Capitolo 26 ♡ Dana

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«Non so veramente cosa dire, Dana. Rachele è stata proprio una stronza, non ti meriti nulla di tutto qu-»
«No!» esclamai, scuotendo la testa con forza. «La colpa non è sua, sono solamente io la colpevole. Ero io quella con dei sentimenti che avrebbe dovuto nascondere, non lei.»
Se non fossi salita in camera di Rachele quella notte, se prima di confidarmi con lei avessi parlato con Christian, se gli avessi chiesto di prenderci una pausa per capire i miei sentimenti, nulla di tutto questo sarebbe successo. Non sarei nella mia stanza buia, a piangere fra le braccia di una ragazza che conoscono a malapena, così dolce da non giudicare il mio scatto d'ira. Suonerà brutto, ma vorrei tanto non averla mai conosciuta. Perché se non l'avessi conosciuta, vorrebbe dire che la mia vita era ancora quella di un tempo. Sarei stata ancora la Dana di un tempo e non un accozzaglia di cattive decisioni.
Ad un certo punto, non mi ricordo nemmeno quando, mi aveva fatto alzare e sedere sul bordo del letto, mentre lei aveva preso la sedia della scrivania e l'aveva spostata davanti a me.
Ora mi guardava preoccupata, le sopracciglia che cercavano di toccarsi al centro della sua fronte.
«Perché la stai difendendo? Sei tu la vittima e lei la tua carnefice. Ti ha praticamente mandato al patibolo, diceva di essere tua amica, invece si è comportata come una vera strega. È lei la cattiva di questa storia, non tu» disse Cora, l'aria pensierosa.
«Lo dici solo perché non vuoi farmi sentire una merda, ma non c'è bisogno che tu lo faccia. Lo so di essere una persona orribile e di meritarmi quello che mi sta succedendo. Ho tradito la fiducia di Christian, senza nemmeno avere il coraggio di dirgli la verità. Ho desiderato ciò che non potevo avere e ho mentito a Rachele per mesi, godendomi le sue attenzioni senza che lei sapesse quanto innamorata ero.»
Cora arricciò il naso alle mie parole. «Pensi davvero questo?»
«Cos'altro dovrei pensare?»
«Era tutto consensuale, Dana! Quello che avete fatto tu e Rachele... è stata lei la prima a darti il permesso di farlo. E non sei mai stata obbligata a far sapere dei tuoi sentimenti a Christian. Stavi solo cercando di capire la tua sessualità, Christian non ha nessun diritto di dover conoscere tutto, se tu non vuoi.»
«Tu non riesci a capire, Cora!» le urlai, le lacrime che tornavano ad occupare i miei occhi. «Anche se non l'ho fatto, mi sento come se lo avessi tradito. Ho baciato Rachele, la mia migliore amica, la migliore amica di Christian. Ho scoperto di essere lesbica. E nell'anno in cui sono arrivata a questa realizzazione non ho mai detto nulla a Christian. Nulla di nulla.»
Più andavo avanti, più lei sembrata basita. «Okay, facciamo finta che sia stato uno sbaglio, ma nessuno deve farti sentire in dovere di dare delle spiegazioni a Christian.»
«Ma ero la sua fidanzata, avrei dovuto dirglielo. Mentre uscivo con Rachele... mi sentivo come se lo stesso pugnalando alle spalle. Anche quando eravamo solamente amiche e stavo ancora con lui, ogni volta che un pensiero di un bacio o di una carezza mi sfiorava la mente mi sentivo come se lo stessi veramente tradendo.»
«Ma non lo stavi facendo. Eri solamente confusa. Quello di cui dovresti veramente preoccuparti è il modo in cui Rachele ti ha trattata, solamente per un capriccio. Ha mentito a tutta la scuola! Ai miei occhi è lei la cattiva della storia, non tu. E non lo dico solamente perché sono tua amica, lo penso oggettivamente.»
«Se pensi che io abbia solamente fatto uno sbaglio e che io debba essere perdonata per quello che ho fatto, allora dovresti dare la stessa possibilità a Rachele. Mi ha chiesto scusa, ha detto che non l'ha fatto apposta. Le è sfuggito» le spiegai.
Volevo urlarle che lo sapevo, sapevo benissimo che Rachele non fosse una brava persona. Ma sapevo anche che Rachele non era l'unica cattiva di quella storia. Si era solo ritrovata al fianco di una ragazzina che sapeva solamente mentire. Stavo mentendo anche a Cora, in quel momento. Non potevo dirle che Rachele mi piaceva ancora, non potevo dirle che ci incontravamo di nascosto nei bagni della scuola o che non mi aveva mai realmente chiesto scusa.
Anche pochi mesi prima, quando l'avevo confrontata al riguardo, lei aveva risposto scocciata. Era vero, aveva detto a qualcuno che avevo tradito il mio fidanzato. Era vero, qualcuno diceva che avevo fatto sesso con un tipo. Era vero, lei non aveva mai fatto nulla per correggergli, ma non era colpa sua se il pettegolezzo aveva preso una vita propria e aveva iniziato a crescere a dismisura.
«Le è sfuggita anche la tua presenza a scuola, in questi mesi? Non è stata lei a decidere di farti uscire dalle cheerleader?» mi chiese imperterrita lei. «Non è una brava persona, Dana. Non sta nemmeno facendo finta di esserlo.»
«E non pensi che siamo fatte l'una per l'altra? Sono pessima tanto quanto lei» risposi acida io.
«Dana,» pronunciò il mio nome con dolcezza, «non importa quello che dice la gente, non dovresti buttarti giù in questo modo. Ti ho conosciuta in questi mesi e, se anche gli altri provassero ad andare oltre i pettegolezzi, scoprirebbero che sei una ragazza normalissima. Non hai nulla che non vada.»
Proruppi in una risatina amara. «Se pensi davvero questo, allora non mi hai conosciuta sul serio.»
Era così sicura di aver capito tutto di me, quando in realtà aveva solamente toccato la superficie.
«Vedo quanto tieni a tua sorella. Quanto tieni a chiunque ti circondi, in realtà. Cerchi di fare tanto la distaccata, ma sappiamo entrambe che non è così.»
A quello non seppi come rispondere. Ovviamente volevo bene a mia sorella. Lani era Lani. Non sapevo se la stessa cosa si potesse dire per l'altra parte: al momento non c'erano molte persone che mi circondavano a cui avrei potuto tenere.
«Sei una brava persona Dana e ti meriti di essere perdonata, credimi» disse, appoggiandomi un mano sulla coscia. «Se non mi credi, perché non provi a parlarne con Christian? Raccontagli tutta la storia e lascia che sia lui a decidere se meriti di essere perdonata o no. Alla fine l'unico a giudicarti dev'essere lui.»
«Parlare con lui è fuori discussione, non saprei nemmeno che cosa dirgli.»
«Basta che tu gli dica la verità, come hai fatto con me prima. Hai detto che ti senti in colpa per non essere stata sincera con lui, forse è arrivato il momento di esserlo.»
«Pensi veramente che sia così facile? Se tu fossi al mio posto ci riusciresti?» le chiesi con tono arrogante. Apprezzavo il fatto che cercasse di farmi stare meglio, di darmi una mano, ma non ne avevo bisogno. Sapevo badare a me stessa.
La reazione di Christian non sarebbe stata lontanamente vicina a quella di Cora, ne ero molto consapevole. Lei era esterna a tutta la faccenda, non era coinvolta come lo era Christian. Lei non poteva capire e sembrava che non volesse capire.
«Forse all'inizio no, ma ormai non hai nulla da perdere. Fare chiarezza sulla situazione ti porterà solamente dei benefici» rispose lei, ma non sembrava del tutto convinta. Facevo fatica a credere che Cora sarebbe riuscita a parlare con Christian, nella mia situazione.
«Chi se ne frega! Non ho bisogno del suo perdono o del perdono di nessun altro. La vita va avanti lo stesso» sentenziai con rabbia.
Cora si ritrasse alle mie parole, allontanandosi di scatto. «Non puoi pensarlo sul serio. Ti sei mai vista allo specchio? Sembri miserabile.»
Il suo commento acido prese alla sprovvista tutte e due. Si portò una mano alla bocca, come per fermare l'uscita dalla sua bocca di quelle parole, ma ormai era troppo tardi. L'avevo sentita fin troppo bene.
«Scusa, non lo intendevo in maniera cattiv-»
«No, va bene così. Ho sempre amato quando le persone mi dicono in faccia quello che pensano di me, senza che glielo abbia mai chiesto» la bloccai io. «C'è qualcos'altro che devo sapere su di me? O hai finito di comportarti come se conoscessi la soluzione ad ogni mio problema, quando nemmeno sai quali siano i miei problemi?»
Cora si alzò, le mani strette a pugno lungo i fianchi. La sua faccia era rossa come un pomodoro, le labbra erano incurvate verso il basso in una smorfia ferita e triste allo stesso tempo. L'avevo fatta grossa, lo sapevo. «Stavo solo cercando di fare del mio meglio per aiutare. Se i miei consigli non ti piacciono puoi anche rifiutarli, non ho mai detto di avere la soluzione magica per i tuoi problemi.»
Si allontanò da me, riprendendo dal pavimento il suo zaino e si diresse alla porta, senza nemmeno guardarmi. Mi ero alzata anch'io, cercando di seguirla con il corpo mentre il suo cuore si allontanava da me, ma non mi notò. «Ora devo andare, mia mamma mi aspetta a casa per cenare. Chiamami se ritrovi il tuo buon senso e ti va di parlare veramente, senza chiuderti su te stessa e fare la vittima.»
Uscì dalla stanza, lasciando la porta aperta al suo passaggio. Volevo buttarmi sul letto, dare pugni sul cuscino finché non avessi più sentito le nocche delle mani e pensare a quanto quella fosse l'ennesima prova che non mi meritavo alcuna cosa dalla vita. Le avevo urlato addosso senza motivo e ora ne avrei pagato le conseguenze. Ma andava bene così. Me lo meritavo.
Ma prima ancora che riuscissi a sedermi, Lani fece capolino nella mia stanza, bussando piano sul legno della porta. «Posso entrare?»
«Certo, Lani» le risposi, cercando di stabilizzare la mia voce tremolante dalla rabbia e dalla tristezza. «Qualcosa non va?»
«Volevo fartela io, quella domanda» replicò lei, entrando a piccoli passi nel rettangolo di luce che dal corridoio si allungava dentro la camera da letto. Lani era già in pigiama, con i capelli legati in due strette trecce, pronta per cenare e poi andarsene subito a letto.
«Ho sentito che urlavate, ho anche sentito quello che dicevate prima di urlare.»
Il panico si fece strada dentro il mio corpo, ancora più forte di quando Cora aveva tirato fuori l'argomento tradimento. Anche se forse, non era stata proprio lei a farlo. Ero stata io la prima a portarlo in mezzo. Non avrei dovuto rispondere alle sue domande sin dall'inizio. Quello stupido giochino mi aveva fatto sentire così vulnerabile, così scoperta e così... capita. Mi aveva fatto sentire come se avessi potuto raccontare qualunque cosa a Cora e lei avrebbe solamente annuito, assorbendo le informazioni che le avrei dato senza giudicarmi. In quel momento non sembrava un problema raccontarle la verità.
Invece avrei fatto meglio a stare zitta. Alla fine, mi aveva davvero giudicata.
«Che cosa hai sentito, Lani?» le chiesi con prudenza. Forse non era tutto perduto, forse non aveva seguito il discorso sin dall'inizio, forse non aveva capito. Ma sapevo anch'io che era troppo scaltra per non aver capito.
Lei scosse la testa. «Quello che ho sentito non è importante.»
«Certo che lo è.»
«Non adesso. L'importante ora è che tu ti scusi con Carlotta, non puoi lasciarla andare via dopo aver litigato. Dovete fare la pace» sentenziò lei, portandosi le mani intorno alla vita. Guardava il pavimento e anche se era normale per lei non incrociare il mio sguardo, sembrava quasi in imbarazzo. «Voleva solamente che tu tornassi ad essere felice. E voglio anch'io che torni ad essere felice. Non devi trattarla male.»
«Ma io sono felice Lani, sono felice così come sono.»
«No, non lo sei» mormorò lei. «La mamma mi ha insegnato che quando uno è felice sorride sempre, tu non sorridi quasi più. Con lei sorridi, ma se ci litighi non sorriderai nemmeno più con lei. Se esci adesso forse sei ancora in tempo per scusarti.»
Mi avvicinai a mia sorella, abbassandomi per arrivare all'altezza dei suoi occhi. «Le chiederò scusa, non ti preoccupare. Adesso, però, dobbiamo andare a mangiare.»
Per la prima volta, quella sera, capii di essere veramente miserabile agli occhi degli altri.
Sapevo di esserlo, odiavo la mia nuova vita da tempo.
Dicevo di voler tornare la Dana di un tempo.
In realtà, in un momento impreciso, avevo iniziato a crogiolarmi in quel dolore. Avevo iniziato a non essere nient'altro se non i miei sbagli.
Presi il telefono, digitando uno dei pochi numeri che avevo usato in quei giorni. Uno sbaglio in più cosa sarebbe mai potuto essere?

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora