Capitolo 6 ♡ Dana

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Non potevo credere di averle detto veramente quelle cose. Che cavolo mi stava passando per il cervello?
Sembrava una ragazzina così dolce e io, come primo argomento di conversazione, avevo tirato fuori un tasto dolente, schiacciandolo fino in fondo. Probabilmente mi avrebbe odiato per il resto della sua vita.
Non mi sarebbe dovuto importare e, in realtà, non me ne importava più di molto. Poteva pensare quello che voleva di me. Ero solamente incavolata con me stessa. Non riuscivo mai a fare la cosa giusta. Mai.
Riuscivo a rovinare cose che nemmeno ancora esistevano.
Sembrava veramente bisognosa di quella borsa di studio, per qualche motivo, ma le nostre possibilità di vincerla erano veramente basse, se non nulle.
Nonostante ciò, mi ritrovai fuori da scuola, all'orario di uscita, ad aspettare che oltrepassasse i portoni di legno, sperando che non se ne fosse già andata.
Ero appoggiata al muretto che costeggiava tutto l'edificio, proprio di fianco al cancello d'ingresso, lasciando che tutta la fiumana di studenti si riversasse verso la strada, studiandoli uno ad uno alla ricerca della sua faccia, quando Rachele e Christian sbucarono dal nulla, fermandosi proprio davanti a me.
Rachele teneva le braccia incrociate, lo sguardo disgustato che mi guardava dall'alto al basso, quando sarebbe dovuta essere lei quella a farmi schifo. Christian le stava un paio di passi dietro, come se avesse paura di me e la usasse come uno scudo contro qualsiasi cosa avessi potuto fargli.
Rachele non mi aveva più rivolto la parola da quando la notizia del mio tradimento aveva iniziato a spargersi per la scuola, ma ora sembrava intenzionata a ridarmela.
Sentii uno strano moto di speranza dentro di me, ma cercai di zittirlo. Quelle non erano le facce di persone che avevano deciso di perdonarti e di tornare amici come prima. Come se avessimo mai potuto farlo sul serio.
«Aspetti qualcuno?» chiese Rachele, la voce tagliente tanto quanto lo sguardo che mi rivolse.
Christian cercò di prenderle una spalla, ma lei si scansò da quel tocco. «Forse dovremmo andare» mormorò lui.
Lei continuò a parlare, rivolgendosi a me, come se non lo avesse minimamente sentito. «Ti abbiamo visto questa mattina. Ti sei iscritta per la borsa di studio anche dopo tutti i casini che hai combinato.»
Mi staccai dal muro, avvicinandomi a lei di qualche passo. «Non sapevo di non poterlo fare. Ora deciderai anche a quali attività scolastiche posso partecipare, oltre che buttarmi fuori dalla squadra?»
Le sue labbra si alzarono verso l'alto in un ghigno subdolo. «Oh, certo che no. Ero solamente sorpresa dalla tua decisione. Pensi davvero di poter ricavarne qualcosa?»
«Forse sì, non si sa mai cosa ci riserverà il futuro» replicai, stringendomi nelle spalle.
«Immagino ti abbia obbligata tua madre. Di sicuro non è stato tuo padre. Cosa ne pensa la piccola Lani di tutta questa storia? Gliel'hai raccontato, vero?» continuò Rachele.
Christian allungò nuovamente un braccio verso di lei, solamente per essere scansato un'altra volta. «Rachele, adesso basta.»
Un tempo non mi avrebbe mai parlato così, un tempo avrebbe girato alla larga da tutti quegli argomenti, facendo finta che la mia famiglia nemmeno esistesse. Le cose erano cambiate. Ora sapeva quali armi usare meglio contro di me.
Era sempre stata brava a trovare i punti deboli delle persone, le cose che facevano più male. Nonostante tutto, mi stupii delle sue parole. Non riuscivo a credere che fosse in grado di usarle contro di me, nemmeno dopo tutto quello che aveva fatto. Continuavo a sperare che, in un modo o nell'altro, avrei riavuto la mia migliore amica indietro, ma immagino che entrambe avessimo fatto la nostra parte per rendere impossibile un riconciliamento.
