Capitolo 33 ♡ Cora

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Io ed Elia eravamo fidanzati da un mese preciso e, in occasione di quella ricorrenza, mi aveva chiesto di uscire. Solamente noi due.
Non ero mai stata ad un appuntamento e nemmeno lui. Quella era la prima volta per entrambi, ma non mi sentivo per nulla nervosa. Perché mai avrei dovuto farlo? Lo conoscevo da anni, non si sarebbe rivelato tutto ad un tratto una persona completamente differente.
Flora aveva insistito perché io andassi a casa sua, due ore prima che arrivasse suo fratello, per aiutarmi a preparare. Mi aveva chiesto di portarmi dietro almeno tre diversi outfit e lei avrebbe scelto quello più adatto. Non avevo idea di dove mi avrebbe portato Elia, ma lei sembrava esserne al corrente.
Bocciò subito la gonna, optando per un paio di jeans lunghi, per il top invece lasciò fare a me.
«Perché la gonna no? Pensavo che ti piacesse» le chiesi. Era stata lei ad obbligarmi a comprarla, qualche mese prima, mentre girovagavamo per i negozi in centro. Diceva che mi stava benissimo e complementava la mia aura, qualunque cosa avesse dovuto significare.
«Credimi, non vuoi indossare una gonna per dove ti porterà oggi.»
«Oh no, ti prego, dimmi che non mi porta a fare qualcosa di sportivo. Non lo farà vero? Anche a lui non piace fare sport» piagnucolai io. Pensavo che fossimo entrambi persone di scienza, non di muscoli. Speravo proprio di starmi sbagliando, ma il silenzio di Flora parlava più di mille parole.
Fantastico.
Avevo pure il ciclo.
Speravo che qualsiasi attività avesse scelto ci fosse almeno la possibilità di andare al bagno.
«Vi divertirete, non ti preoccupare!» cercò di incoraggiarmi Flora. «Certe volte fa bene provare qualcosa di nuovo! Sai, per crescere come persona e tutto il resto.»
Cercai di sorriderle. «Pensi che potrei diventare anche più alta?»
«Ugh, questa non era divertente» disse, ma stava ridacchiando anche lei.
Qualche minuto dopo, quando Flora stava cercando di fare una mezza coda con i miei capelli - una missione molto delicata visto quanto erano corti e pronti a sfuggire dal codino - Elia bussò alla porta della loro stanza, affacciandosi.
«Mamma mi ha detto che hai sequestrato la mia ragazza e la tieni chiusa qua con te» disse entrando.
«Sì, potrai riaverla indietro solamente se passerai sopra il mio cadavere. È mia adesso» rispose lei, finendo la coda e gettando le sue braccia attorno a me. «Preferisce stare con me che con te. Me l'ha detto lei.»
«Ci crederò quando glielo sentirò dire» borbottò di rimando Elia, prima di rivolgersi a me. «Ti aspetto di sotto, quando sei pronta per andare raggiungimi.»
Elia non aveva la macchina o il motorino e nemmeno io, così fu la mamma dei gemelli ad accompagnarci al nostro appuntamento. Penserete che sia stato strano, magari imbarazzante, ma la signora Maiuri era come una seconda mamma per me. Diceva che mi avrebbe felicemente scambiata con uno dei suoi figli, se avesse potuto, da quanto mi adorava.
Durante il tragitto parlò ininterrottamente del suo primo appuntamento con il marito. Erano andati in un ristorante costosissimo, lui si era offerto di pagare la cena, senza però guardare il conto e quando arrivò il momento di andare alla cassa dovette chiederle di dividersi il pagamento perché non aveva abbastanza soldi. Io la trovai una cosa adorabile, Elia, seduto di fianco a me, sembrava sul punto di aprire la portiera e saltare giù dall'auto in corsa.
«Elia, hai abbastanza soldi per entrambi, vero?» chiese ad un certo punto sua mamma, guardandolo attraverso lo specchio retrovisore.
«Non siamo più nell'ottocento mamma, non è più il ragazzo che deve offrire tutto. Però sì, ho abbastanza soldi» replicò lui, scocciato e imbarazzato allo stesso tempo.
«Se ho abbastanza soldi pagherò la mia parte, non sapevo quanto avrei dovuto portare» gli bisbigliai all'orecchio.
Elia allungò una mano, appoggiandola sulla mia coscia. «Non ti preoccupare, non dovrebbe costare troppo. Ma sarei felice di offrirti io l'ingresso, voglio solo far capire a mia mamma che non sono meno maschio se non pago per entrambi.»
Quando la signora parcheggiò davanti al palazzetto del ghiaccio mi sentii un po' meglio. Mi ero immaginata abbarbicata su per una montagna, solo una corda a sostenermi da una caduta certa, mi ero immaginata in un campetto da calcio in mezzo a decine di bambini, mentre lui cercava di insegnarmi a muovere una palla con i piedi, anche se ero sicura che nemmeno lui lo sapesse fare bene. Pattinare era uno scenario decisamente migliore. Non lo avevo mai fatto prima di allora, ma forse sarei riuscita a divertirmi.
Dentro faceva molto più freddo che fuori ed Elia tirò fuori dalla tasca del suo giubbotto due paia di guanti, porgendomene uno. C'era un odore simile a quello della neve. Sulla pista stavano già pattinando una decina di persone, di tutte le età. Un bambino girava aggrappato ad un pinguino che lo sosteneva mentre lui scalciava con le gambe. Una ragazza, in tuta sportiva, sembrava starsi allenando per una gara in un angolo, mentre un coach innervosito la guardava da dietro il muretto.
Presi i nostri pattini e, dopo averli infilati a bordo pista, arrivò il momento di salire sul ghiaccio, probabilmente la parte che mi faceva più paura.
Elia entrò per primo, con passo sicuro, come se lo avesse fatto tutti i giorni della sua vita, facendolo sembrare la cosa più semplice e normale del mondo. Quando io lo seguii, le mani ben ancorate al corrimano, sentii il pavimento svanire da sotto di me. Era come se i miei piedi non stessero più toccando nulla, ma stessi fluttuando nell'aria inconsistente. I pattini partirono, allontanandosi dal mio corpo con un movimento rapido, subito seguiti dalle mie gambe. Se non ci fosse stato Elia, pronto a prendermi, sarei probabilmente cascata a faccia in giù sul ghiaccio, lasciando la forma della mia faccia scolpita in esso.
«Attenta al baricentro o finirai per terra» mi ammonì Elia, ridendo sotto i baffi.
«Da quando sei diventato un esperto di pattinaggio sul ghiaccio? Ci nascondi un'identità da pattinatore provetto di cui non sapevamo nulla?» gli chiesi di rimando io, seguendo il suo consiglio. Non avevo ben in mente cosa significasse stare attenti al proprio baricentro, ma sembrava che rimanere dritta funzionasse, per il momento.
«Ho iniziato a venire qua durante la pausa invernale. Tu eri sempre a lavorare, Nicolò era in vacanza con la sua famiglia, Flora non voleva uscire se tu e Nicolò non c'eravate, quindi ho avuto molto tempo da solo» spiegò lui.
Mi prese le mani fra le sue, iniziando a pattinare all'indietro, trascinandomi con lui come un genitore avrebbe fatto con una bambina che aveva appena iniziato a camminare.
Quello sembrava qualcosa che iniziavi a fare dopo un bel po' di visite al campetto del ghiaccio, ma non glielo dissi.
«Mi dispiace» replicai invece. Non avrei mai voluto che uno del nostro gruppo passasse le vacanze da solo a causa mia. Sopratutto se era Elia. Non era molto bravo a fare nuove amicizie, ma odiava rimanere da solo.
«Cora, va bene così, non ti devi scusare con me. Non é colpa tua se ti hanno riempito di turni a lavoro. E comunque, ho trovato una nuova cosa che mi piace fare, quindi non è tutto male quel che vien per nuocere» disse lui, le sopracciglia leggermente corrucciate e un piccolo sorriso sulle labbra.
Peccato che era proprio colpa mia se avevo dovuto passare tutte le mie vacanze dietro al bancone del cinema.
Cercai di alzare un piede e poi l'altro, ma ogni volta che la lamina del pattino si allontanava dal ghiaccio mi sembrava di cadere in un abisso glaciale.
«Ferma, così ti farai sicuramente del male» mi bloccò lui. «Cerca di non alzare troppo i piedi, ma lasciali scivolare sul ghiaccio. E cerca di abbassare il bacino, vedrai che sarà molto più facile.»
Feci come mi spiegò lui e, effettivamente, sembrò molto più facile di prima. Non mi sentivo ancora del tutto sicura, ma almeno non pensavo di cadere ad ogni centimetro percorso.
Fecimo il giro della pista per un paio di volte, prima con lui davanti a me, poi con Elia al mio fianco, sempre tenendoci per mano. Ad ogni giro mi sembrava di acquisire confidenza e anche un po' di velocità.
«Vuoi provare ad andare verso il centro?» mi chiese lui ad un certo punto. Guardai dove mi stava indicando: un paio di ragazzini stavano giocando a rincorrersi.
Scossi la testa, paurosa di poter finire vittima di quel gioco e cadere sul serio. Avete mai pensato a come una persona, caduta distesa sul ghiaccio, potesse molto facilmente perdere tutte le dita della propria mano? Ecco, era quella l'immagine vivida che avevo in mente in quel momento. Stavo bene dov'ero. E poi non avrebbe fatto alcuna differenza trovarsi lontani dal corrimano, l'esperienza sarebbe sempre rimasta la stessa.
Il nostro pattinare continuò per un'altra mezz'ora e, quando la nostra ora pagata scadette, uscimmo dal ghiaccio per continuare il nostro appuntamento al bar del palazzetto.
Il locale era separato dalla pista attraverso un muro di vetrate che lasciava vedere agli avventori quello che succedeva al di fuori. Faceva molto più caldo e si respirava un'aria quasi festiva, il classico odore del pan di zenzero e della cioccolata calda che bevevi in montagna aleggiava sul bancone e sui tavoli rossi e bianchi.
Con le nostre tazze di fumante cioccolata ci sedemmo in un angolo del bar, dove in pochi ci avrebbero notato, anche se l'affluenza non era molta quindi la privacy non mancava.
«Ti sei divertita?» mi domandò Elia, fra un sorso e l'altro.
«Devo essere sincera, all'inizio avevo un po' paura di cosa mi avresti portato a fare, ma devo dire che è stato più divertente di quanto mi aspettassi.»
«Ne sono contento» sorrise lui. «Volevo portarti qui da tanto tempo, ma non ho mai avuto l'occasione di invitarti senza che gli altri si unissero a noi. Dovremmo uscire solo noi due più spesso.» La sua voce suonava leggermente insicura, come se avesse paura che potessi dirgli di no, che ci saremmo dovuti limitare alle uscite a quattro, con Nicolò e Flora.
«Lo penso anch'io» lo rassicurai.
Chiacchierammo del più e del meno, di quello che stava succedendo nella sua vita e di quello che stava succedendo nella mia, di come stava procedendo la mia borsa di studio e di come stava procedendo il suo studio per il test d'ingresso a medicina, di come era appena uscita una serie su Netflix con protagonista una coppia lesbica e di quanto non vedessimo l'ora di poterla guardare e di qualunque altro argomento ci capitasse sotto mano.
Quando le nostre tazze di cioccolato furono completamente svuotate, lui si allungò verso di me per baciarmi. Le nostre labbra si toccarono nel più rapido scambio d'amore del mondo. Aspettò qualche secondo prima di avvicinarsi nuovamente, questa volta portando il bacio più nel profondo.
Ora vi aspetterete che io vi descriva in che maniera incomprensibile le mie budella sembrassero aver preso vita propria, in quale modo il mio cuore sembrasse pronto per esplodere da un momento all'altro, ma non è quello che otterrete.
La verità, per quanto male mi faceva ammetterlo, era che non avevo mai provato nulla quando mi prendeva la mano, quando mi teneva fra le sue braccia, quando mi baciava. Dopo che mi aveva chiesto di diventare la sua fidanzata era come se i miei sentimenti per lui fossero spariti nel nulla. La prima volta avevo pensato che forse la motivazione stava nel fatto che eravamo stati amici per così tanto tempo che ora mi faceva strano pensare a lui in quel modo, ma  sapevo che non era quello. Mi era sempre piaciuto e ora tutto ad un tratto non provavo più nulla.
Iniziai a dubitare di me stessa, ponderando varie opzioni: forse ero lesbica? No, ero sicura che lui mi fosse piaciuto, per molti anni della mia vita. Forse ero sullo spettro dell'assessualità o aromanticità? Non riuscivo a capirlo. Avrei potuto chiedere a Flora di aiutarmi, ma dover ammettere davanti a lei che le cose con Elia non stavano andando come previsto era fuori discussione.
E non avevo nemmeno il coraggio di parlarne con lui, non volevo ferirlo o farlo sentire come se non mi importasse di lui. Mi importava di lui, eccome se mi importava. Dovevo solo capire cosa non andasse in me.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora