77. Quando tutto ha avuto inizio

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Ho ripetuto alla mia mente di tacere un'infinità di volte mentre mi intrecciavo i capelli e tamponavo la cipria sul viso, e soprattutto quando ho incastrato il fermaglio

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Ho ripetuto alla mia mente di tacere un'infinità di volte mentre mi intrecciavo i capelli e tamponavo la cipria sul viso, e soprattutto quando ho incastrato il fermaglio. Continua a mettere in parole una cosa che probabilmente sapevo già. Mi aggrappo con entrambe le mani al davanzale, inalando l'aria di cui avevo tanto bisogno quando ho spalancato la finestra della camera da letto. Divarico le labbra con l'intenzione di parlare ai boccioli cosparsi ai piedi dell'edificio.
«Io amo Jiang Cheng.» Mi tappo la bocca con i palmi tremanti, si sovrappongono l'uno all'altro con uno schiocco. I polpastrelli caldi sfiorano le mie guance cocenti a confronto. Esalo un sospiro che batte contro le mie dita. Dirlo a voce alta è estenuante, come ha potuto? Come potrei dirlo visto il nostro trascorso?

"Quando mi sono innamorato la prima volta." Quand'è che mi sono innamorata di lui? Jiang Cheng deve aver riflettuto tanto. A me tremano le gambe quando provo a sviscerare il passato, in cerca del momento in cui tutto ha avuto inizio. Siamo passati dall'odio all'amore. Ma l'ho odiato per davvero? Ricordo una rabbia profonda e accecante. Distruttiva, irrefrenabile, ma ora che percepisco soltanto il presente, mi sorge il dubbio che la rabbia e l'odio non siano la stessa cosa.

Mi dirigo verso l'uscita con l'intenzione di allenarmi, perché il movimento è la sola cosa che può distrarre la mia mente adesso. O perlomeno, arginerà lo scorrere dei pensieri e potrò confondere le cause della tachicardia. Mentre mi affaccio sul corridoio, riesco a percepire una sorta di frenesia che trapela nel mio corpo e che necessita di essere scaricata. Non sarà a causa della coltivazione di ieri? mi domando, avvampando l'attimo dopo. Intendo dire, non sarà la nostra energia spirituale, accresciuta tanto in fretta da doversi "riassestare", a farmi sentire così?

Questa mattina non c'è alcun occhio invadente a sbirciare mentre richiudo la porta della camera di Jiang Cheng. È la mia attenzione, invece, a slittare su qualcosa fuori posto. Piccolo e rannicchiato all'angolo dello stipite dinnanzi alla mia stanza. Mi accovaccio. E a te piuttosto, le ciocche castane scivolano sul mio dito e ricadono decise sulla fronte di Jin Ling, cosa frulla in quella testolina? Fata inglobata tra le gambe e il grembo, si accorge per prima della mia presenza e inizia a dondolare il codino bianco e nero, appuntito come un pennello. Non avranno dormito qua fuori? L'idea che nessuno se ne sia accorto mi pare assurda in un primo momento, ma più mi guardo attorno, più noto i corridoi deserti della residenza. Lo stesso vale per le stanze che si innestano nelle mura, da cui non proviene alcun vociare, né si coglie alcun movimento. È immobile e silenzioso, quasi quanto il Palazzo di QiShan. Tuttavia, queste mura luminose non saranno mai soffocanti quanto quelle del mio palazzo, cupe e possenti, che sembrano sempre sul punto di chiudersi e inghiottirti.

Qualcosa di umido mi sfiora la mano, distogliendomi dalla riflessione su questa insolita situazione. Fata spinge il muso contro la mia pelle, strusciandosi e aumentando la frequenza dei colpi di coda. Socchiude gli occhi bluastri quando le gratto il capo. Jin Ling continua a dormire nonostante tutto, con la tempia premuta sul battente. Gli strizzo la spalla, cercando di fargli riprendere coscienza con calma. Non ne cavo che qualche confuso mormorio. «Mamma» capto la seconda volta. Trattengo il respiro. Non smetterà mai di farmi sentire così, vero? Al di là di quante volte capiti.

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