La cosa più strana era che Christian, fra tutti, stesse cercando di difendermi, a modo suo.
«No, lasciala parlare. Sentiamo cosa ha da dirmi» sbottai io. Non volevo sapere cos'altro avrebbe potuto dire, non lo volevo sapere davvero, ma certe volte la mia lingua parlava prima che il mio cervello potesse processare bene le cose. Uno dei motivi per cui ero finita in quella situazione da principio. Se fossi stata meno una testa calda, non avrei mai fatto del male a Christian. Non ci sarei arrivata nemmeno vicino a farlo.
Vederlo di fianco a lei mi faceva sempre più male, ogni giorno che passava. Rachele lo aveva sempre adorato. Ovviamente lo aveva sempre adorato: era il ragazzo perfetto. Gentile, ma allo stesso tempo deciso, sempre pronto a portarti nel tuo locale preferito se stavi passando una brutta giornata, sempre pronto a tirarti su il morale con una battuta stupida. Non potevo biasimarla se stava cogliendo l'occasione al balzo.
«Avrei veramente tante cose da dirti, non te ne devi preoccupare. Potremmo partire dal fatto che non riesci nemmeno a dire la verità a tua sorella. Hai paura che inizi ad odiarti come odia vostra mamma?» iniziò a ringhiare lei. Sapevo che aveva ancora tante cose da dire, da urlarmi, ma Christian la interruppe per l'ennesima volta.
«Davvero, Rachele, adesso basta. Lasciala in pace.»
Lei si girò verso di lui, i capelli biondi che le si muovevano intorno alle spalle in un turbinio scintillante. Gli puntò un dito al petto, con fare accusatorio. «Anche tu dovresti trattarla male. Ha rovinato la vostra relazione. È una puttana! Non devi proteggerla!»
Una rabbia accecante prese possesso del mio corpo. Lei fra tutti non poteva trattarmi in quel modo. Lei fra tutti avrebbe dovuto stare dalla mia parte, non contro di me.
La mia rabbia si trasformò in una stretta alla gola, minacciosa di farmi iniziare a piangere.
Una folta folla di persone si era fermata, ritardando il loro rientro a casa, solamente per vedere cosa stesse succedendo di così clamoroso fra la capitana delle cheerleader e la sua ex-migliore amica.
Io non potevo affrontare tutto quello, quella situazione stava uscendo di mano a tutte e due e io non avevo bisogno di altra pubblicità.
Volevo girare i tacchi e andarmene, avrei dovuto farlo, ma una qualche forza invisibile mi stava trattenendo al mio posto.
Christian mi guardò di sbieco prima di risponderle. «Lo sai benissimo cosa penso di lei, ma non è questo il momento o il modo di affrontare la questione. Ne parleremo in modo civile quando saremo tutti pronti ad affrontare l'argomento.»
Momento che non sarebbe arrivato mai, avrei voluto puntualizzare io, ma non lo feci. Lo stava dicendo solamente per far calmare le acque, lo capivo. Non lo pensava sul serio.
«Io non penso ci sia nulla da discutere. Non merita la tua comprensione, né ora né mai!» esclamò Rachele.
E poi la vidi, in mezzo alla cerchia di persone che si era riunita intorno a noi, proprio dietro a Christian. Se ne stava mano nella mano con Flora, come faceva sempre, come se non fosse esistita se non come sua appendice. Sul volto portava una maschera di terrore puro. Per la prima volta in quella conversazione mi venne in mente che quello spettacolino avrebbe potuto rovinare ogni più piccola chance che avevamo per la borsa di studio.
Io non dovevo niente a Carlotta. Non la conoscevo, non ero sua amica, ma mi sentivo terribilmente in colpa per le parole che le avevo rivolto, per come l'avevo trattata poco prima.
«Solamente non voglio farne una scenata pubblica» stava dicendo Christian, ancora intento a far calmare Rachele.
«Sentite, ragazzi» li interruppi io. «Mi dispiace davvero tanto per quello che è successo, so che non sono in nessuna posizione per essere perdonata, però non voglio litigare ulteriormente con voi. Lasciatemi solamente in pace, io farò lo stesso con voi.»
Mi allontanai, cancellando dalla mente quello che Rachele mi stava urlando dietro, cercando di non fare caso a tutti gli occhi che mi stavano fissando.
Mi feci spazio fra le persone, dando qualche spallata da una parte o dall'altra, tenendo la testa sempre alta. Sarei corsa via da quel casino, ma non avrei lasciato pensare agli altri che fosse stata Rachele ad averla vinta.
Carlotta mi stava guardando, i suoi occhi grigi sgranati a fissarmi, cercò di dire qualcosa, ma oltrepassai anche lei, come se non esistesse.
Non potevo continuare a stare lì. Non potevo e basta.

Quando tornai a casa, la cercai su Instagram. Prima di trovarla, tuttavia, mi imbattei in un paio di post ritraenti una Rachele che sembrava pronta a strapparmi la faccia a morsi e una Dana che sembrava pronta a scoppiare a piangere. In alcune foto mi avevano addirittura taggato. Come se mi avesse fatto piacere vederle.
Carlotta, al contrario di me, sembrava non esistere su Internet. Non conoscevo il suo cognome, ma sapevo fosse amica di Flora. Eppure, sul suo profilo, non c'era praticamente nessuna foto che le ritraeva insieme, solamente un selfie che risaliva ad almeno sei anni fa, prima che entrassimo al liceo, e non c'era nessun profilo taggato.
Mi arresi, lasciando cadere il telefono sul materasso.
Fissai il soffitto per qualche secondo, in preda ai miei pensieri, prima che mamma bussò alla mia porta. Non aspettò nessuna risposta per entrare.
«Mi ha chiamato la scuola, Dana. Dicono che hai litigato con una ragazza questo pomeriggio. Ho anche visto le foto e i video che girano su internet» esordì, una volta oltrepassata la soglia della mia camera.
Non la guardai neanche. «So cosa è successo, mamma. È stata Rachele ad aggredirmi, però. Io non ho fatto nulla, ha iniziato tutto lei.»
Mia mamma sbuffò, potevo immaginarla con due dita intorno alla base del naso, come se stringendolo avesse potuto farsi passare il mal di testa costante che le causavo. «Per tua fortuna sembravi veramente la vittima di quella situazione. Ma devi stare più attenta, non possono continuare a chiudere un occhio su tutto quello che fai. Poteva costarti l'espulsione dal concorso per la borsa di studio. A proposito, avete avuto qualche novità a riguardo?»
«Sì, oggi ci hanno detto che parteciperemo a squadre e che la prima prova verterà sul lavoro di squadra, nulla di più» risposi io, ancora concentrata sul lampadario a forma di fiore che torreggiava sulla mia stanza.
«A squadre?»
«A coppie,» precisai io, «ci saranno due borse di studio in palio, una per ogni componente della squadra.»
«E sai già con chi sarai?» mi incalzò lei. Si avvicinò di qualche passo, i tacchi a spillo delle sue scarpe che ticchettavano sul pavimento ad ogni suo movimento. «Mi piacerebbe che mi guardassi, mentre stiamo parlando.»
Girai la testa verso di lei, senza alzarla dal cuscino. «Si chiama Carlotta, è una ragazza che non conosco.»
«Sa di quello che hai fatto?»
«Certo che lo sa, non vive su un altro pianeta.»
«E come si comporta con te? Devo chiedere di farti cambiare compagno?»
Mi alzai di colpo, drizzando la schiena. «No, certo che no. Non puoi farlo, sarebbe contro il regolamento.»
Lei mi fissò, ma i suoi occhi non mi stavano veramente guardando. Voleva sempre che le nostre conversazioni fossero fatte a quattrocchi, ma era lei la prima a non ascoltare davvero.
«La tua è una situazione speciale» disse mia madre.
«No, non la è, non c'è nessun bisogno di scomodare i tuoi amichetti a scuola. Carlotta non mi darà alcun problema.»
Ero io che avrei dato dei problemi a lei.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora