Capitolo 8 ♡ Dana

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Ogni piccolo tassello colorato non sembrava essere al suo posto, ma tutti condividevano diverse lettere segnate con un pennarello indelebile al loro centro. Una volta risolto il cubo, avrebbero sicuramente formato una frase di senso compiuto, tuttavia in quel momento erano solamente un mucchio di vocali e consonanti che cozzavano fra di loro.
«Sai come funzionano questi cosi?» chiesi a Carlotta. Prima, con quel suo ragionamento, mi aveva davvero colta alla sprovvista, non mi sarei stupita se ora avesse rivelato di essere una campionessa nazionale di risoluzione dei cubi di rubick. Quando aveva detto di essere brava con la logica non stava certamente scherzando.
Lei fece segno di no con la testa. «Non saprei nemmeno da dove iniziare, ad essere del tutto onesta. Tu nemmeno?»
Lo raccolsi dal tavolo, iniziando a girare le facce, alla ricerca di quella che sembrava più facile da completare. «Mia sorella è una patita di queste cose. Ed è anche molto brava a risolverli. Li ha scoperti solamente qualche mese fa, ma ad un certo punto voleva addirittura iscriversi ad un concorso per professionisti, poi mia madre le ha fatto cambiare idea. Una volta mi ha detto che c'era un metodo preciso da seguire, che funzionava sempre, qualcosa che ha a che fare con gli strati.»
«È un peccato che tua sorella non sia qui, potrebbe aiutarci» disse Carlotta e sembrava pensarlo sul serio, non mi stava prendendo in giro. Ho sempre amato parlare di mia sorella, ma alle persone di solito non piaceva.
«Comunque,» tossii io, schiarendomi la voce, «penso di essere la più indicata fra le due, a questo punto. Una volta sono riuscita a completare una facciata, magari ci basterà.»
Carlotta assentì. «Prima che tu inizi posso rubartelo un secondo?»
«Certo.»
Prese il cubo fra le mani, poi andò a chiedere alla vicepreside un foglio ed una penna. Come se si fosse aspettata quella domanda, la donna gliele diede, senza batter ciglio. Ora che ci facevo caso, sul suo tavolo c'era anche un gran numero di biro e un plico di fogli abbastanza alto.
Tornata alla nostra postazione, Carlotta iniziò a scrivere alcune delle lettere del cubo, riportandole sulla carta.
«Posso chiederti cosa stai facendo?» le domandai, più che altro curiosa di quale strano ragionamento stava partorendo la sua mente, questa volta.
«Non so se possa funzionare, ma sembra che le stesse lettere si ripetino per ogni colore, come se ogni facciata riveli la stessa parola. Pensavo che, con un po' di fortuna, potessimo risolvere l'enigma senza risolvere veramente il cubo. Però tu intanto mettiti al lavoro, per sicurezza» rispose, appoggiandomi il cubo sul palmo della mano, consegnandomi tutte le responsabilità.
Avevo più fiducia in lei di quanta ne avessi in me, ma non glielo dissi. Vederla impegnarsi in quel modo, mi ricordò di come sembrava essere disperata per quella borsa di studio. Avrei davvero voluto sapere cosa la stesse spingendo ad esserlo.
Io, d'altro canto, non avevo alcuna motivazione a stare in quella stanza. Avrei potuto lasciar cadere il cubo sul tavolo e andarmene, per me non sarebbe cambiato nulla. Ma non lo feci. Un po' perché alla fine non mi costava nulla, un po' perché mia madre mi avrebbe ucciso se avesse scoperto che non stavo dando il cento per cento.
Non feci neanche in tempo a risolvere uno strato, che Carlotta aveva già un sorriso stampato in faccia. Picchiettò il suo dito sul mio braccio, per attirare la mia attenzione, completamente all'oscuro di avercela già. Indicò il foglio, su cui, dopo pochi tentativi, era riuscita a formare un'unica parola di nove lettere: imbroglio.
«Sei la definizione umana di lavorare con intelligenza, non duramente» commentai io, un sopracciglio alzato. Quella ragazza era davvero impressionante. Probabilmente era una degli alunni più intelligenti di tutta la scuola.
«Non cantiamo vittoria troppo presto. Se fosse stato così facile, non saremmo state le prime ed uniche a risolverlo» replicò lei, guardandosi attorno. Le altre coppie, comprese quelle che si trovavano già nella mensa quando eravamo arrivate, erano ancora alle prese con il loro cubo.
I miei occhi caddero su Rachele. Lei e la sua compagna di squadra non sembravano essere nei termini migliori: la povera sfortunata se ne stava con il cubo in mano, un'espressione indecifrabile in volto, mentre Rachele le stava dicendo qualcosa di molto poco carino.
«Andiamo a vedere cosa ci dirà la signora delle risposte, è l'unico modo per scoprirlo» dissi io, raccogliendo scatola e cubo e dirigendomi verso la vicepreside.
Quando lesse il foglio che Carlotta aveva in mano, le fece un grande sorriso, di quelli che i professori riservano solamente agli alunni migliori, quelli che intervengono sempre in classe e non prendono mai meno di nove. Era fastidioso, ma una piccola parte di me diceva che se lo meritava sul serio. Era abbastanza fantastica.
Non volle nemmeno guardare il cubo, appoggiò solamente la nostra scatola in una nuova pila. «Molto bene, ragazze. Avete già il vostro ultimo indizio quindi potete andare alla tappa finale. Mi sa tanto che avrete bisogno di sbrigarvi» annunciò, rivolgendo uno sguardo alle nostre spalle. Christian e la sua compagna sembravano aver finito, lei teneva un cubo perfettamente ordinato nelle mani. Considerato che erano arrivati dopo di noi, erano stati estremamente veloci a risolverlo.
Presi Carlotta per un braccio, trascinandola fuori dalla mensa. «Se vuoi la borsa di studio devi iniziare a pensare in fretta. Anche Christian è un mezzo genio come te.»
«Ma non ho la minima idea di a cosa si potesse riferire. È solo una parola» mugugnò lei alle mie spalle.
Mi fermai in mezzo ad un corridoio completamente vuoto e lascia andare il suo braccio. «E prima avevamo solamente una spilla, eppure guardaci adesso. Sono io o sei tu quella a voler questa borsa di studio? Dobbiamo pensare più in fretta, devi pensare più in fretta.»
Carlotta mi guardò stupita, come se avessi detto qualcosa a cui non aveva mai pensato.
«Quindi hai deciso di aiutarmi?» chiese, l'emozione che traboccava da ogni sua parola.
«Cosa pensi che abbia fatto fino a questo momento?» Se non l'avessi vista, con i miei stessi occhi, risolvere quegli indovinelli in pochi minuti, avrei sinceramente pensato che fosse stupida.
«Sì, scusa. Ero troppo presa dalla sfida per accorgermene.»
Alzai un sopracciglio. Ero abbastanza confusa da quella ragazza.
«Okay, beh, torniamo al nostro indizio: cosa ti viene in mente quando si parla di un imbroglio?»
Lei corrugò la fronte, alzando la mano destra e iniziando a contare sulle sue dita. «Qualcuno che imbroglia in una verifica, un groviglio di fili impossibile da districare e un tipo di attrezzatura navale. Non credo che sia quest'ultima.»
Non le chiesi come faceva a sapere un termine navale, ma concordai con lei sul fatto che a scuola non c'era nessuno posto in cui avremmo trovato una barca. «Quindi potrebbe essere o un posto dove si fanno le verifiche, come una classe, o dove tengono le verifiche, tipo la sala insegnanti. Giusto? Potremmo iniziare dalla sala insegnanti, è abbastanza vicina.»
Mi guardai attorno, orientandomi nello spazio dove ci trovavamo. Se avessimo girato a destra alla fine del corridoio saremmo arrivate in poco tempo. Iniziai ad avviarmi in quella direzione, ma rendendo un passo sostenuto, ma senza correre, in caso un professore fosse spuntato dal nulla.
«Se invece fosse legato alla seconda definizione? Un groviglio di fili?» domandò Carlotta, dietro di me.
«Prima controlliamo la sala professori, poi ci penseremo.»
Quando arrivammo davanti all'aula riservata agli insegnanti, la trovammo completamente deserta, fatta eccezione per un paio di professori intenti a lavorare su qualche compito. Un uomo di mezza età che non avevo mai visto alzò la testa, guardandoci attraverso le spesse lenti degli occhiali. «Mi dispiace ragazze, ma non è questo il posto che state cercando» lo disse come se fosse stanco di ripetere quelle parole, come se non fossimo state le prime ad interromperli.
«Immagino che non siano nemmeno le classi, il posto giusto. Passeremmo tutto il pomeriggio a controllarle, se così fosse» precisai io, una volta tornate sui nostri passi.
«Stavo pensando, per quanto riguarda il groviglio, a cosa penseresti se ti dicessi qualcosa che si annoda sempre?»
«I capelli lunghi?» proposi, ma lei sembrava già sapere la risposta che voleva sentire, e scosse con forza la testa.
«I cavi elettrici, no? Sopratutto quelli del computer. Non hai visto quel cartone dove le spine prendono vita e si divertono ad intricarsi fra di loro, solo per fare dispetto agli umani?»
«No. C'è un cartone del genere?» risi io, sconvolta da dove si tirava fuori tutte queste cose.
Lei arrossì, presa alla sprovvista. «Okay, beh, sì. Esiste. Ma non è questo il punto. Andiamo in sala computer e basta» balbettò iniziando a camminare.
«Stai andando nella direzione sbagliata. È nell'altra ala della scuola» la bloccai io, ridendo ancora.
Lei si girò, ancora più rossa di prima. «Giusto» mormorò, oltrepassandomi.
Arrivate in quella che speravo essere l'ultima tappa di quella giornata che sembrava essere interminabile, trovammo davanti a noi una buona ed una cattiva notizia.
La notizia buona era che sembrava essere proprio il posto giusto: il professore che si occupava dei laboratori di informatica si trovava seduto alla sua scrivania, pronto ad accoglierci con ancora più entusiasmo della vicepreside.
La notizia cattiva era che, insieme a lui, seduti in diverse postazioni, c'erano già altre due coppie. Una di persone che non conoscevo, una composta da Christian e la ragazza che sembrava essere una maga del cubo di rubick.
Non riuscii nemmeno a guardare il volto di Carlotta troppo a lungo, la delusione sulla sua faccia era troppo visibile per non fare male anche a me, che della sua borsa di studio me ne importava solo fino ad un certo punto.
Mia mamma sarebbe stata contentissima di questo risultato: un terzo posto era pur sempre sul podio, era pur sempre un passo in avanti rispetto alla mia posizione di partenza. Ma un terzo posto non era abbastanza per vincere.
Mi stavo chiedendo se avessi dovuto appoggiarle una mano sulla spalla e cercare di consolarla in qualche modo o se sarebbe stato meglio fare finta di nulla, quando il professore si schiarì la gola.
Con l'indice accesse il microfono con cui si facevano gli annunci agli altoparlanti. «Il primo evento per l'annuale borsa di studio si può considerare concluso. Tutti gli studenti sono pregati di raggiungere la palestra, senza attardarsi in giro per la scuola. Ripeto: tutti gli studenti sono pregati di raggiungere la palestra.»
Mentre tornavamo indietro, insieme agli altri, non le dissi nulla. Il suo volto era grigio e sembrava che una piccola nuvola di tristezza si stesse spostando intorno a lei.
La verità era che avevo già troppi problemi per conto per mio, non potevo permettermi di essere trascinata anche nei suoi. Quel giorno mi ero fatta trasportare troppo, ma d'ora in poi avrei fatto meglio a non darle più delle false speranze.
Lasciai che prendesse posto sugli spalti della palestra, poi mi sedetti il più lontano possibile da lei. Mi guardò per qualche secondo, ma distolsi lo sguardo facendo una smorfia.
«Molto bene ragazzi, siete stati tutti molto bravi» stava dicendo la vicepreside, la sua voce suonava lontana alle mie orecchie. Non ero più dell'umore adatto per ascoltarla sul serio. «Tuttavia, dobbiamo fare delle congratulazioni speciali per le tre squadre che sono arrivate al traguardo finale per prime. A tutte loro saranno assegnati trenta punti. A chi è riuscito a risolvere il cubo di rubick, ne verranno assegnati quindici. A chi si era bloccato in mensa cinque.»
La palestra proruppe in qualche applauso e fischio sommesso. La mia schiena si drizzò. Anche il sistema dei punteggi era cambiato. Gli altri anni solamente i vincitori ricevevano dei punti, per tutti gli altri non rimaneva nulla.
«Ora, è arrivato il momento di passare alla parte più triste. Come avrete capito, quest'anno le cose sono diverse. Ci siamo accorti di avere molti più iscritti rispetto al solito. Quindi, per garantire un'esperienza migliore, abbiamo deciso che, chi rimarrà più indietro nella classifica verrà eliminato. Oggi toccherà a tutti coloro che non sono nemmeno riusciti a capire che la spilla vi avrebbe portato alla mensa» finì di spiegare la donna, fingendo una punta di amarezza nelle sue parole. «Potete tutti tornare a casa, adesso.»
Fuori dalla palestra, trovai Carlotta ad aspettarmi. Stava sorridendo, la nuvola spazzata via da un sole estivo. «Siamo in cima alla classifica!»
«Non abituartici troppo» borbottai io, mentre lei mi saltellava intorno. Non ci sarebbe stata una seconda volta.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora