C'era una volta un grande castello fatato...

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Erano anni che non mi rilassavo così, pensò Alex Forte, svegliandosi a Pizzo Calabro quella domenica di maggio nel comodo letto degli ospiti di casa Roseti.

Il giorno dopo sarebbero ripartiti all'alba per la capitale. Avrebbe poltrito a lungo fra le lenzuola profumate di bucato, dimenticando lo stress di tutti i giorni. La giornata era però ancora tutta da sfruttare e vivere con Caterina. Il programma stabilito a tavola la sera prima prevedeva per la mattinata la visita al castello Murat, poi il pranzo con tutta la famiglia – sarebbero venuti anche dei cugini che volevano conoscere il famoso dj – e il pomeriggio a spasso per il paese. Caterina gli aveva sussurrato dolcemente la buonanotte, e aveva aggiunto che lo avrebbe portato in un posto per lei speciale. Lui si era molto incuriosito, ma lei era rimasta irremovibile e non si era sbilanciata di una parola in più.

La fortezza aragonese era lì ad aspettarli. Raggiunta la piazza, pochi metri in discesa e giù nel curvone, ecco l'ingresso del castello che guarda il centro storico del paese, sporgendosi sul mare da più lati: verso il torrente Angitola, poi verso Vibo fino alle Eolie, abbracciando tutto il Golfo di Sant'Eufemia. Davanti al Castello, una piazzuola con due panchine fronte mare, rivolte verso la banchina e la caletta con il piccolo molo, quello che Alex aveva raggiunto a piedi la mattina precedente: in quel momento, era un quadro carico di colori saturi.

«Questo paese è troppo bello: lo consiglierò ai miei amici»

«Magari. Abbiamo sempre bisogno di turisti»

«C'è qualche posto che conosci e consiglieresti per dormire, a parte casa tua?» chiese allegro Alex.

«Guarda, proprio qui sulla destra, scendendo, c'è un vecchio palazzo, della famiglia Angelieri. Camere a ridosso del mare; in pratica, dalle finestre e dai balconi, te lo ritrovi nel letto! Ora entriamo, dai!».

Al piano di sotto, le celle, con le sagome dei detenuti, gli ufficiali del gruppo e lui, Gioacchino Murat, e la sua storia. La prigione degli ultimi istanti al piano superiore, accanto al piccolo museo allestito con reperti, la lettera scritta alla moglie prima della fucilazione e il suo ultimo pasto. Poi il terrazzo che si affaccia sul mare frontalmente e dal retro sulla piazza principale.

Alex si soffermò a leggere la grande lapide in alto sul portone:

Ci sono certe città sconosciute, il cui nome, per inattese, terribili, clamorose cata- strofi: talvolta acquista improvvisa fama europea e che s'ergono in mezzo al se- colo, come una di quelle palline storiche piantate dalla mano di dio per l'eternità: tale è il destino di Pizzo. Senza annali nel passato e probabilmente senza storia nell'avvenire, essa vive nella sua gloria di un giorno, ed è diventata una delle sta- zioni omeriche dell'iliade napoleonica. Infatti è noto che fu nella città di Pizzo che Giocchino Murat venne a farsi fucilare, là che quest'altro aiace trovò una morte oscura e cruenta.

Alessandro Dumas padre

«Mah, capisco che venendo da Roma, piena di meraviglie, tu non apprezzi più di tanto il mio paesello»

Scritto nell'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora