È tutto un equilibrio sopra la follia... sopra la follia...

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Renata si allontanò velocemente, poi, all'improvviso, fece retromarcia e si diresse verso la boutique di Irene Fanelli. Enrico la vide da lontano e se ne andò bruscamente mentre Irene rientrò precipitosamente dentro il locale.

Renata si voltò per l'ennesima volta, tornando sui propri passi con il cuore in tumulto. Le sembrava di essere entrata in un frullatore a velocità massima e di essere passata poi nella centrifuga. Il tutto ricoperto da uno strato di ghiaccio. Si spegneva l'anima mentre cominciò a roteare nel cervello l'immagine di Irene Fanelli.

Ripensò a quella donna e alla sua storia. A come era diventata sua paziente. Si erano conosciute alla presentazione del saggio di Enrico. Lei, la compagna dell'editore, era arrivata verso la fine dell'evento, organizzato nell'ampia sala conferenze della casa editrice Armonia. Renata, dopo aver superato il turbamento per la vista di Ottavio all'Angolo della poesia in libreria, lo sentì, con piacere, introdurre il lavoro del collega, cioè suo marito Enrico. Irene si sedette vicino a lei, avvolta in una nube di profumo e di glamour: alta, slanciata, sinuosa, capelli rossi e carnagione lentigginosa.

Finita la presentazione, Enrico aveva offerto un aperitivo ai pochi intimi rimasti, e lì avevano scambiato qualche parola; presentò la moglie come la dottoressa Aldobrandi e Irene, incuriosita, le do- mandò in cosa fosse specializzata. Psicologia. Le chiese se poteva avere il bigliettino da visita, desiderio che la dottoressa esaudì immediatamente. Irene la invitò nella sua boutique. Già il mattino dopo, Irene telefonò per un appuntamento. La segretaria disse che sarebbe stato possibile per fine settimana, ma lei insistette a tal punto che la segretaria riuscì a trovare un buco per l'indomani. Per quanto Renata fosse incline ad analizzare, nelle difficoltà delle interazioni, il ruolo chiave del conflitto per comprendere il clima relazionale dei suoi pazienti, le dinamiche della vita di Irene erano piuttosto complesse. Irene, fidanzata da anni con Andrea de Rossi, tradiva spesso il partner dal quale si sentiva tradita, ma non riusciva a lasciarlo, anzi pretendeva il matrimonio che lui rifuggiva. Irene era stata adottata, non aveva conosciuto i genitori naturali perché deceduti, e questo l'aveva relegata nel limbo dell'abbandono. Nonostante l'amore dei genitori adottivi, aveva reagito alla scoperta attraverso esperienze sessuali precoci e numerose. La sua cuginetta le aveva svelato l'arcano così, sbattendole in faccia la realtà sulle sue origini – come solo i ragazzini sanno fare – perché aveva sentito di nascosto sua madre parlarne con la zia. Irene non era riuscita a capacitarsi della verità. Aveva solo tredici anni e se lo ricordava ancora il momento preciso della rivelazione. Se la natura sembra fornirci le illusioni necessarie per sopravvivere, ci pensano gli esseri umani a privarcene. Da quando Irene scoprì di essere una figlia di nessuno, sentì un vuoto nel cuore della vita che nessuno riuscì più a riempire. Aveva sviluppato nell'adolescenza spigolosità in un carattere ombroso, segnali di egoismo e indici di sopravaluta- zione delle sue capacità amatorie. L'incontro con Andrea e la nascita di un rapporto non l'avevano fermata. Incontrare uomini da usare era per lei indispensabile. Quando le era capitato Enrico Orsini sulla sua strada, aveva subito notato nei suoi occhi un lampo. Ma, diventati amanti, e a storia avanzata, Irene aveva interrotto l'analisi. Aveva parlato di un uomo più anziano di lei, che vedeva con più frequenza, ma dopo aver an- nunciato il matrimonio non si era più fatta viva allo studio.

Renata si ritrovò in uno stato di allarme che perdurò fino a casa. Il percorso a piedi, anche se breve, le fu possibile solo grazie alla sua grande forza d'animo. La condizione del suo spirito mutava ad ogni passo, mentre lei costringeva la mente all'attenzione dei dati che occupavano la memoria.

Possibile che l'amante anziano fosse suo marito? Cos'altro, se no, poteva farli discutere così concitati? Certo, se Enrico fosse stato un cliente, si sarebbe comportata diversamente. Che gran puttana! Non le bastavano tutti quelli che si faceva, pure Enrico era caduto nella sua rete. Irene, decisamente sexy, non passava mica inosservata, era un richiamo costante per gli uomini. Li circuiva con le sue grazie e soprattutto con il modo felino di camminare che faceva risaltare il notevole fondoschiena. Avvertiva su di sé lo sguardo del mondo maschile e ne era compiaciuta fino alla meschina vanità.

Con Enrico, il sesso era scemato nel tempo, e, a pensarci bene, erano mesi che non si toccavano. Gli ultimi rapporti erano stati spenti dall'abitudine. Ma ogni coppia, pensava, attraversa periodi meno intensi di altri e, del resto, il loro matrimonio, che durava da anni, non era stato certo un fuoco di passione.

Ma con lei ti davi da fare, traditore bastardo!

Tutti i pensieri erano stati radunati per mettere a fuoco, per trovare il filo degli eventi, per elaborare strategie, per... Renata cadde a terra e un passante la soccorse. Per fortuna, era a due passi da casa. Stava perdendo i sensi, il senno e chissà cosa altro ancora. Il marito?

Teneva ancora gli occhi socchiusi per la caduta; si sforzò di spalancarli non riuscendo a trovare le chiavi di casa. Bussò al citofono. Rispose la governante.

Il rovescio del mondo, del suo. Un universo capovolto. Enrico e quella ninfomane!

Se la sua vita era stata programmata secondo coordinate fisse e categorie precise, le nozioni neutre non potevano trovarvi posto. L'oppressione del moto dell'anima seguiva una traiettoria ben delineata: partiva dalla piattaforma dei sentimenti e della fiducia consolidata e si dileguava come una freccia scagliata oltre i confini dell'universo mondo. Il dominio di risorse felici cessava, le provviste di forza esaurivano, scariche come pile impazzite. Un lamento sovrumano le gorgogliava dal petto ansimante procedendo attraverso la crudezza della vita, nella rotazione cosmica degli eventi: appropriazione-estraneazione. Un cataclisma nell'organismo. Landa desolata. Un tarlo intrufolato nella mente che, rovistando in ogni cantuccio, rosicchiava tutto fino al midollo. La mente sparava a vuoto e faceva cilecca nel tentativo abortito di scovare un dettaglio, un qualcosa cui appigliarsi. Inutilmente, freneticamente.

Una prigionia dello spirito, una paralisi del corpo.

«Signora, signora Renata, mi sente? Oh mio Dio!».

Nel parapiglia, la governante riuscì ad acciuffarla mentre di nuovo cadeva svenuta. Renata galleggiava nell'aria che la ingoiava in un boccone: l'annebbiamento dei sensi, il torpore delle membra, un senso di impotenza. La mancanza di controllo.

Si svegliò dopo qualche minuto nella sua lussuosa camera da letto, al primo piano dell'altrettanto lussuosa dimora. Letto a baldacchino e affreschi d'epoca. Un grande gigantesco specchio alla parete destra, sulla toeletta con le bottiglie di profumo in cristallo. Si guardò e vide un fantasma che si protendeva dall'immagine riflessa.

Cos'era stata la sua vita? Una falla dopo l'altra si apriva nella voragine dell'esistenza.

Fra sempre più rapide pulsazioni, si sentiva tutta ammaccata, le sue viscere gridavano vendetta, ma quando Enrico entrò nella stanza, lo spaesamento del suo sguardo la riportò alla realtà dei fatti: Irene Fanelli.

Scritto nell'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora