell'uomo si inginocchiò per allinearsi alla mia altezza. I suoi occhi color ghiaccio emanavano lo stesso calore che avevo avvertito sul capo, e le sue labbra erano piegate nell'accenno di un sorriso. Era calma. Una calma che riusciva a raggiungermi e a cullarmi. Solo allora realizzai che era quella la sensazione dei raggi solari sul proprio corpo. Rassicurante e carezzevole. Calda come la vita, e non gelida come la morte.

«Sei più tranquilla adesso?»
Annuii.
Diede un'occhiata attorno. «Ti sei spaventata?»
Quella domanda mi riportò alla realtà, facendomi arrossire e chinare la testa. Non volle sapere la ragione per cui provavo tanto terrore: scoprirlo era superfluo e pericoloso per entrambi.
«Tutti abbiamo paura» proseguì data la mia esitazione. «Se non avessi paure da vincere non potresti dimostrare di essere una bambina coraggiosa.»
«Ma io sono coraggiosa» mormorai.
«Lo sei?»
«Certo che sono coraggiosa! Tutti lo siamo, perché noi siamo i più forti in assoluto!» sbottai sentendomi alle strette. Ripetei semplicemente ciò che mi era stato inculcato per disfarmi di quell'imbarazzo.
L'uomo mi guardò stupito, e poi quell'espressione calma, un po' divertita, tornò sul suo volto. «Beh, allora non devi far vincere la paura.»

L'Ultimo Raggio [MDZS x Fem!Reader]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora