Eh no, eh no... non è questione di cellule, ma della scelta che si fa...

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Irene aveva chiuso la boutique e aspettava Andrea per andare a cena. L'avrebbe portata allo Zodiaco: le piaceva guardare Roma dall'alto, e poi, un po' di romanticismo non può che fare bene a due pro- messi sposi, ammise a se stessa con ironia. Sapeva bene come prenderlo il suo fidanzato.

Con disappunto, pensò al fuori programma con quello stupido di Enrico. Ma cosa si era messo in testa quel vecchio? Niente e nessuno avrebbero fatto saltare i suoi piani. Finalmente filava tutto liscio e la data del matrimonio, tanto agognata, era stata stabilita. Ed era sempre più vicina. I preparativi fervevano ed entro una settimana sarebbe diventata la signora de Rossi.

Enrico, che lei aveva cercato di liquidare già da tempo, continuava a insistere, voleva rivederla a tutti i costi, faceva il geloso di Andrea, e, poi, maledizione a quel giorno in cui aveva salutato Alex Forte che rientrava a casa; si erano mandati un bacio da lontano ed Enrico che si nascondeva nei paraggi, spiandola, cercando di riavvicinarla, li aveva visti.

Che ne poteva sapere ch'era suo figlio? Ma, figlio o no, cosa poteva cambiare?

Lei era libera di baciare e stare con chi voleva. E lui chi era, alla fine? Nemmeno fosse suo marito o suo padre.

Aveva perso la testa Enrico Orsini. L'aveva minacciata e se lei non fosse venuta sull'ingresso forse l'avrebbe addirittura picchiata, chi lo sa... Le commesse non riuscivano a capire cosa volesse quel forsennato. Che pretendeva proprio lui che era sposato?

All'improvviso, però, e per fortuna sua, si era fermato, forse aveva visto qualcuno che conosceva, era impallidito e si era dileguato. Fatti suoi!

Senza nemmeno una scusa quel vigliacco. Le aveva lasciato i polsi indolenziti. Di sicuro, meglio il figlio... quello se lo ricordava bene. E chi s'è visto s'è visto! Mesi fa l'aveva invitata a un weekend a Milano Marittima e lei, che, per la sua attività, viaggiava spesso, si era inventata con Andrea un problema urgente di lavoro. Sapeva bene che lui non poteva lasciare Roma per gli impegni con la casa editrice. Alex aveva una serata al Pineta. Si erano divertiti da morire. L'aveva portata a cena al Caminetto e a dormire, si fa per dire, in una suite dell'Hotel Palace. Avevano scopato come dannati tutta la notte.

A lei piaceva farsi considerare una puttana e lui aveva goduto accanendosi su di lei. Non si erano risparmiati nulla... ricordava an- cora una doccia di champagne e lui che mangiava le fragoline sparse sul suo corpo voglioso. Mentre Alex faceva la doccia, lei aveva indossato tacchi a spillo e una guêpière rossa, a balconcino, senza nulla sotto. A pensarci, si stava eccitando... hummm. Sì, aveva decisamente battuto i suoi record, ma anche lui era stato grande!

E così il dj era il figlio di Enrico, e, quindi, il figlio della dottoressa. Chi l'avrebbe mai detto! Certo, Forte era un nome d'arte, ma di sicuro non avevano speso il loro tempo a parlare o a chiedersi dettagli inutili. Lui l'aveva puntata da tempo. Quando rientrava a casa, che era praticamente a pochi metri dalla boutique, approfittava per mandarle un segnale, e anche lei non vedeva l'ora. Ma aveva saputo aspettare l'occasione giusta.

Il vestito fantasia Valentino le stava a pennello, sembrava uscita da una copertina patinata. Si specchiava con orgoglio nel camerino più grande, e ammirava le forme fasciate nei punti giusti. I seni abbondanti e il fondoschiena alto e sodo. Le spalle erano scoperte, ormai giugno lo permetteva, e lo scialle di pizzo intonato alle scarpe con cinturino alla caviglia e pochette My Own Code in tinta. Una delizia. Très chic.

Aveva sempre avuto buongusto. I suoi avevano tentato in tutti i modi di mandarla all'università, ma lei aveva deciso per l'Accademia di moda. Il suo sogno era di fare la modella ma non aveva le misure giuste.

