Caterina ripensava a quell'incontro inaspettato. Per caso non era rientrata subito al lavoro ma si era concessa una breve pausa.
Bello, bello quell'Alex Forte! Che uomo intrigante... ma che tipaccio!
Aveva avvertito una chiusura da parte sua. Forse un'avversione? Eppure non le era sembrato gay: ricordava bene i suoi sguardi al wine bar quando lei faceva coppia con Pietro.
Forse era stata invadente, forse non avrebbe dovuto chiedergli la mail... pazienza: ormai era fatta! Del resto, lui le aveva immediatamente risposto, avrebbe potuto anche inventarsi una scusa qual- siasi, e non dargliela.
Appena pubblicato, aveva letto il libro che aveva dato al dj la fama da scrittore: era stato primo in classifica per mesi. Si trattava di un libro di testimonianze dirette. Chissà perché il pubblico ha bi- sogno di toccare con mano il male, la violenza, l'ingiustizia. Quasi un bisogno convulsivo del tipo Se non tocco, non credo, e quel libro sullo stalking lo aveva assecondato. Poi, per un po' di tempo, era sparito dalla circolazione. Forse era stato minacciato? Non si seppe niente in giro, probabilmente aveva solo avuto bisogno di una vacanza.
Caterina stava entrando nella scuola di ballo che frequentava regolarmente.
«Ciao, ragazze! Siamo pronte?».
Alex era uno dei suoi dj preferiti, era il dj del momento. L'emittente radiofonica per cui lavorava, Radio Capital International, doveva a lui il merito di essere fra le prime tre più ascoltate in città. Alex Forte tutte le sere, dalle ventuno alle ventitré, inchiodava con la sua voce sublime migliaia di fan proponendo canzoni che selezionavaper le scalette sognanti, come lui amava definirle: i voli pindarici, in- tervallati dalle note stonate o dalle considerazioni inattuali, o cose belle di pessimo gusto.
Caterina Roseti non solo amava la musica ma ne apprezzava il messaggio positivo e la considerava anche uno strumento sociale. Aveva impiegato i suoi ventinove anni alla ricerca della bellezza, in tutte le sue espressioni. E non aveva nessuna intenzione di fermarsi. In quel periodo, si stava concentrando sull'antica arte della danza del ventre. Era malata di intelligenza o troppo appassionata della vita? Doveva smettere di pensarci, almeno per la durata del corso che l'aspettava. Si era cambiata e la lezione stava per cominciare. Allora perché continuava a vederselo davanti con la T-shirt che indossava quel giorno? Chissà se anche lui era un rivoluzionario come il Che... In uno dei tanti corsi che aveva seguito negli ultimi anni, quando era di turno il sogno di diventare una grande fotografa, Caterina aveva fatto una scoperta. L'immagine di quell'uomo che impazzava ovunque su svariati oggetti comuni, con il basco, i capelli lunghi, i baffi e lo sguardo da duro, icona di ribellione e libertà, proveniva dal celebre ritratto scattato negli anni Sessanta da un fotografo cubano. Lei aveva una borsa con quella stessa effigie.
Chissà se Alex Forte desiderava veramente cambiare il mondo così come voleva far credere. Anche se, per cambiare il mondo, bi- sogna stare con i piedi per terra, avere le idee chiare e analizzare obiettivamente le proprie imprese. Alla fine, Che Guevara era rima- sto vittima del sogno di propagare la rivoluzione nelle zone conta- dine più povere. Ma per essere autentici rivoluzionari bastano le convinzioni romantiche o la conditio sine qua non è la razionalità? Stare nel mondo reale e non parlare dietro una consolle. Forse Alex Forte possedeva tutta una collezione di magliette, con la Marilyn di Andy Warhol e compagnia bella...
Ricordava bene la scintilla che le aveva fatto scoppiare la passione per la fotografia. Leggendo Lamartine, l'aveva colpita una frase: Collaborare con il sole. Con il sole? Anche lei avrebbe voluto tentare l'impresa, fallita prima di cominciarla per i costi troppo alti della macchina fotografica necessaria. Avrebbe collaborato con la luna, o con le stelle magari, naturalmente ammirandole. Ma basta pensieri, ormai era acqua passata! Staccare la spina e arrendersi alle vibrazioni del suono era l'unica cosa da fare immediatamente. La danza riuscì a riempirla di pace, i fianchi seguivano il ritmo della musica lungo la traiettoria armo- nica dell'abbraccio e del rimando, nella sequenza guidata. Stava cimentandosi nella figura dell'otto. Bisogna disegnarlo lentamente in orizzontale, da destra a sinistra e viceversa, accarezzando l'aria, contenendo i glutei che devono restare ben fermi, come le gambe radicate sui piedi scalzi. La prima cosa che aveva amato di questa danza era stata proprio il contatto con la terra. Rito propiziatorio di fertilità.
Si guardò nello specchio e si vide sorridente, avvolta da veli colo- rati e fluttuanti che tintinnavano armoniosamente assecondando il suo spirito. Ora il passo del cammello, poi il passo egiziano.
Junah, la maestra, era del Cairo; il suo nome significava sole – coincidenza? – e, infatti, era sempre luminosa. Cate, con lei, aveva trovato finalmente la dimensione che cercava. Aveva provato un po' di tutto negli ultimi anni dopo la laurea in lettere classiche. In un mondo votato all'informatica e alla tecnologia, aveva avuto il coraggio di seguire le proprie inclinazioni. Con l'incoraggiamento dei genitori, qualche anno prima da Pizzo Calabro si era trasferita nella capitale. Il suo paesino sul mare le mancava molto, ma ormai si era abituata ai ritmi della grande città, alla bellezza diffusa e prorompente del paesaggio capitolino, alle in- numerevoli possibilità che offriva.
In Calabria tornava solo per le ferie, che ogni volta erano sempre più corte. Tuttavia, era molto legata ai genitori e ai fratelli, che gestivano un'attività fiorente in quella zona. La gelateria Roseti – un locale non molto grande ma accogliente e curato – si trovava nella piazza principale del paese ed era una delle più frequentate. Pro- duceva in laboratorio gelati, tartufi, granite, insomma prelibatezze artigianali per ogni palato.
L'assegno mensile che riceveva era sufficiente per le spese dell'appartamentino che divideva con Giovanna, sua ex compagna di liceo. Anche lei si era innamorata di Roma e dopo la laurea in architettura aveva trovato lavoro in uno studio.
Poi il colpo di fortuna: l'appartamento in centro della zia di Giovanna si era liberato. Da Piazza Bologna si erano trasferite in Via Crispi.
Caterina, i primi tempi, arrotondava facendo la baby-sitter nel palazzo nel quale abitava, in cui almeno tre coppie richiedevano la sua attenta e responsabile pazienza. Voleva essere indipendente. Anche lei, in seguito, aveva trovato il lavoro che desiderava, in Via del Tritone, alla casa editrice Armonia. Il nome le era sembrato una garanzia.
Alla fine della lezione, come sempre, si sentì volteggiare nell'aria. Ritornò a casa a piedi, non era poi così tardi. La scuola di ballo era nello stesso stabile della casa editrice. La immaginò, quella strada, animata da musica indiana e da colori sgargianti. L'ultimo film visto in TV aveva come protagonisti due sposi indiani semplicemen- te stupendi: lei guardandolo negli occhi gli chiedeva di indicarle la strada che porta all'amore. Si può percorrere questa strada? Forse solo insieme. In due.
Questa sì che era poesia. Era questa la sua grande inclinazione: Caterina era cresciuta a tartufo e poesia. Non ne era sicura, ma pensava che in molti, in un momento diffi- cile della vita, avessero trovato rifugio in una poesia. Spero che sia così, perché il ristoro, la consolazione, l'emozione che vi si può cogliere è ineguagliabile. Perfino la musica, con la sua forza catartica, sembra fuggire via. La poesia no. È lì, e resta per sempre. Si insinua dolcemente e va a prender posto, senza far rumore, in un punto imprecisato della tua anima.
La vita ti offre sempre un'occasione per ritornare a quel punto. Un amore mai dimenticato, una persona che non c'è più, un momento di gioia, e chissà quanto altre cose.
Caterina era convinta che la poesia fosse nata perché le parole, lontane tra loro, soffrivano. E così qualcuno, una persona, fra tutte la più traboccante d'amore per gli uomini e per la vita, decise di unirle per non lasciarle sole. Accompagnarle nell'accordo di strofe e rime per poter esprimere con l'armonia dell'insieme il senso struggente di un pensiero, di un sentimento, di un bacio. Il poeta è la voce di un'infinita condivisione che non avrà mai fine, per placare il suo cuore e quello del lettore.
Continuò ad inoltrarsi nel regno delle sue convinzioni, camminando verso casa. Parlando con se stessa – un rito che era suo fin da bambina – rifletteva sul corso che avevano preso i suoi pensieri. Nelle poesie che hanno accompagnato i miei anni, ho trovato sempre una risposta; mi sono accesa di passione, ho sorriso con tenerezza, mi sono disperata per la verità. La poesia è come un fuoco che arde, alimentato dalle vane speranze umane e sovrumane. È come un sole che ti sveglia, come una luna che ti tiene compagnia, come una stella alla quale ti rimetti. La poesia è in ogni muta parola che è diventata vita perenne e bellezza che mai potrà morire. Sia gloria ai poeti di ogni tempo e ogni luogo per il dono immenso della loro umanità. Sono stati i primi analisti, hanno scandagliato l'anima dell'uomo. E sono arrivati fino alle sue radici.
L'ascensore si aprì.
STAI LEGGENDO
Scritto nell'acqua
Romans"Scritto nell'acqua" è un romanzo d'amore il cui filo conduttore è la poesia di John Keats, che ci porta lungo la colonna sonora della vita, a Roma, nei luoghi simbolo di un percorso interiore o viaggio dell'anima: la scuola di danza del ventre, la...