Dopo aver scoperto di essere stata adottata, il rischio più grande fu l'anoressia, ma sua madre, che era medico, l'aveva intuito subito ed era corsa ai ripari, anticipandola. L'aveva fatta seguire per anni da uno psicanalista. Quando questi era morto, Irene, che aveva sofferto molto per quella perdita improvvisa, aveva creduto di non averne più bisogno. Poi, però, aveva deciso di rivolgersi alla dotto- ressa Aldobrandi. Quell'incontro arrivò al momento giusto.

I suoi l'avevano sostenuta economicamente e avevano rilevato la boutique in Piazza di Spagna. Proponeva abiti e accessori firmati, di tutti i tipi. La clientela era varia, dai residenti agli stranieri. Il posto era invidiabile, in una delle piazze più famose della capitale. Lungo la scalinata di Trinità dei Monti, la boutique era situata sotto la celebre House, adibita a museo, dei grandi poeti romantici inglesi Keats e Shelley. Ma lei con la poesia non andava d'accordo. A lei piaceva il concreto: poche parole e molti fatti! Però aveva compensato le lacune culturali con un fidanzato editore.

Ultimamente, Andrea le sembrava un po' stressato, lo vedeva strano. Certo che decidere di sposarsi dopo tanti anni ce ne vuole... Figurarsi che, ultimamente, l'aveva portata in un cinema d'essai a una rassegna di film sulla poesia. Un film su Keats. Come se non ne avesse abbastanza tutti i giorni. Una lagna... sulla malattia e sull'amore non consumato. Dopo il primo tempo, aveva finto un mal di testa e si era fatta accompagnare a casa. La cena, quella sera, fu tranquilla, l'atmosfera piacevole; Andrea però le sembrava pensieroso. Mah, non ci si sposa mica tutti i giorni. Irene rinunciò al gelato ma non ai bucatini. L'amatriciana era la sua passione e in quel ristorante la preparavano degnamente.

«Le bomboniere sono pronte»

«Bene, allora bisogna solo ritirarle»

«Per gli addobbi tutto ok, e per il ricevimento... anche! Per il viaggio di nozze, ci penseremo noi, vero, amore?»

«Sì, le Maldive ci aspettano»

«E lo dici con quella faccia?»

«Ma dai, sono solo stanco. Ultimamente i miei ritmi sono da su- perman. Non lo vedi? Appena Caterina ritorna, dobbiamo occuparci del saggio su Keats. Per il resto, sta' tranquilla, ci penseremo al nostro rientro dalla luna di miele»

«Ancora Keats? Non ne posso più... Va bene, dai, che tra qualche giorno ci riposeremo al sole dei tropici... Ma stasera ognuno a casa sua»

«Sì, domani devo alzarmi all'alba. Te l'ho già detto, voglio lasciare tutto a posto e fare in modo che Caterina e gli altri non abbiano problemi quando noi saremo fuori».

Andrea de Rossi sentiva che qualcosa non andava per il verso giusto in quel momento preciso della sua esistenza. Aveva con sé una bellissima donna, la sua compagna da anni, e tra una settimana esatta l'avrebbe sposata. Allora perché sentiva un senso di desola- zione intorno a sé? Perché dallo stomaco partiva una lama che gli arrivava fino in gola? La sentiva vicinissima, lì lì pronta a recidergli la giugulare. Arrivato a casa – viveva ancora con sua madre – cercò di mettere ordine nella sua testa.

Non sentiva Sibilla da tempo, ormai. Lei non aveva più risposto alle sue telefonate né agli sms. Meglio così. Storia chiusa. Era stato un pazzo a perdere la testa per quella ragazzina. Doveva evitare di andare alla libreria di Virginia Santini, avrebbe delegato il suo braccio destro. Deciso. Non più tentazioni. Sarebbe stato ridicolo. Poteva solo averne guai. Del resto, era stato chiaro: Sono impegnato e fra i miei programmi prima o poi c'è il matrimonio. Anzi, era stato chiarissimo. Più di così!

E allora perché il pensiero di non rivedere più Sibilla lo mandava in tilt?

Scritto nell'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora